Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 19427 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 19427 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 29/11/1967
avverso la sentenza del 15/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni della Procura generale, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni della difesa del ricorrente, nel senso dell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la condanna di NOME COGNOME per fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commessa in concorso con il proprio figlio, con esclusione della sussumibilità nell’ipotesi di «lieve entità».
È stato proposto ricorso nell’interesse dell’imputato fondato su sette motivi con sui si deducono violazioni dell’art. 521 cod. proc. pen. e altre violazioni di legge e vizi cumulativi di motivazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma GLYPH disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per difetto di correlazione tra imputazione contestata e sentenza.
A fronte di una contestazione di detenzione in concorso di circa 703 g di hashish oggetto di rinvenimento e contestuale sequestro, l’imputato, in tesi difensiva, in violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., sarebbe stato condannato per aver occultato sostanza stupefacente, peraltro mai rinvenuta. Si sarebbe trattato di stupefacente del quale l’imputato si sarebbe disfatto gettandolo nel wc della dependance da lui occupata all’arrivo delle forze dell’ordine. Ciò sarebbe avvenuto nei 15-20 minuti di attesa da parte degli agenti operanti, provocata dal ritardo della moglie dell’imputato nell’aprire la porta, e sarebbe stato argomentato dal rinvenimento, in prossimità della finestra del bagno, di una borsa utilizzata per contenere stupefacente e di un bilancino di precisione.
2.2. Per il secondo motivo, la condanna si sarebbe altresì fondata su un apparato motivazionale manifestamente illogico e in particolare frutto di travisamento della prova. La Circostanza per cui l’imputato si sarebbe disfatto dello stupefacente sarebbe frutto di una «mera valutazione e un mero sospetto da parte dei giudici di merito». Non si comprenderebbe altresì l’iter logicogiuridico che avrebbe condotto all’accertamento della detenzione dei circa 700 g di stupefacente, rinvenuti nel garage e in un’area di deposito nelle appartenenze dell’abitazione familiare, e dell’altro stupefacente del quale il prevenuto si sarebbe disfatto, in ipotesi contenuto all’interno della borsa rinvenuta sui luoghi.
2.3. Con i motivi dal terzo al sesto si deducono ulteriori travisamenti oltre che violazioni di legge e vizi motivazionali «in relazione alla testimonianza del teste d’accusa, NOME COGNOME» e «alla valutazione dei parametri di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.».
I giudici di merito avrebbero motivato la responsabilità dell’imputato in forza di congetture e non all’esito di un ragionamento logico-inferenziale. Sarebbero
difatti GLYPH mere GLYPH congetture GLYPH l’avvenuta GLYPH eliminazione GLYPH dello GLYPH stupefacente, ipoteticamente contenuto nella borsa, utilizzando il wc, nonché l’avvenuto occultamento dello stupefacente, all’interno di un motore smontato, durante i 15-20 minuti di attesa da parte delle forze dell’ordine.
La tesi accusatoria sarebbe stata poi ritenuta fondata sulla base di un percorso logico-giuridico travisante sostanzialmente tutti i dati probatori. Il riferimento è all’argomentazione per cui la moglie dell’imputato avrebbe ritardato l’apertura della porta con conseguente occultamento dello stupefacente nei relativi 15-20 minuti. A dire del ricorrente le tempistiche non sarebbero compatibili con l’occultamento all’interno di un motore aperto, anche in considerazione della circostanza per cui lo stupefacente sarebbe invece stato rinvenuto solo grazie all’intervento dei cani utilizzati dalle forze dell’ordine. Parimenti, il rinvenimento del bilancino di precisione e della borsa non sarebbero probanti, anche perché, prosegue il ricorrente, non sarebbe neppure stata accertata la possibilità di accesso ai luoghi da parte di altri soggetti. Quella accertata dai giudizi di merito sarebbe dunque una «ricostruzione assolutamente inverosimile». Sarebbe stata altresì travisata, in quanto non considerata sul punto, la deposizione dell’agente operante, avente carattere di decisività, per cui all’ingresso delle forze dell’ordine il figlio dell’imputato, presente al momento del sequestro, si sarebbe spontaneamente attribuito l’esclusiva detenzione della sostanza. I giudici di primo e di secondo grado non avrebbero considerato sul punto le dichiarazioni dibattimentali dell’agente operante, riportanti le dichiarazioni rese dal correo, ritenendole non utilizzabili in quanto non verbalizzate quali dichiarazioni spontanee.
