Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12479 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12479 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 08/04/2003
avverso la sentenza del 21/03/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che COGNOME COGNOME condannato in primo e secondo grado alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990 – perché, in concorso con altri, senza autorizzazione, deteneva illecitamente, al fine di cederla a terzi, più quantitativi di sostanza stupefacente (20,35 grammi di eroina, 851,61 di cocaina e 1,30 di hashish) – ha proposto ricorso per cassazione;
che, con un primo motivo di censura, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale erroneamente confermato il giudizio di responsabilità per il reato ascritto, pur in assenza di un dato probatorio che rispecchi i criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.;
che, secondo la difesa, nella valutazione operata dai giudici di merito, non si sarebbero adeguatamente considerati molteplici elementi a discarico, quali: a) le dichiarazioni rese dall’imputato e le relative tempistiche di accesso all’immobile, incompatibili con qualsivoglia contributo al contestato confezionamento dello stupefacente e ritenute conformi alla dichiarata finalità di ricarica del proprio monopattino; b) le affermazioni riferite dal coimputato circa l’estraneità del ricorrente ai traffici illeciti svoltisi all’interno della propria abitazione l’incensuratezza dell’imputato; d) la sua giovanissima età; e) la condizione lavorativa dello stesso; f) gli esiti negativi della perquisizione personale;
che, con un secondo motivo di doglianza, si lamenta il difetto motivazionale in ordine alla mancata qualificazione del fatto nella fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, tenuto conto della modesta quantità di stupefacente rinvenuto, delle modalità della condotta nonché dell’esiguo quantitativo di denaro sequestrato;
che, con una terza censura, si contesta infine il vizio di motivazione, con riguardo alla dosimetria della pena e alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., non essendo stati considerati la dinamica dei fatti, le modalità del sequestro e le dichiarazioni del coimputato.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il primo motivo di impugnazione è inammissibile, giacché meramente riproduttivo di doglianze già esaminate e motivatamente disattese nel giudizio di secondo grado, diretto altresì a sollecitare una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di un’alternativa “rilettura” del quadro probatorio, già adeguatamente valutato dai giudici di merito, con coerenti e conformi argomentazioni;
che, in ogni caso, la difesa non contesta compiutamente le affermazioni della sentenza secondo cui i militari sorprendevano i due coimputati impegnati nel confezionamento dell’ingente quantitativo di stupefacente detenuto, non essendo
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plausibile la versione alternativa prospettata dal ricorrente, secondo cui questi sarebbe entrato nell’abitazione del coimputato al solo fine di ricaricare la batteria del proprio monopattino elettrico;
che il secondo motivo è parimenti inammissibile per mancanza di specificità, in quanto propone censure che non prendono in considerazione, nemmeno a fini di critica, la motivazione della sentenza impugnata;
che, invero, il provvedimento impugnato risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove giustifica la mancata qualificazione dei fatti di reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, evidenziando: a) l’ingente quantità di stupefacente sequestrato; b) la diversità quantitativa dello stesso; c) la disponibilità di una specifica organizzazione di mezzi, tale da fare ipotizzare una sistematica attività illecita;
che, in ordine al trattamento sanzionatorio, nessun profilo di illegittimità è ravvisabile nella sentenza di secondo grado, allorché si consideri che il riferimento, da parte del giudice dell’appello, agli elementi posti a fondamento del diniego dell’invocata fattispecie attenuata ed alla piena partecipazione dell’imputato alle fattispecie delittuose in contestazione, è ampiamente sufficiente sul punto;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025.