Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35685 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35685 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/10/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato in India il DATA_NASCITA NOME, nato in India il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 28 maggio 2025, depositata il 5 giugno 2025; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; Lette le conclusioni del Procuratore generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto che sia dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME e rigettato il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME Con ordinanza del 28 maggio 2025, depositata il 5 giugno 2025, il Tribunale del riesame di Venezia ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa il 5 maggio 2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona che ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME e NOME, entrambi reputati gravemente indiziati,
insieme ad altri connazionali appartenenti al gruppo etnoreligioso «RAGIONE_SOCIALE» ma affiliati a due diversi e contrapposti gruppi (quello denominato «dei RAGIONE_SOCIALE» e quello inteso «dei Veneti»), del reato di cui all’art. 588, secondo comma, cod. pen. compiutamente descritto al capo A), ed ‘ft secondo anche in relazione al delitto di omicidio in danno di NOME di cui al capo B) della medesima rubrica.
NOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo con il quale lamenta, ex art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., carenza e/o illogicità della motivazione nella parte in cui è stato confermato il giudizio di gravità indiziaria in relazione ai delitti ascritti.
Il difensore rappresenta che:
la valutazione ex art. 273 cod. proc. pen. si fonda, in via esclusiva, sugli esiti di un’intercettazione ambientale registrata, a partire dalle ore 21.45 dell’8 novembre 2024, a bordo dell’autovettura in uso ad un connazionale del ricorrente a nome NOME COGNOME;
nel corso di detto dialogo, NOME COGNOME, detto «NOME», in compagnia del quale il NOME si era intrattenuto, ha commentato l’inusitata ferocia della quale uno dei partecipanti all’aggressione si era macchiato ai danni della vittima;
«NOME», nell’immediatezza, ha mostrato al NOME, per mezzo del cellulare, un filmato additando il soggetto del quale aveva parlato come la persona seduta accanto a NOME;
detto particolare ha condotto gli operanti all’identificazione dell’assistito quale partecipe al fatto delittuosa;
nei giorni precedenti all’8 novembre 2024, però, allorché era stato ripetutamente escusso dai militari operanti – e, in particolare, già la sera del 3 novembre 2024, data nella quale era stata consumata la mortale aggressione ai danni di NOME, che ha sin da subito ammesso di essere a conoscenza dei fatti pur palesandosi estraneo alla loro consumazione, non ha mai operato una chiamata in reità ai danni di NOME;
in particolare, il NOME non ha riferito del coinvolgimento del ricorrente nemmeno il 9 novembre 2024, il giorno successivo, cioè, rispetto al momento in cui aveva ricevuto l’informazione ad opera di NOME, allorché è stato nuovamente assunto a sommarie informazioni;
la circostanza è altamente sintomatica del fatto che il NOME ha, all’evidenza, ritenuto inaffidabile «COGNOME» ed ha, per l’effetto, degradato la confidenza da quest’ultimo ricevuta a contributo immeritevole di essere disvelato agli inquirenti;
«NOME», in quanto soggetto coinvolto nella rissa, assumerà in sede processuale la veste «di testimone assistito, e dunque di chiamante in correità», circostanza,
quest’ultima che permette di pronosticare sin d’ora il fallimento dell’ipotesi accusatoria all’atto del giudizio («essendo il racconto di COGNOME unico elemento a carico del ricorrente, la futura chiamata in correità, perché tale sarà il nomen da assegnare al ricorrente, necessiterà di robusti riscontri che però, come detto, difettano del tutto»);
la conversazione valorizzata a fini indiziari non è, ancor prima, univocamente interpretabile atteso che NOME, nell’accusare colui che viene identificato come l’odierno ricorrente, ha, invero, descritto l’azione aggressiva come consumata ai danni di un soggetto indicato come «NOME», che sarebbe, invero, persona diversa rispetto a «NOME», termine con il quale si ritiene fosse soprannominata la vittima;
ad inficiare ulteriormente l’attendibilità di NOME COGNOME interviene la descrizione operata in merito all’abbigliamento che l’assistito avrebbe indossato all’atto dell’aggressione. La felpa di colore giallo che, a dire di «NOME», il ricorrente ha indossato nelle ore serali del 3 novembre – capo di abbigliamento, peraltro, non rinvenuto all’atto della perquisizione della quale è stato fatto segno in occasione dell’esecuzione dell’ordinanza custodiale – risulta in uso ad un soggetto che, ripreso da una telecamera collocata sui luoghi, presenta età e caratteristiche somatiche profondamente diverse rispetto a quelle del NOME;
l’apparecchio cellulare in uso all’assistito ha agganciato, nei minuti immediatamente successivi alla consumazione dell’aggressione, celle collocate a significativa distanza dal luogo in cui l’evento delittuoso è stato consumato.
NOME propone, con il AVV_NOTAIO dellAVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo con il quale deduce ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. vizio di motivazione del provvedimento impugnato e violazione di legge.
