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Ricorso per Cassazione: quando si converte in appello

La Corte di Cassazione ha stabilito che un ricorso per cassazione presentato da un Procuratore avverso una sentenza di assoluzione per un reato fiscale, sebbene formalmente lamenti una violazione di legge, deve essere riqualificato come appello se, nella sostanza, contesta il vizio di motivazione della sentenza di primo grado. Di conseguenza, gli atti sono stati trasmessi alla competente Corte d’Appello per un nuovo esame del merito.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Cassazione errato? La Suprema Corte lo trasforma in Appello

Un’ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sulle regole procedurali che governano le impugnazioni penali, in particolare la distinzione tra ricorso per cassazione e appello. Il caso in esame riguarda un’assoluzione per un reato fiscale e l’impugnazione del Pubblico Ministero, che, pur lamentando una violazione di legge, in realtà contestava il merito della valutazione del giudice. Vediamo nel dettaglio la vicenda e la decisione della Corte.

I fatti del caso: l’assoluzione per omessa dichiarazione

Il Tribunale di Torino aveva assolto un imputato dall’accusa di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi (reato previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000). La formula assolutoria era “perché il fatto non costituisce reato”.

Il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’imputato non avesse la piena consapevolezza che l’imposta evasa superasse la soglia di punibilità prevista dalla legge. In altre parole, secondo il Tribunale, mancava il cosiddetto “dolo di evasione”, ovvero l’intenzione cosciente e volontaria di evadere le imposte per un ammontare penalmente rilevante. Questa valutazione era stata desunta dalla personalità dell’imputato.

L’impugnazione del Pubblico Ministero e il ricorso per cassazione

Contro questa sentenza, il Procuratore della Repubblica ha proposto direttamente ricorso per cassazione. Formalmente, il ricorso lamentava una “violazione di legge”. Tuttavia, nel merito, le critiche del PM si concentravano sulla motivazione della sentenza. Secondo l’accusa, il Tribunale non aveva adeguatamente considerato alcuni elementi che, al contrario, sarebbero stati chiari indicatori della volontà di evadere le imposte.

Tra questi elementi figuravano:
* L’omesso, seppur tardivo, pagamento delle imposte evase.
* La mancata risposta agli avvisi inviati dall’Amministrazione finanziaria.
* L’assenza di qualsiasi tentativo di interlocuzione con l’Agenzia delle Entrate per chiarire la propria posizione fiscale.

Il Procuratore, quindi, non contestava un’errata interpretazione di una norma, ma il modo in cui il giudice aveva valutato le prove e costruito il proprio ragionamento, ovvero un “vizio di motivazione”.

La decisione della Corte di Cassazione: la conversione in appello

La Suprema Corte ha analizzato il ricorso del Procuratore e ha concluso che, al di là del nome formale, l’impugnazione mirava a censurare la logicità e la completezza della motivazione della sentenza di assoluzione. Si trattava, quindi, di una critica di merito e non di legittimità.

Le motivazioni

La Corte ha applicato il principio sancito dall’articolo 569, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che non è consentito il ricorso immediato per cassazione (il cosiddetto ricorso per saltum) quando si adduce un vizio di motivazione. Le critiche che attengono alla valutazione dei fatti e delle prove devono essere devolute al giudice d’appello, che ha il potere di riesaminare il merito della vicenda.

Quando un ricorso formalmente presentato in Cassazione contiene, in realtà, censure tipiche dell’appello, il ricorso stesso viene “convertito”. Non viene dichiarato inammissibile, ma viene riqualificato come appello e trasmesso alla Corte d’Appello competente.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione è un’importante lezione di procedura penale. Anche se un’impugnazione viene formalmente denominata ricorso per cassazione, ciò che conta è la sostanza delle doglianze. Se queste riguardano la ricostruzione dei fatti o la valutazione delle prove, la sede naturale per la loro discussione è il giudizio d’appello. Con questa ordinanza, la Corte ha quindi qualificato il ricorso come appello e ha ordinato la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Torino. Il processo, dunque, non è concluso: ora spetterà ai giudici di secondo grado riesaminare il caso e decidere se l’assoluzione iniziale fosse corretta o se, come sostiene l’accusa, gli indizi del dolo di evasione fossero sufficienti per una condanna.

Perché l’imputato era stato assolto in primo grado?
L’imputato era stato assolto perché il Tribunale aveva ritenuto che non avesse la piena consapevolezza che l’ammontare delle imposte non versate superasse la soglia di punibilità, escludendo quindi la sussistenza del dolo di evasione.

Qual era il vero motivo del ricorso del Procuratore?
Sebbene formalmente il ricorso lamentasse una violazione di legge, nella sostanza il Procuratore contestava la motivazione della sentenza, sostenendo che il giudice non avesse correttamente valutato elementi indicativi del dolo di evasione, come il mancato pagamento delle imposte e la mancata risposta agli avvisi dell’amministrazione fiscale.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione e perché?
La Corte di Cassazione ha riqualificato il ricorso come appello e ha trasmesso gli atti alla Corte d’Appello di Torino. La decisione si basa sull’art. 569, comma 3, c.p.p., che non consente il ricorso immediato per cassazione per vizi di motivazione, i quali devono essere esaminati dal giudice d’appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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