2.4. Con il settimo motivo si deducono la violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e il vizio di motivazione in merito alla mancata sussunzione dei fatti accertati nella detta fattispecie astratta.
Per il ricorrente non vi sarebbe incompatibilità tra cessione non occasionale e fattispecie di «lieve entità». A ciò si aggiunge che la Corte territoriale avrebbe argomentato non solo dal quantitativo e dalla divisione in più parti ma anche da parametri che, a dire del ricorrente, non sarebbero risolutivi e fonderebbero su argomentazioni fallaci. Si riferisce al borsello rinvenuto, che, in tesi difensiva, suo dire, non sarebbe in termini di certezza da attribuire all’imputato, e dai 950,00 euro rinvenuti nella camera da letto del figlio dell’imputato, poi dissequestrati. La Corte non avrebbe altresì considerato che per i reati a cui si riferivano gli arresti domiciliari in esecuzione dei quali è stata accertata la presente fattispecie sarebbe stata in sentenza ritenuta, all’esito di diverso processo, la fattispecie di cui al 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Le parti hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe (in particolare, la difesa mediante deposito di memorie con allegati).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è inammissibile.
Assume astratta valenza pregiudiziale il primo motivo ) in quanto deducente la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. per essere stato ritenuto l’imputato responsabile della detenzione di stupefacente. quale si sarebbe disfatto gettandolo nel wc e non solo della detenzione dello stupefacente in sequestro, invece ascritta in rubrica.
La censura è inammissibile in ragione del mancato confronto con la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata (per l’inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, tra le recenti; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo).
Diversamente da quanto dedotto dalla difesa, come emerge dal raffronto tra la doppia conforme di condanna, con la quale non confronta il suo dire il ricorrente, e l’imputazione, l’imputato è stato condannato non per la detenzione di stupefacente non rinvenuto ma per la detenzione, in concorso, dello stupefacente rinvenuto e sequestrato come ascritto in rubrica, ancorché argomentata anche dal rinvenimento nella sua disponibilità del bilancino di precisione e di un contenitore utilizzato per la detenzione della sostanza.
Per quanto emerge dalle conformi sentenze di merito, è stata difatti accertata la responsabilità per la detenzione per uso non personale da parte dell’imputato, in concorso con il figlio, di circa 703,77 g di hashish, pari a circa 196,98 g di principio attivo (corrispondente a 7.879 dosi medie), rinvenuti in un garage e in un’area deposito nella disponibilità dell’imputato e situati all’interno del terreno ove insiste l’abitazione familiare dello stesso prevenuto, di sua moglie e del comune figlio e una dependance. Il riferimento è, in particolare a circa: 700,43 g, suddivisi in cinque confezioni sigillate con cellophane, occultati all’interno della coppa dell’olio di un motore di una vettura smontato e presente all’interno del garage; 3,34 g occultati all’interno di un cassone contenente parti ferrose di veicoli posto all’interno dell’area deposito. Il sequestro della sostanza di cui innanzi, avvenuto anche alla presenza dell’imputato e del proprio ftglio, è
stato eseguito nel corso di un’operazione volta all’applicazione, a carico dei due citati soggetti, degli arresti domiciliari per fattispecie in materia di stupefacenti. Trattasi di attività di polizia giudiziaria eseguita previo accesso nei luoghi da parte delle forze dell’ordine dopo aver atteso circa 15-20 minuti in ragione del ritardo nell’apertura della porta d’accesso provocato dalla moglie dell’imputato (pur sollecitata sul punto). Oggetto di sequestro sono stati altresì un bilancino di precisione e un contenitore in pelle emanante odore di hashish, ritenuti nella disponibilità dell’imputato perché riverse . nello spazio esterno antistante alla finestra del bagno della dependance dalla quale è stato visto uscire il prevenuto dopo il rumore provocato dall’utilizzo dello scarico del wc.
Sono altresì inammissibili tutte le censure articolate con i motivi dal secondo al sesto.
Si deduce la violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., risolvendosi però la doglianza in motivo non consentito ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto mera rilettura degli elementi probatori sottesi alla decisione, peraltro mediante loro parcellizzazione, e in particolare delle circostanze caratterizzanti il rinvenimento dello stupefacente oltre che del bilancino di precisione, che la difesa assume in via meramente ipotetica poter essere stato collocato nei luoghi da terzi soggetti (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit., tra le recenti; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 01; in ordine ai motivi d’appello ma sulla base di principi pertinenti anche al ricorso per cassazione).
