Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4804 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4804 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal COGNOME NOME nato a Cosenza 11 12/12/1989; nel procedimento a carico della medesima; avverso la ordinanza del 07/08/2024 del tribunale di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni dei difensori dell’imputato avv.ti COGNOME NOME e COGNOME NOME che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Catanzaro, adito nel nell’interesse di COGNOME NOME avverso la ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in ordine a plurimi episodi di spaccio di stupefacenti ed ad una fattispecie tentata di estorsione, rigettava l’istanza.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME NOME mediante il proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione.
Deduce, con il primo, vizi di violazione di legge e di motivazione. Si contesta, rispetto al capo 239 la mancata verifica, da parte del tribunale, delle modalità di effettuazione dell’avvenuto riconoscimento del ricorrente, senza
quindi superare l’incertezza del riconoscimento stesso. Si contesta poi la motivazione del tribunale in ordine alla dedotta circostanza della sussistenza, all’epoca dei fatti, per il ricorrente, del regime cautelare degli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico. Ritornando poi al tema del riconoscimento fotografico, si rappresenta che nella memoria depositata in sede di riesame era stata evidenziata la omissione della allegazione dell’album fotografico come della fotto riconosciuta. Su tale punto il tribunale sarebbe rimasto silente. Quanto ai capi 319 e 320 si contesta la risposta del tribunale circa la irrilevanza della corretta definizione del ritenuto rapporto di parentela esistente tra il ricorrente e il suo complice; si rappresenta la mancata motivazione in ordine alla censura difensiva circa i precisi luoghi inerenti l’abitazione del ricorrente, dove sarebbe avvenuta la cessione, in rapporto a quanto sul punto dichiarato dall’acquirente. E si contesta la mancata motivazione rispetto alla obiezione per cui la sussistenza del regime degli arresti domiciliari per il ricorrente avrebbe reso inverosimile l’inseguimento effettuato da quest’ultimo ai danni dell’acquirente, secondo il racconto reso da costui. Circa i capi 378 e 379 il tribunale non avrebbe risposto alla censura inerente il dato per cui gli acquirenti avrebbero riferito di avere acquistato non dal ricorrente ma da tale “NOME“.
Con il secondo motivo rappresenta il vizio di violazione di legge per la mancata riqualificazione ex art. 73 comma 5 del DPR 309/90 tranne che per il capo n. 319, evidenziando il ridotto quantitativo di ogni cessione e l’impossibilità di contrapporre la sola professionalità nell’agire e la varietà della tipologia di droga ceduta. Inoltre, sarebbe esiguo anche il numero degli acquirenti e il contestato diniego entrerebbe in contrasto con la qualificazione della tenuità del fatto operata per il capo 319. Si aggiunge che la riqualificazione inciderebbe sulla scelta della misura cautelare per la quale, comunque, il tribunale non avrebbe spiegato l’impossibilità di soddisfare le esigenze cautelari con una misura più lieve degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Il primo motivo è inammissibile. In ordine al capo 239 è generica la censura circa la mancata verifica, da parte del tribunale, delle modalità di effettuazione dell’avvenuto riconoscimento del ricorrente, in assenza di specifiche deduzioni circa gli elementi che inficierebbero il riconoscimento, anche alla luce del noto principio secondo il quale il riconoscimento fotografico effettuato in sede di indagini costituisce una prova atipica, la cui rilevanza dipende dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi l’ha compiuto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente si era attribuita rilevanza probatoria al riconoscimento fotografico di uno spacciatore di stupefacenti, in quanto effettuato dall’acquirente in termini di assoluta certezza,
scevro da intenti calunniatori e corroborato da frequenti contatti telefonici). (Sez. 6 – n. 17103 del 31/10/2018 (dep. 18/04/2019 ) Rv. 275548 – 01). Tanto più che il tribunale, a sostegno del quadro indiziario ha anche valorizzato l’indicazione, da parte del cliente, della utenza mobile in uso al venditore. Quanto alla contestazione della mancata risposta circa la dedotta circostanza della sussistenza, all’epoca dei fatti, per il ricorrente, del regime cautelare degli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico, essa è manifestamente infondata, alla luce di una puntuale risposta del tribunale che evidenzia come lo spaccio avvenisse in ambienti interni dell’ immobile, di cui alla abitazione del ricorrente, non percepibili dalla autorità controllante. Quanto al esistenza, all’epoca dei fatti, a carico del ricorrente, del regime degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, è sufficiente altresì anche rilevare che trattasi di circostanza, quella del braccialetto, che, nei limiti dello stato degli atti disponibili per questa Corte, non risulta dimostrata e allegata, nella sua sussistenza, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, così che la deduzione appare assertiva e generica. Quanto al tema nuovamente ripreso – nel motivo qui in esame – del riconoscimento fotografico e della rilevazione della mancata risposta in ordine alla omissione della allegazione dell’album fotografico