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Ricorso per diffamazione: limiti e inammissibilità

Un individuo, condannato per aver diffamato il proprio avvocato tramite un esposto, ha presentato ricorso in Cassazione. La Corte ha dichiarato il ricorso per diffamazione inammissibile, chiarendo che i motivi basati su vizi di motivazione non sono ammessi per le sentenze emesse in origine dal Giudice di Pace. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese, di una sanzione e del risarcimento alla parte civile.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per diffamazione: quando la Cassazione lo dichiara inammissibile

Presentare un ricorso per diffamazione in Cassazione richiede un’attenta conoscenza delle norme procedurali. Non tutti i motivi di lamentela sono validi per accedere al giudizio di legittimità, specialmente quando il procedimento ha origine davanti al Giudice di Pace. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18815/2024, offre un chiaro esempio di come la scelta di motivi non consentiti porti a una declaratoria di inammissibilità, con conseguenze economiche significative per il ricorrente. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

Il caso: una condanna per diffamazione a un avvocato

La vicenda giudiziaria nasce dalla condanna di un uomo per il reato di diffamazione ai danni del suo ex avvocato. L’imputato aveva inoltrato un esposto al Consiglio dell’Ordine degli avvocati, muovendo accuse ritenute lesive della reputazione del legale. La condanna, emessa in primo grado dal Giudice di Pace di Perugia, prevedeva una multa di 400 euro, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile.

La sentenza è stata successivamente confermata dal Tribunale di Perugia. Non soddisfatto, l’imputato ha deciso di proseguire la sua battaglia legale presentando un ricorso per diffamazione dinanzi alla Corte di Cassazione.

I motivi del ricorso per diffamazione

L’atto di impugnazione si fondava su due principali motivi, con i quali si cercava di scardinare la decisione dei giudici di merito.

La richiesta di una prova non ammessa

Il primo motivo lamentava un errore di diritto relativo alla mancata ammissione di una prova ritenuta cruciale: la registrazione audio di una telefonata. Secondo la difesa, questa registrazione avrebbe dimostrato che l’avvocato aveva richiesto un pagamento in contanti per le sue prestazioni, proprio per evitarne la tracciabilità. Il Tribunale, secondo il ricorrente, avrebbe omesso di motivare adeguatamente il rigetto di tale istanza.

L’esercizio del diritto e l’assenza di dolo

Con il secondo motivo, la difesa sosteneva la presenza della scriminante dell’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.) e l’assenza dell’elemento psicologico del reato. Si affermava che le espressioni usate nell’esposto fossero contenute entro i limiti della continenza e che, in ogni caso, l’imputato avesse agito nell’erronea convinzione di non commettere alcun illecito.

Le motivazioni: i limiti del ricorso contro le sentenze del Giudice di Pace

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, non entrando nel merito delle questioni sollevate. La ragione è puramente procedurale ma di fondamentale importanza. I giudici hanno chiarito che il ricorso per cassazione contro le sentenze pronunciate in appello per reati di competenza del Giudice di Pace è proponibile solo per specifici motivi, elencati nell’art. 606, comma 1, lett. a), b) e c) del codice di procedura penale (violazioni di legge sostanziale o processuale).

Nel caso specifico, entrambi i motivi presentati dal ricorrente, sebbene formalmente rubricati come violazione di legge (lett. b), celavano in realtà una critica alla motivazione della sentenza impugnata. Contestare la mancata ammissione di una prova o l’errata valutazione della scriminante significa, di fatto, lamentare un’omessa, insufficiente o contraddittoria ricostruzione dei fatti. Questo tipo di doglianza integra un “vizio di motivazione”, che è esplicitamente escluso dai motivi ammissibili per questa tipologia di ricorsi.

La Corte ha sottolineato che i giudici d’appello avevano già ampiamente e dettagliatamente motivato sia la superfluità dell’acquisizione della registrazione telefonica sia l’impossibilità di applicare la scriminante, dato il contenuto dell’esposto, ritenuto falso e offensivo.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

La sentenza ribadisce un principio cruciale: non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione come un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti. L’inammissibilità del ricorso ha comportato conseguenze pesanti per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali, il versamento di 3.000 euro alla Cassa delle ammende e la rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, liquidate in 3.686 euro oltre accessori. Questa decisione serve da monito sull’importanza di fondare i ricorsi su motivi proceduralmente validi, per evitare non solo una sconfitta legale, ma anche un significativo aggravio di costi.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove in un processo per diffamazione iniziato davanti al Giudice di Pace?
No, secondo questa sentenza non è possibile. Il ricorso per Cassazione avverso sentenze del Giudice di Pace è limitato a specifici motivi di diritto (violazione di legge) e non può riguardare vizi di motivazione, come la mancata ammissione o la valutazione di una prova.

Quali sono le conseguenze di un ricorso per diffamazione dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende (in questo caso 3000 euro) e alla rifusione delle spese legali della parte civile.

Presentare un esposto a un ordine professionale può costituire diffamazione?
Sì. Sebbene si eserciti un diritto, se il contenuto dell’esposto è falso, offensivo e supera i limiti della continenza, può integrare il reato di diffamazione, come stabilito nel caso di specie dove la Corte ha confermato la condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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