Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43789 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43789 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 03/04/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a COSENZA il 31/07/1995 COGNOME NOME nato a COSENZA il 12/09/1992
avverso la sentenza del 22/11/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 22 novembre 2022 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Cosenza del 2 luglio 2020, ha sostituito la pena di mesi quattro di reclusione inflitta a COGNOME NOME con quella di euro 9.000,00 di multa, per una pena complessiva di euro 9.140,00 di multa, invece confermando la condanna di NOME COGNOME NOME alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 200,000 di multa, entrambi per il reato di cui agli artt. 56, 110, 624, 625 n. 2 e 7, cod. pen.
Avverso tale sentenza gli imputati hanno proposto, a mezzo del loro difensore, due distinti atti di ricorso per cassazione.
COGNOME NOME ha dedotto due motivi di censura, con i quali ha rispettivamente eccepito: vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento agli artt. 56, 110, 624, 625 n. 2 e 7, cod. pen., lamentando l’intervenuta erronea qualificazione del fatto come tentato furto aggravato invece che come danneggiamento; violazione di legge in relazione all’art. 131-bis cod. pen., eccependo il mancato riconoscimento in suo favore della causa di non punibilità prevista dall’indicato articolo, di cui ricorrerebbero i presupposti applicativi.
NOME COGNOME NOME ha eccepito, con un unico motivo di ricorso, vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento agli artt. 56, 110, 624, 625 n. 2 e 7, cod. pen., lamentando l’intervenuta erronea qualificazione del fatto come tentato furto aggravato invece che come danneggiamento.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto proposti con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Con riferimento, infatti, alla doglianza, comune ad entrambi i ricorrenti, per cui il fatto sarebbe stato erroneamente qualificato come tentato furto aggravato invece che come danneggiamento, deve essere osservato come essa, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe doglianze eccepite con l’atto di appello – nella quale erano state diffusamente esplicate le ragioni per cui il tentativo di effrazione della serratura del portellone per mezzo di un cacciavite avesse rappresentato un atto idoneo diretto in modo non equivoco ad impossessarsi del veicolo (cfr. pp. 5 e s. della sentenza impugnata) – reiteri le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione
tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi., il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
2.2. In ordine, poi, all’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, invocata da COGNOME Francesco nel secondo motivo di ricorso, deve essere osservato come la norma che si assume violata preveda, quali condizioni applicative (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione), la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Si richiede, pertanto, al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici requisiti» delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133, primo comma, cod. pen., sussista l’indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità (cfr., in questi termini, Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Derossi, Rv.265449-01).
Senza ampliare il tema oltre quanto strettamente attinente al caso concreto, risulta, dunque, alla luce di quanto sopra, che tutti gli indici indicati nella sentenza impugnata siano elementi correttamente evidenziati dal giudice di merito (cfr., in particolare, p. 7) per negare la possibilità di sussumere il fatto oggetto di esame nell’ipotesi disciplinata dall’art. 131-bis cod. pen.
All’inammissibilità dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 4.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 3 aprile 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente