Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28190 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28190 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a null (Albania) il 01/09/1972
avverso la sentenza del 02/10/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di Roma.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 38267 del 2.10.2024, la Terza Sezione penale della Corte Suprema di Cassazione -per quanto qui rileva -ha dichiarato inammissibile il ricorso di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Asti che, pronunciandosi ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., applicava al medesimo la pena concordata di anni 4 di reclusione per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 73 d.P.R. 309/90 (sostituita con la detenzione domiciliare), e disponeva la c.d. ‘confisca allargata’ ex art. 240 -bis cod. pen.
Avverso tale sentenza, relativamente alla disposta confisca, ha proposto ricorso straordinario per cassazione NOME COGNOME chiedendone la revoca, previa correzione dell’errore di fatto ivi contenuto.
Si deduce -in sintesi -che la sentenza impugnata sia incorsa in una svista, consistita nel non essersi i giudicanti avveduti degli atti processuali allegati al ricorso, così affermando erroneamente che il ricorso fosse privo di autosufficienza.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore ha depositato note scritte di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il proposto ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Va premesso che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, che può essere valorizzato con il rimedio straordinario previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen., è solo l’errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Qualora, invece, la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale non deducibile con il rimedio straordinario (cfr. Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Rv. 221280 – 01).
L’estraneità del rimedio del ricorso straordinario all’errore che non abbia basi percettive ma solo giuridico-valutative è stata costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, anche di recente nel suo più autorevole consesso (cfr. Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Rv. 263686 -01).
Sulla stessa linea interpretativa, è stato affermato il principio secondo cui non rientrano nell’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193 -01).
Nel caso in disamina, non appare configurabile alcun errore di fatto o percettivo, avendo la sentenza impugnata dato atto della ineccepibilità, nel merito, del percorso motivazionale del giudicante, nella parte in cui aveva censurato il mancato assolvimento da parte del ricorrente dell’onere di una puntuale indicazione delle specifiche circostanze positive volte a confutare la presunzione relativa di accumulo di ricchezza illecita, rilevante ex art. 240-bis
cod. pen. nei confronti di coloro che sono stati condannati per reati di particolare allarme sociale e gravità, come nel caso di specie.
Sotto questo profilo, la valutazione della Suprema Corte si è limitata a riscontrare l’assenza di specifici vizi di legittimità nel percorso motivazionale del Giudice di merito , a fronte della dimostrazione, da parte dell’accusa, della sproporzione tra guadagni dell’imputato e patrimonio, e del mancato assolvimento da parte del ricorrente del proprio onere probatorio sulla legittima provenienza del bene confiscato, in tal senso affermando l’aspecificità del motivo proposto in quella sede.
Si tratta di valutazioni in diritto che esulano dai ristretti limiti del ricorso straordinario, che, come sopra ricordato, è istituto non invocabile allorché la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, trattandosi in tal caso non di un errore di fatto, bensì di giudizio.
4 . Stante l’inammissibilità de l ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 giugno 2025