Il difensore lamenta che il tribunale:
dopo aver escluso la sussistenza dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., aver poi riconosciuto che l’assistito non ha assunto nella vicenda delittuosa un ruolo apicale ed aver da ultimo evidenziato che lo stesso ha reso nell’immediatezza dei fatti dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie, ha contraddittoriamente confermato in toto l’ordinanza genetica, in tal modo operando «un’indiscriminata equiparazione delle posizioni personali dei diversi coindagati» e trascurando, in particolare, «l’importante spunto investigativo» che l’assistito ha offerto a mezzo delle propalazioni rese;
non ha poi operato, in violazione di quanto disposto dall’art. 275, comma 3 bis, cod. proc. pen, alcuna valutazione critica in ordine all’idoneità dell’invocata misura meno afflittiva degli arresti domiciliari – da adottarsi nella sua forma ordinaria, a
mezzo delle particolari forme di controllo di cui all’art. 275 bis cod. proc. pen. rispetto alla riconosciuta esigenza di infrenare il rischio di recidiva.
Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso presentato nell’interesse di NOME venga dichiarato inammissibile, essendosi il difensore limitato a prospettare in sede di legittimità una non consentita rilettura delle fonti probatorie. Ha chiesto, di contro, il rigetto del ricors presentato nell’interesse di NOME, valutando non fondate le argomentazioni difensive e coerente la motivazione del provvedimento impugnato in punto di adeguatezza della misura applicata.
CONSIDERATO IN DIRITIr0
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME è inammissibile.
Nell’esplicitare la ragioni che sorreggono il giudizio appena formulato, va anzitutto premesso come non possano essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando esse non siano deducibili dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. (cfr. ex plurimis, Sez. 2, n. 11027 del 20/01/2016, Iuliucci, Rv. 266226 – 01).
Anche di recente è stato ribadito che, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti de libertate, pur nella peculiarità del contesto decisorio del giudizio di riesame resa manifesta dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., il ricorrente ha l’onere di specificare le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sulle fonti di prov e sulla relativa valutazione) onde provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate e complete, sulle quali la Corte di cassazione può essere chiamata ad esprimersi. Pertanto, in mancanza di tale devoluzione, è inammissibile il ricorso che sottoponga alla Corte di legittimità censure su tali punti, che non possono trovare risposte per carenza di cognizione in fatto addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere, in relazione ai limiti del giudizio di cassazione, ex art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, Di, Rv. 279505 – 03). Il consolidato quanto condivisibile canone ermeneutico appena tracciato impedisce ogni considerazione in questa sede in merito alla presunta incostanza del narrato
offerto, nei giorni immediatamente successivi al delitto, dal teste NOME COGNOME, in ordine, poi, alla qualità della fonte che avrebbe reso edotto quest’ultimo del coinvolgimento nella rissa del ricorrente e, infine e soprattutto, in relazione alla stessa asserita equivocità del contenuto della riservata conversazione dai predetti intrattenuta nelle ore pomeridiane dell’8 novembre 2024.
Trattasi, infatti, di doglianze che non sono state sottoposte al vaglio critico del tribunale distrettuale (ad esse, infatti, nessun riferimento viene operato nella memoria difensiva riepilogativa delle contestazioni difensive prodotta all’udienza camerale ex art. 309 cod. proc. pen. tenutasi il 28 maggio 2025).
Essendo state dedotte per la prima volta in sede di legittimità come vizi di motivazione del provvedimento genetico, esse degradano, allora, ad inammissibile motivo di censura, insuscettibile, come tale, di considerazione da parte di questa Corte.
COGNOME Con riguardo alle ulteriori censure critiche, appare necessario rimarcare come in tema di misure cautelari personali il giudizio di legittimità relativo alla verifica di sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari debba verificare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.
In particolare, ove sia denunciato un vizio di motivazione del provvedimento cautelare in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, la Corte di legittimità deve limitarsi a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato ed apprezzare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare il vaglio delle risultanze probatorie (sull’argomento, cfr. Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 1, n. 50466 del 15/06/2017, NOME, non massimata; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460).
Il controllo di legittimità non può pertanto intervenire sulla ricostruzione dei fatti né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la conducenza dei dati probatori, sicché risultano inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito o nella proposizione di un’alternativa lettura critica del compendio.
Così sinteticamente delineati natura del giudizio di legittimità e limiti del sindacato che ad esso ineriscono in subiecta materia, reputa questa Corte che le ulteriori censure critiche formulate nel corpo del ricorso ex art. 311 cod. proc. pen. costituiscano solo un’inammissibile reiterazione acritica delle doglianze già
prospettate con l’istanza di riesame, doglianze con le quali il Tribunale ha, invece, dimostrato di essersi adeguatamente confrontato (cfr. pag. 9 della motivazione) rendendo una motivazione completa ed esaustiva, cui sono estranei passaggi argomentativi inficiati da contraddittorietà o da manifesta illogicità.