Si prospettano altresì illogicità motivazionali, ancorché sempre in termini di mere valutazioni di merito, dovute anche a travisamenti delle prove prospettati, come emerge dall’esplicitazione delle censure di cui alla precedente ricostruzione del fatto processuale, in termini aspecifici in quanto non indicanti gli specifici mezzi di prova che sarebbero stati oggetto di travisamento. Finendo così con il risolversi, anche tali doglianze, in una inammissibile diversa valutazione del significato degli elementi probatori e non nell’articolazione di una errata percezione del relativo significante
A quanto detto, con particolare riferimento ai dedotti travisamenti, deve altresì aggiungersi un ulteriore, anch’esso assorbente, profilo d’inammissibilità.
Le sentenze di merito, facenti perno su medesimi elementi probatori, sono conformi quanto alle assunte decisioni e al comune sotteso iter logico-giuridico, comprese le relative premesse fattuali. Sicché, inammissibilmente il ricorrente deduce un travisamento dei mezzi di prova senza esplicitare e invero prospettare
che entrambi i giudici siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite (come detto, neanche specificate). In particolare, il ricorso, che non si confronta con la ratio decidendi sottesa alla sentenza di secondo grado, è silente in merito all’apparato motivazionale sotteso alla sentenza di primo grado e ad eventuali relativi travisamenti. Occorre difatti in merito ribadire che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione nel caso, come quello di specie, di c.d. «doppia conforme», sia nell’ipotesi in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite, in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (ex plurimis, limitando i riferimenti solo a talune delle più recenti decisioni: Sez. 4, n. 13531 del 04/02/2025, Bartolo, in motivazione; Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 – 01; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME, Rv. 280155 – 01).
Parimenti inammissibili sono le censure deducenti l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nel non considerare la deposizione dell’agente operante avente a oggetto le dichiarazioni con le quali, nell’immediatezza del sequestro, il figlio dell’imputato avrebbe assunto l’esclusiva titolarità dello stupefacente. Il ricorrente non confronta il suo dire con la motivazione della sentenza impugnata, che, quindi, sul punto, rimane incensurata. La Corte territoriale (in particolare a pag. 3, ultimo capoverso), in considerazione delle doglianze difensive, valuta la detta assunzione di esclusiva titolarità dello stupefacente ritenendola non conducente nel senso dell’assoluzione in quanto «in palese contrasto con quanto rilevato dai Carabinieri», sostanzialmente circa luoghi di occultamento e disponibilità di bilancino di precisione da parte dell’imputato, e fondante il giudizio di non mera connivenza ma di concorso nella detenzione.
Non coglie la ragione fondante la decisione anche il settimo motivo che si appunta sulla ritenuta non sussumibilità dei fatti accertati nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Sul punto difatti la Corte territoriale, al di là del riferimento al rinvenimento di 950,00 euro, diversamente da quanto articolato in ricorso opera sostanzialmente una considerazione unitaria della condotta e della vicenda storica accertata dando preferenza, in termini escludenti l’ipotesi di «lieve entità», oltre che alle modalità della condotta, quanto a luoghi e modalità di occultamento, anche al dato quanto-qualitativo
dello stupefacente, pari a circa 703,77 g, per un principio attivo di circa 196,98 g
(idoneo per 7.879 dosi).
Sul punto deve infine rilevarsi l’inconferenza del profilo di censura che muove dalla compatibilità della fattispecie di «lieve entità» con la cessione non
occasionale, non avendo la Corte territoriale argomentato in senso inverso ed essendo stata contestata e accertata la detenzione (per uso non esclusivamente
personale) e non la cessione dello stupefacente. Parimenti dicasi quanto alla dedotta mancata considerazione da parte dei giudici di merito della circostanza
per cui, per i reati a cui si riferivano gli arresti domiciliari in esecuzione dei quali
è stata accertata la fattispecie sub iudice,
sarebbe stata ritenuta, all’esito di diverso processo, l’ipotesi di cui al 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990,
trattandosi difatti di diverse fattispecie.
5. In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in
favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. e valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’8 aprile 2025