Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21488 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21488 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BOSCOREALE il 13/02/1952 avverso la sentenza del 13/05/2024 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; rilevato che all’udienza, nonostante la richiesta di trattazione orale e la ritualità delle notificazioni del decreto di fissazione dell’udienza, non è comparso alcun difensore, né dell’imputata, né delle parti civili; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso, con le statuizioni consequenziali.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, la Corte d’appello di Napoli, a seguito di rinvio per annullamento da parte della Sesta Sezione di questa Corte, ha dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di estorsione e, unificato il reato ad una ulteriore ipotesi di estorsione per la quale l’imputata era stata già dichiarata responsabile nello stesso procedimento, con sentenza sul punto irrevocabile, la ha condannata alla pena ritenuta di giustizia.
Con il ricorso per cassazione, la difesa dell’imputata ha formulato tre motivi, tutti incentrati sul violazione di legge e sul vizio di motivazione (art. 606, lett. ed e, cod. proc. pen.).
2.1 Il primo motivo deduce violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. nella parte in cui la sentenza ha omesso l’esame dell’elemento soggettivo della ricorrente.
Si afferma che manchi il dolo specifico del reato contestato alla luce delle parole del COGNOME che mai ha fatto riferimento a minacce reali, esplicite o implicite, che potessero essere intese come costrittive, provenienti dalla imputata, che ha sempre agito in buona fede, credendo di esercitare un diritto legittimo. La Corte non ha considerato la “leggerezza” che ha caratterizzato l’intera condotta delittuosa.
2.2 II secondo motivo di ricorso deduce mancanza e contraddittorietà motivazionale in relazione alla attendibilità delle dichiarazioni del teste COGNOME e della correa COGNOME
Le dichiarazioni della persona offesa non sono mai state verificate e le contraddizioni che esse presentano rispetto alle originarie propalazioni (nelle quali la COGNOME non compariva) non sono mai state risolte. Si è verificato pertanto un vero e proprio travisamento per omissione con conseguente carenza motivazionale.
2.3 II terzo motivo di ricorso deduce omessa o inadeguata motivazione in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
2.4 Con memoria inviata per mail, il difensore dell’imputatqha concluso per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché i motivi addotti sono in parte generici, in parte valutativi e comunque non consentiti o manifestamente infondati.
Sono necessarie alcune considerazioni generali, data la natura dei motivi e della relativa esposizione.
Innanzitutto, valutati complessivamente, essi scontano un evidente errore prospettico, poiché pretendono di riproporre il giudizio di merito in questa sede, al fine di ottenere innanzi alla Corte di legittimità, un terzo grado di giudizio sul fatto, ciò che, tuttavia, è contrario alla struttura processuale ed ordinamentale italiana, che assegna alla Cassazione la sola interpretazione del diritto, e non la (ennesima) considerazione del fatto.
Né l’evocazione della violazione di legge (specificamente, l’art. 192 cod. proc. pen., sui criteri di valutazione delle prove, citato nella rubrica del primo motivo) garantisce la soddisfazione del parametro di legittimità, posto che non è consentita la deduzione della violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti alle censure alla motivazione (costituita dalla triade di vizi indicati dall’a
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), non possono essere superati per aliam viam (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020 Imp. Filardo Rv. 280027 – 04).
D’altro canto, l’esame dei singoli motivi non lascia dubbi sulla natura valutativa e ‘meritoria’ delle doglianze, dal momento che esse sono prive di riferimenti alle sole categorie concettuali (art. 606, lett. e, cod. proc. pen.: mancanza, contraddittorietà e manifesta – non ‘mera’- illogicità) che consentano di transitare dal giudizio sul fatto alla critica di legittimità della motivazione ch quel fatto ha giudicato. Si tratta di un ‘passaggio evolutivo’ fondamentale che non traspare dal ricorso della COGNOME che, per come formulato, può valere come atto di appello ma non come ricorso per cassazione.
Sulla base delle considerazioni che precedono, è possibile passare all’esame dei singoli motivi.
2.1 II primo, senza negare la materialità dei fatti, adduce la buona fede dell’imputata, erroneamente convinta di “esercitare un diritto legittimo, vedendo la nuora riscuotere facilmente dei soldi” (pg. 4).