Nel provvedimento impugnato si è, infatti, rimarcata la peculiare forza dimostrativa dell’emergenza captativa registrata nelle ore serali dell’8 novembre 2024, costituente l’unico elemento a carico dell’indagato, e si è correttamente evidenziato, nel contempo, come quest’ultima, ben fungi dal costituire una chiamata in reità o correità che necessita di riscontri ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., integri una fonte che possa legittimare ex se un giudizio di gravità indiziaria ove il suo significato sia stato interpretato secondo criteri di linearità logica, come nel caso di specie è avvenuto (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, Mascia, Rv. 286150 – 04), e ciò anche nel momento in cui il soggetto intercettato assuma o possa assumere, nel medesimo procedimento, la veste di coindagato o indagato in procedimento connesso (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
Parimenti immune da aporie logico-argomentative appare l’ordinanza del Tribunale nella parte in cui ha esplicitato i motivi per i quali né le risultanze investigativ afferenti le celle utilizzate dall’utenza in uso al ricorrente né, tanto meno, le connotazioni dell’abbigliamento che quest’ultimo avrebbe indossato all’atto dell’agguato siano circostanze di fatto in grado di inficiare la forza della prospettazione accusatoria: trattasi, ancora una volta, di valutazioni logicamente apprezzabili con le quali il ricorrente evita il confronto, tanto da essersi limitato a ribadire innanzi a questa Corte la prospettazione critica già offerta al tribunale distrettuale.
COGNOME Anche il ricorso presentato nell’interesse di NOME è manifestamente infondato.
Le valutazioni offerte dal Tribunale in punto di sussistenza delle esigenze cautelari integrano, infatti, gli estremi di una motivazione coerente e lineare che non risulta travolta o anche solo incisa dagli argomenti difensivi offerti a mezzo del presente ricorso.
Nessun pregio può, anzitutto, attribuirsi alla circostanza che il Tribunale distrettuale non abbia ritenuto sussistente l’esigenza di cautela di cui all’art. 274, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., posto che l’aver condiviso il giudizio di esistenza di un rischio di recidiva è già di per sé condizione sufficiente per legittimare anche la più severa delle risposte cautelari; infondato è, poi, il richiamo ad un asserito contegno collaborativo assunto dal ricorrente nel corso delle indagini che non sarebbe stato adeguatamente soppesato (il tribunale, con argomento non contestato, ha richiamato dette dichiarazioni al solo fine di evidenziarne
l’inutilizzabilità, essendo state rese senza l’assistenza del difensore e non essendo state, all’evidenza, ribadite nel corso dell’interrogatorio di garanzia); privo di peso specifico appare, da ultimo, il riferimento al ruolo subalterno assunto da NOME nella vicenda in esame, avendo il Tribunale, ancora una volta con motivazione immune da vizi e peraltro non censurata dal difensore, correlato la necessità dell’adozione del più severo tra i provvedimenti di rigore all’apprezzamento della non comune gravità del fatto di reato del quale il ricorrente è stato partecipe e, soprattutto, del concreto rischio, apprezzato attraverso la disamina di alcune risultanze intercettative successive al fatto delittuoso, che ulteriori azioni omicidiarie potessero di lì a breve essere consumate nell’ambito della faida che contrappone i due summenzionati gruppi criminali (cfr. pag. 10 dell’ordinanza).
Parimenti affetta da manifesta inconsistenza è la censura difensiva in merito ad un’asserita carenza motivazionale dell’ordinanza circa le ragioni che renderebbero inadeguata la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari adottati nella forma ordinaria mediante le particolari forme di controllo di cui all’art. 275 bis cod. proc. pen..
Il Tribunale ha, infatti, al riguardo reso una motivazione dotata di apprezzabile consistenza logica – alla quale, ancora una volta, la difesa non si rapporta in termini critici – evidenziando, con locuzione di carattere generale, valevole, in quanto tale, per tutti gli indagati sottoposti al più severo tra i provvedimenti di rigore, come l’allocazione in un contesto domestico non si atteggi adeguata allo scopo di infrenare una ricaduta nel delitto, a fronte di un rischio di recidiva che presenta connotati di straordinaria pregnanza, dell’assenza di segni di resipiscenza e della concreta possibilità che ciascuno degli indagati possa, quand’anche sottoposto alla misura di cui all’art. 284 cod. proc. pen., continuare ad attivarsi a vantaggio dei sodali garantendo loro un contributo eziologicannente rilevante per la consumazione di ulteriori delitti.
COGNOME Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen.
In mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, NOME e NOME, devono essere altresì condannati, ciascuno, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Va, infine, disposto, ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, dd.aa. cod. proc. pen. che copia del presente provvedimento sia trasmesso, a cura della cancelleria, al direttore dell’istituto penitenziario in cui i ricorrenti sono ristretti perché provved agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 bis, dd.aa. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att.cod. proc. pen.
Così deciso il 29 ottobre 2025.