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Ricorso per ricettazione: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per ricettazione. L’ordinanza sottolinea che un ricorso per ricettazione non può limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, ma deve contenere critiche specifiche alla sentenza. La Corte ha ribadito che la consapevolezza della provenienza illecita del bene può essere desunta anche dal comportamento dell’imputato, come la mancata o non attendibile spiegazione sul possesso della cosa.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Ricettazione: Quando la Cassazione lo Dichiara Inammissibile

L’ordinanza in esame offre un importante spunto di riflessione sui requisiti di ammissibilità di un ricorso per ricettazione dinanzi alla Corte di Cassazione. Con una decisione netta, i giudici hanno respinto il ricorso di un imputato, confermando la sua condanna e stabilendo principi chiari sulla specificità dei motivi di appello e sulla prova dell’elemento soggettivo del reato. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni della Corte.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato in primo e secondo grado per il reato di ricettazione, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione lamentando tre principali violazioni. In primo luogo, contestava la valutazione delle prove, sostenendo che i giudici di merito avessero fondato la condanna su dichiarazioni testimoniali inattendibili. In secondo luogo, negava la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero la consapevolezza che il bene in suo possesso provenisse da un delitto. Infine, contestava il riconoscimento della recidiva, ritenendola ingiustificata.

L’Analisi della Corte sul ricorso per ricettazione

La Corte di Cassazione ha esaminato i tre motivi del ricorso per ricettazione e li ha ritenuti tutti manifestamente infondati, giungendo a una dichiarazione di inammissibilità. Vediamo perché:

1. Valutazione della prova: Il primo motivo è stato respinto perché non rappresentava una critica argomentata alla sentenza impugnata, ma si limitava a una generica riproposizione di argomenti già esaminati e motivatamente disattesi dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ricordato che non è loro compito riesaminare il merito delle prove, ma solo verificare la logicità e la coerenza della motivazione. In questo caso, la Corte d’Appello aveva adeguatamente spiegato perché le dichiarazioni accusatorie fossero attendibili.

2. Elemento soggettivo del reato: Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile perché reiterativo e generico. La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato: la prova della conoscenza della provenienza illecita della cosa può essere desunta da qualsiasi elemento, anche indiretto. Il comportamento dell’imputato, come la mancata o palesemente non credibile giustificazione sulla provenienza del bene, è un fattore cruciale che rivela la volontà di occultamento e, quindi, un acquisto in malafede.

3. Sussistenza della recidiva: Il terzo motivo è stato parimenti considerato infondato. La Corte ha stabilito che i giudici di merito avevano correttamente valutato il rapporto tra il reato in giudizio e i precedenti penali dell’imputato, ravvisando una perdurante inclinazione a delinquere che giustificava l’applicazione della recidiva.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su principi procedurali e sostanziali di grande rilevanza. Dal punto di vista procedurale, viene ribadito che il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul fatto. I motivi devono essere specifici e devono evidenziare vizi logici o violazioni di legge nella sentenza impugnata, non limitarsi a chiedere una nuova e diversa valutazione delle prove. La mera ripetizione dei motivi d’appello rende il ricorso aspecifico e, quindi, inammissibile.

Dal punto di vista sostanziale, la Corte ha rafforzato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel reato di ricettazione, l’onere di fornire una spiegazione plausibile sull’origine del bene ricade su chi ne ha il possesso. L’assenza di tale spiegazione, o la sua manifesta inverosimiglianza, costituisce un solido indizio della consapevolezza della provenienza delittuosa, sufficiente a fondare una dichiarazione di colpevolezza.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame è un chiaro monito: per presentare un efficace ricorso per ricettazione in Cassazione è indispensabile formulare censure precise e puntuali contro la struttura logico-giuridica della sentenza di secondo grado. Non è sufficiente contestare genericamente la ricostruzione dei fatti. La decisione conferma inoltre l’importanza degli elementi indiziari, e in particolare del comportamento dell’imputato, per accertare la sussistenza dell’elemento psicologico nel reato di ricettazione. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a conferma della definitività della sua condanna.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano una semplice reiterazione delle argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza contenere una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata. Erano, quindi, manifestamente infondati e generici.

Come si dimostra la consapevolezza di possedere merce rubata nel reato di ricettazione?
Secondo la Corte, la consapevolezza della provenienza illecita del bene può essere desunta da qualsiasi elemento, anche indiretto. In particolare, il comportamento dell’imputato, come la mancata o non attendibile spiegazione sull’origine della cosa posseduta, è considerato un forte indizio di acquisto in malafede.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta il rigetto del ricorso senza che la Corte esamini il merito della questione. Di conseguenza, la sentenza di condanna impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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