come della foto riconosciuta, si tratta anche in tal caso di censura generica; in assenza di puntuali e specifiche deduzioni circa la erroneità del riconoscimento, a fronte della pur riconosciuta esistenza di una attestazione (contenuta in apposito allegato di conforto alla richiesta di applicazione della misura) circa la riconduzione della foto riconosciuta alla effigie del ricorrente, che deve ritenersi, in mancanza di diversa allegazione sul punto, provenire dalla polizia giudiziaria operante, e dunque da pubblico ufficiale. Quanto ai capi 319 e 320 e alla contestazione della risposta del tribunale circa la irrilevanza della corretta definizione del ritenuto rapporto di parentela esistente tra il ricorrente e il suo complice, deve invece ritenersi come sul punto sia intervenuta una risposta perfettamente coerente, tanto più in assenza di una logica doglianza che dimostri il pregiudizio alla corretta ricostruzione di una condotta ipotizzata come realizzata in concorso tra due soggetti, per la sola ragione della mancata identificazione del secondo. Quanto poi alla mancata motivazione in ordine alla censura difensiva circa i precisi luoghi inerenti l’abitazione del ricorrente, dove sarebbe avvenuta la cessione indicata dall’acquirente, considerati in rapporto a quanto sul punto dichiarato da quest’ultimo, si tratta ancora una volta di una doglianza generica, che non illustra le ragioni per cui tale profilo, ancorchè omesso sul piano motivazionale, inciderebbe negativamente sulla valutazione delle residue risultanze investigative. Invero, si rammenta che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il Corte di Cassazione – copia non ufficiale
quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione. (cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 Rv. 254988 e sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 Rv. 271227 cit.). Con riguardo alla mancata motivazione rispetto alla obiezione per cui la sussistenza del regime degli arresti domiciliari per il ricorrente avrebbe reso inverosimile l’inseguimento effettuato da quest’ultimo ai danni dell’acquirente, secondo il racconto reso da costui, va ribadito il rilievo della mancata dimostrazione e allegazione di tale circostanza all’epoca dei fatti ovvero nell’agosto del 2021. Peraltro, il tribunale ha precisato di avere risposto alle doglianze rappresentate dal difensore in udienza, e al riguardo la suddetta doglianza non compare nella ordinanza impugnata con riferimento all’ipotesi estorsiva, atteso che riguardo a quest’ultima il tribunale dà atto, senza specifica confutazione al riguardo, solo che il ricorrente ha in particolare opposto la non qualificabilità in tali termini (ovvero estorsivi) della condotta contestata. In proposito, quindi, occorre ricordare che sussiste un onere di specifica contraddizione del riepilogo delle contestazioni difensive emergente da un provvedimento impugnato, allorquando si ritenga che non sia stata menzionata la medesima questione come già proposta; in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve pertanto ritenersi, come nel caso di specie, proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (cfr. in tal senso, con riferimento alla omessa contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 Rv. 270627 – 01). Quanto ai capi 378 e 379, rispetto ai quali si deduce che il tribunale non avrebbe risposto alla censura inerente il dato per cui gli acquirenti avrebbero riferito di avere acquistato non dal ricorrente ma da tale “NOME“, si tratta ancora una volta di censura generica, per la quale si ribadiscono le considerazioni immediatamente sopra riportate, e che comunque non si confronta con l’intera motivazione che, rispetto al capo 378 valorizza oltre alle dichiarazioni della persona informata anche il relativo riconoscimento del ricorrente, così come per il capo 379. Del resto dalla lettura complessiva della ordinanza emerge che secondo un altro teste ( COGNOME) che conosceva il ricorrente per una comune detenzione, quest’ultimo era soprannominato NOME (cfr. pag. 2). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
GLYPH Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, atteso che la mancata riqualificazione, operata in ragione della valorizzazione di plurimi elementi inerenti le modalità dell’azione descrittive di una stabile e organizzata detenzione, è in linea con l’indirizzo di legittimità secondo il quale la verifica della sussistenza della fattispecie ex art. 73 comma 5 cit. deve emergere da una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in
relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (cfr. Sez. U n. 51063 del 27/09/2018 Rv. 274076 – 01). Rispetto a un tale giudizio la censura in esame si traduce in una mera rivalutazione dei medesimi elementi disponibili, come tale inammissibile in questa sede. Infine, il tribunale ha illustrato le ragioni sottese alla misura cautelare prescelta, anche spiegano l’inapplicabilità di altra più lieve, sottolineando come il carattere domestico dello spaccio riveli un senso di impunità estraneo alla possibilità di applicare la misura degli arresti domiciliari, evidenziando nel contempo la proclività a delinquere dimostrata proprio da tale ultima modalità di spaccio e rilevando la cospicua biografia penale, connotata anche da violazioni di obblighi inerenti la sorveglianza speciale in uno con il carattere altresì recente degli ultimi episodi di spaccio.
GLYPH Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024.