Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10985 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10985 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in INDIRIZZO Isernia, in persona del legale rappresentante pro-tempore rappresentata ed assistita dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso l’ordinanza in data 10/9/2024 del Tribunale di Isernia in funzione di giudice del riesame, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento è trattato in forma cartolare; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 10 settembre 2024, a seguito di giudizio ex art. 325 c.p.p., il Tribunale del riesame di Isernia ha rigettato l’impugnazione proposta nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto emesso in data 29 luglio 2024 del Tribunale della medesima città – quale giudice del dibattimento NRG. Trib. 794/2015 – con il quale era stato disposto il sequestro preventivo di 14 autovetture oggetto di decisione di confisca adottata nell’indicato procedimento a carico di NOME COGNOME veicoli dei quali la ricorrente è risultata aggiudicata ri a.
Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore della predetta società, deducendo con motivo unico: violazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. per grave vizio motivazionale in relazione alla valutazione circa la ricorrenza del nesso di derivazione della provvista utilizzata per l’acquisto delle 14 vetture in sequestro rispetto all’iniziale provento del contestato reato di riciclaggio.
Dopo avere ricostruito la vicenda in relazione alla quale è stato emesso il provvedimento cautelare di natura reale e gli elementi di prova asseritamente forniti dalla difesa della ricorrente per dimostrare la provenienza della provvista economica finalizzata all’acquisto dei veicoli, nonché la conseguente insussistenza del nesso di derivazione causale tra le somme impiegate per l’acquisto delle 14 autovetture oggetto di sequestro ed il profitto provento del reato di autoriciclaggio contestato all’imputato COGNOME che è chiamato a rispondere innanzi al Tribunale dei reati di cui all’art. 648-bis e 648-ter.1 cod. pen., deduce la difesa dell ricorrente come i passaggi argomentativi dell’ordinanza del Tribunale del riesame sarebbero privi dei requisiti di coerenza, completezza e logicità e non si confronterebbero adeguatamente con le specifiche deduzioni difensive circa la sussistenza di elementi probatori, di natura documentale, attestanti la provenienza lecita delle somme utilizzate dalla società di RAGIONE_SOCIALE Immobiliare per l’acquisto all’asta delle autovetture oggetto di sequestro.
La motivazione adottata dal Tribunale del riesame, sarebbe – secondo la difesa della ricorrente – pertanto caratterizzata da incoerenza logica nella parte in cui i Giudici avrebbero sovrapposto due piani di indagine, ovvero quello delle ragioni per le quali la legale rappresentate della società (NOME COGNOME aveva la disponibilità di somme contanti (poi convertite in un assegno circolare ai fini della partecipazione all’asta per l’acquisto degli autoveicoli) e quello dell’accertamento della provenienza lecita (dal conto corrente intestato ad NOME COGNOME nipote della COGNOME) di detta provvista economica che è stato regolarmente documentato.
In sostanza, tutte le movimentazioni del denaro di provenienza lecita utilizzato per la partecipazione all’asta sarebbero state regolarmente documentate.
Sempre secondo la difesa della ricorrente, il Tribunale si sarebbe limitato ad enfatizzare il carattere suggestivo della giustificazione addotta dalla legale rappresentante della società ricorrente circa la necessità di disporre di denaro contante prima della partecipazione all’asta.
Di conseguenza, la motivazione contenuta nell’ordinanza impugnata sarebbe solo apparente atteso che il Tribunale non ha spiegato perché i documenti prodotti dalla difesa della ricorrente non sono sufficienti a dimostrare la liceità delle somme de quibus e neppure ha posto in correlazione la valenza dimostrativa della documentazione prodotta con le emergenze contenute negli atti di indagine circa la concreta destinazione che effettivamente ha avuto la somma di 250.000 euro provento del contestato reato di riciclaggio ed in particolare quella di circa 53.000 euro che il Pubblico Ministero ha ritenuto residuare rispetto alla somma di euro 115.000 sulla quale è già stato eseguito il provvedimento genetico di sequestro ed a quella di 80.850,53 euro utilizzata per l’acquisto di due immobili già a loro volta sottoposti a sequestro.
La medesima aporia logica sconterebbero, infine, le affermazioni contenute nell’ordinanza impugnata secondo cui non vi sarebbe prova del titolo di provenienza per la restituzione del prestito in favore di NOME COGNOME e che la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata costituita ed opererebbe come mero schermo formale dei proventi illeciti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile
2. Deve, in via preliminare, essere ricordato che ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse all’esito del procedimento di riesame di cui all’art. 324 cod. proc. pen. può essere proposto solo per violazione di legge (art. 606, lett. b e c, cod. proc. pen.).
Non sfugge dalla lettura del ricorso presentato innanzi a questa Corte di legittimità che nell’intestazione del motivo di ricorso, al di là di un generic richiamo alla “violazione di legge” si fa espresso richiamo solo alla lett. e), dell’ar 606 cod. proc. pen. eccependo un «grave vizio motivazionale» in ordine alla valutazione circa la ricorrenza del nesso di derivazione della provvista utilizzata
per l’acquisto delle 14 vetture in sequestro rispetto all’iniziale provento del contestato reato di riciclaggio.
Al di là delle rigorose questioni formali, scorrendo il contenuto del ricorso, emerge di tutta evidenza come parte ricorrente si duole nei vari passaggi del contenuto della motivazione del provvedimento impugnato e delle affermazioni in esso contenute (che qualifica come logicamente incoerenti) e solo in un passaggio (pag. 7 del ricorso) qualifica come “apparente” la motivazione stessa, così lasciando intendere – senza alcun altro esplicito riferimento – che si potrebbe ipotizzare una violazione di legge in relazione alla quale non risultano neppure indicate (a pena di attributo di “genericità”) quali sarebbero le norme di legge violate.
L’esclusione della possibilità di ricorrere innanzi alla Corte di legittimità per una delle situazioni di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., di cer non riconducibili alla violazione di legge con la conseguenza che, in queste ipotesi, il controllo di legittimità non si può estendere all’adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del discorso giustificativo della decisione, finisce per relegare la possibilità di denunciare con il ricorso per cassazione solo i casi di motivazione inesistente o meramente apparente che si verificano quando essa manchi assolutamente o sia, altresì, del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento.
Solo in questo caso, infatti, il vizio appare in tal caso qualificabile come inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
Orbene, rileva la Corte che nel caso in esame la motivazione dell’ordinanza impugnata non presenza i vizi evidenziati legittimanti il ricorso innanzi a questa Corte di legittimità, avendo i Giudici del Tribunale spiegato le ragioni per le quali, nonostante le argomentazioni e gli altri elementi loro forniti dalla difesa, permane comunque il fumus che le somme utilizzate per l’acquisto dei veicoli sottoposti a sequestro siano di provenienza illecita.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. /
pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 gennaio 2025.