Senza entrar nel merito della ricostruzione proposta (compito che non spetta a questa Corte), ci si limita a rilevare che essa costituisce una versione alternativa, cioè una ipotesi, più o meno suggestiva, che non è idonea a dimostrare la manifesta illogicità della versione accolta dalla Corte di appello e che pertanto non ha valenza sradicante dell’accertamento dei fatti operato dal giudice di secondo grado (ex multis, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074). Conseguentemente, essa esula dal novero delle questioni scrutinabili in questa sede, deputata al giudizio sulla logicità della motivazione, la cui patologia, per divenire vizio denuncia bile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i (Sez. un., 24 novembre 1999, Spina, in Cass. pen., 2000, p. 862). Si tratta di condizioni non presenti, ed in vero nemmeno dedotte, in questa sede.
2.2 Anche il secondo motivo, che deduce travisamento della prova, per aver la sentenza ignorato informazioni palesemente esistenti o avendone omessa una ricostruibile valutazione (pg. 6), in relazione alla mancata considerazione delle contraddizioni della deposizione di NOME COGNOME è manifestamente infondato e, in definitiva, nemmeno consentito, in quanto fondato su un concetto di travisamento che non corrisponde a quello elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte.
Occorre ricordare che il vizio di travisamento della prova chiama in causa, in linea generale, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio. Tre sono le figure di patologia della motivazione riconducibili al vizio in esame: la mancata
valutazione di una prova decisiva (cd. travisamento per omissione); l’utilizzazione di una prova sulla base di un’erronea ricostruzione del relativo “significante” (cd. travisamento delle risultanze probatorie); l’utilizzazione di una prova non acquisita al processo (cd. travisamento per invenzione). In questi casi, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215). Ciò perché il vizio in questione vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione, nel ragionamento del giudice, del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605).
Ora, passando dall’astratto al concreto, ciò di cui si lamenta l’imputata formulando il secondo motivo, è la mancata o errata valutazione della deposizione del teste d’accusa, NOME COGNOME nella sua relazione con le dichiarazioni rese inizialmente, in cui la presenza della COGNOME non era stata menzionata.
Ebbene, questo tipo di vizio (il non aver dato peso alla diversità delle versioni dello stesso testimone) non sussiste ed in ogni caso, non costituisce travisamento della prova.
Non sussiste, perché tra pg. 6 e pg. 7, la motivazione ha cura di spiegare la ragione della mancata menzione da parte del teste della presenza della COGNOME in occasione dell’episodio contestato, peraltro emendata in epoca prossima al commesso reato, da ritenersi, ragionevolmente, conseguenza della pluralità delle estorsioni cui era stato sottoposto nel corso del tempo da parte dello stesso ‘gruppo’.
E, in ogni caso, non costituisce travisamento della prova poiché si tratta di una lettura e interpretazione nel merito dell’elemento di prova, al più errata, ma non inesistente. Non, quindi, una ‘invenzione’ o una ‘obliterazione’ del dato probatorio, né una sua errata ‘trasposizione’, ma, se mai, una valutazione del fatto, ciò che esula dal concetto di travisamento della prova.
2.3 Infine, neanche il terzo motivo può essere accolto.
Si contesta, come carente, il giudizio sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate per la assenza di fattori positivamente valutabili, per l’assenza di segni di resipiscenza e per “l’enorme allarme sociale dei reati e l’intensità del dolo, tenuto conto della reiterazione delle condotte e della pervicacia”.
Si tratta di una motivazione multifattoriale, con cui il motivo, che menziona solo la assenza di fattori positivamente valutabili, non si confronta
funditus, peccando di genericità.
Soprattutto, in presenza di una motivazione non contraddittoria e priva di manifeste illogicità, questa Corte non può che rispettare l’ambito di discrezionalità
riservato al giudice di merito in materia sanzionatoria, astenendosi da valutazioni che attingano al fatto.
4. Il ricorso è pertanto inammissibile per una pluralità di ragioni.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché,
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così
equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17 aprile 2025
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Il Consigliere relatore
Il Presidente