Ricorso per Ricettazione Inammissibile: L’Analisi della Cassazione
Un ricorso per ricettazione presentato alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile, offrendo importanti spunti sui requisiti formali e sostanziali delle impugnazioni. Con una recente ordinanza, i giudici supremi hanno ribadito principi fondamentali della procedura penale, sottolineando come la specificità e la pertinenza dei motivi di ricorso siano essenziali per superare il vaglio di legittimità. Questo caso evidenzia come un’impugnazione non possa essere una semplice riproposizione di argomenti già esaminati o l’introduzione tardiva di nuove questioni.
Il Caso: Un’Impugnazione contro la Condanna per Ricettazione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello per il delitto di ricettazione, previsto dall’art. 648 del codice penale. L’imputato ha adito la Corte di Cassazione, affidando la sua difesa a tre distinti motivi di ricorso. Tuttavia, nessuno di questi ha superato il filtro di ammissibilità, portando a una condanna definitiva e al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Analisi dei Motivi del Ricorso per Ricettazione
La Corte ha esaminato meticolosamente ciascun motivo, evidenziandone le carenze procedurali che ne hanno determinato l’inammissibilità. L’analisi della Suprema Corte si è concentrata non sul merito delle questioni, ma sui vizi che hanno impedito tale esame.
Primo Motivo: L’Omessa Deduzione in Appello
Il ricorrente contestava la responsabilità per il delitto di ricettazione lamentando la mancata individuazione del reato presupposto. La Corte ha ritenuto tale motivo inammissibile perché la questione non era stata sollevata come specifico motivo di appello. Ai sensi dell’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, non è possibile presentare per la prima volta in Cassazione censure che dovevano essere formulate nel precedente grado di giudizio.
Secondo e Terzo Motivo: Genericità e Ripetitività delle Censure
Gli altri due motivi, relativi all’insussistenza dell’elemento soggettivo e alla mancata riqualificazione del fatto in furto (art. 624 c.p.), sono stati giudicati parimenti inammissibili. La Corte ha osservato che essi si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già vagliate e respinte dalla Corte d’Appello, senza formulare una critica concreta e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso è considerato aspecifico quando non assolve alla sua funzione tipica, che è quella di contestare in modo puntuale le ragioni della decisione precedente.
La Prova dell’Elemento Soggettivo nella Ricettazione
Nel respingere il secondo motivo, la Corte ha colto l’occasione per richiamare un consolidato principio giurisprudenziale. Citando una propria precedente sentenza (n. 53017/2016), ha ribadito che la prova dell’elemento soggettivo nel reato di ricettazione, ossia la consapevolezza della provenienza illecita del bene, può essere desunta da qualsiasi elemento, anche indiretto. Tra questi elementi rientra l’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa da parte dell’agente. Questo non viola l’onere della prova, ma è intrinseco alla struttura stessa del reato, che richiede un’indagine sulle modalità di acquisizione del bene.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha motivato la declaratoria di inammissibilità evidenziando il mancato rispetto dei requisiti di specificità del ricorso, come richiesto dall’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale. I motivi presentati sono stati considerati ‘soltanto apparenti’ perché, invece di sviluppare una critica argomentata contro la sentenza di secondo grado, si sono risolti in una sterile reiterazione di doglianze già esaminate e motivatamente disattese. Il ricorso, pertanto, non ha adempiuto alla sua funzione di critica vincolata, trasformandosi in un tentativo inefficace di ottenere un terzo grado di giudizio sul merito.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito sulla necessità di una redazione accurata e tecnicamente corretta degli atti di impugnazione. Per superare il vaglio di ammissibilità, un ricorso per ricettazione, così come per qualsiasi altro reato, deve contenere censure specifiche, pertinenti e critiche rispetto alla decisione impugnata. Non è sufficiente riproporre le stesse difese già respinte, né è consentito introdurre questioni nuove mai sottoposte al giudice d’appello. La decisione conferma il rigore procedurale della Corte di Cassazione e l’importanza di affidarsi a una difesa tecnica che sappia articolare i motivi di gravame in conformità con i principi del diritto processuale penale.
Quando un ricorso in Cassazione per ricettazione rischia di essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando i motivi sono generici, meramente ripetitivi di argomenti già respinti in appello, oppure quando sollevano questioni che non erano state dedotte come motivo nel precedente grado di giudizio, come prescritto dall’art. 606, comma 3, c.p.p.
Come si può provare l’elemento soggettivo del reato di ricettazione secondo la Cassazione?
Secondo la giurisprudenza citata, la prova della consapevolezza della provenienza illecita della cosa (elemento soggettivo) può essere raggiunta attraverso qualsiasi elemento, anche indiretto, come l’omessa o non attendibile spiegazione da parte dell’imputato sulla provenienza del bene ricevuto.
È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un motivo non discusso in appello?
No, la Corte di Cassazione, basandosi sull’art. 606, comma 3, c.p.p., stabilisce che un motivo di ricorso non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità se non è stato precedentemente presentato come motivo di appello, a pena di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31467 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31467 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTROVILLARI il 09/09/1996
avverso la sentenza del 14/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta l’affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. 648 cod. pen., non essendo stato individuato il relativ presupposto, non è consentito in sede di legittimità perché la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo de motivi di gravame riportato a pag. 1 della sentenza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto;
considerato che il secondo motivo di ricorso, che deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità per il delitto di ricettazione, lamenta in particolare, l’insussistenza dell’elemento soggettivo, non è consentito poiché non risul connotato dai requisiti, richiesti a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 591, c 1, lett. c), cod. proc. pen., essendo fondato su profili di censura che si risolvono ne reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di mer dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (si vedano pagg. 1-3 della sentenza impugnata);
che il giudice di appello ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi d giurisprudenza di legittimità, secondo cui «ai fini della configurabilità del rea ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente. (In motivazione, la S. C. ha precisato che ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un “vulnus” alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispe incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza circa la provenien illecita della “res”, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa)» (Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 – 01);
osservato che anche il terzo motivo di ricorso, che contesta la mancata riqualificazione del reato ascritto all’imputato in quello di cui all’art. 624 cod. pen., è privo di spec perché meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi, con corretti argomenti giuridici, dal giudice del gravame (cfr. pagg. 2-3 de sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
Pp/
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 01/07/2025.