Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1758 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1758 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 15/6/2023 della Corte di appello di Torino
Visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con decreto, emesso il 13 gennaio 2023 dal Tribunale di Torino, NOME COGNOME è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per anni due e mesi sei con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza abituale, in quanto ritenuto soggetto socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 1, letterft b), D.Igs. n. 159/2011.
A seguito di appello, con decreto del 15 giugno 2023, la Corte territoriale di Torino ha ridotto la durata della misura ad anni uno e mesi sei.
Avverso quest’ultimo decreto ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME, che ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 1, lett. b), D.Igs n. 159/2011 / nonché la contraddittorietà della motivazione, per non avere la Corte di appello considerato che, proprio in considerazione del tempo trascorso dalla commissione dell’ultimo reato, come rilevato dallo stesso giudice, e della condotta, correttamente tenuta, la misura doveva essere revocata e non solo ridotta nella durata. Inoltre, il ricorrente vivrebbe dei proventi dell’atti lavorativa svolta, con conseguente difetto della pericolosità sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge: nozione nella quale va ricompresa anche la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo, prospettato da una parte, che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080 – 01).
Tale principio, enunciato con riferimento alla disciplina previgente rispetto al D.Igs. n. 159/2011, è valido tuttora, in quanto l’art. 10, comma 3, dello stesso decreto, pure richiamato dall’art. 27, comma 2, per le misure reali, prevede espressamente che il ricorso per cassazione avverso il provvedimento della Corte di appello può essere presentato solo per violazione di legge. Ciò esclude che nel giudizio di legittimità possano essere dedotti meri vizi della motivazione, che si traducano in forme di illogicità ovvero in una diversa interpretazione degli elementi dimostrativi, valutati dai giudici di merito. Di contro, rilevano solo quei vizi che concretizzino una ipotesi di motivazione del tutto assente ovvero apparente, intesa quest’ultima come motivazione «del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito» (così, tra le tante, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01).
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Alla luce di tale regula iuris devono considerarsi prive di pregio le doglianze formulate dal ricorrente / in quanto con le stesse, lungi dall’evidenziare un’ipotesi di motivazione apparente, nel senso innanzi esposto, egli ha proposto una rilettura delle emergenze procedimentali, provando a togliere forza persuasiva all’ordito argomentativo contenuto nel decreto impugnato, caratterizzato, invece, da una motivazione completa e congrua, idonea ad illustrare le ragioni della decisione e con la quale sono stati esaminati anche gli elementi di prova offerti dalla difesa.
3.1 In particolare, la Corte di appello ha rilevato che persisteva la pericolosità sociale del ricorrente, che aveva commesso numerosi e gravi delitti dal 1993 al 2020. L’anzidetta Corte ha aggiunto che il breve periodo, trascorso dall’ultima detenzione senza commettere reati, non rivestiva particolare significato, dovendosi consolidare nel tempo l’astensione dalla commissione di reati; tuttavia, in considerazione del tempo trascorso dall’ultimo reato e della condotta, tenuta correttamente, la durata della misura poteva essere ridotta.
A fronte di tali argomentazioni il ricorrente ha contestato le valutazioni effettuate dalla Corte di appello, così deducendo non violazioni di legge ma vizi della motivazione, estranei, però, al sindacato ammissibile da parte di questa Corte.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/12/2023