Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31216 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31216 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Pietrasanta il 09/04/1995
avverso la sentenza del 02/07/2024 della Corte d’appello di Firenze
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
osservato che il primo motivo di ricorso, che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove e la mancata assunzione della prova decisiva dell’esame testimoniale della persona offesa, oltre a non essere consentito in quanto meramente reiterativo di profili di doglianza già prospettati in appello e adeguatamente esaminati dalla Corte territoriale, risulta, altresì, in contrasto con il principio affermato da questa Corte secondo cui la Corte di cassazione non ha la possibilità di effettuare una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747);
che, in particolare, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati
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dal ricorrente, è ravvisabile solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, circostanza non sussistente nel caso di specie;
che, inoltre, in tema di ricorso per cassazione, si deve ritenere “decisiva”, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni enunciate in motivazione, si riveli tale che, laddove esperita, avrebbe certamente portato a una diversa pronuncia e, ove non assunta o non valutata, vizierebbe la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670; cfr. anche Sez. 2, n. 21884 del 20/03/2013, Cabras, Rv. 255817), situazione, anch’essa, insussistente;
che, infine, detto motivo risulta manifestamente infondato anche alla luce del principio secondo il quale la rinnovazione del dibattimento in appello contrapponendosi alla presunzione di completezza dell’istruzione dibattimentale compiuta in primo grado – assume carattere totalmente eccezionale, e resercizio del potere di disporla da parte del giudice è vincolato alla condizione che quest’ultimo ritenga, nella sua discrezionalità, che gli elementi probatori raccolti in primo grado non gli siano sufficienti per pervenire a una decisione (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, COGNOME, Rv. 266820; Sez. 1, n. 5267 del 12/03/1998, COGNOME, Rv. 210473; Sez. 5, n. 7569 del 21/04/1999, COGNOME, Rv. 213637);
considerato che il secondo motivo di doglianza, con cui si contesta il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1), cod. pen., da un lato, appare meramente riproduttivo di profili di doglianza già dedotti in appello e vagliati con adeguate argomentazioni di fatto e di diritto dal giudice di merito, dall’altro lato, è manifestamente infondato, giacché, secondo il costante orientamento di questa Corte, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite, nell’ambito del delitto di rapina, necessita della simultanea presenza, nota alla vittima, di almeno due persone nel luogo e al momento della violenza o della minaccia, così da potersi ritenere che queste siano state poste in essere da parte di ciascun agente, ovvero che la mera presenza di uno dei complici all’esercizio della violenza o della minaccia possa essere interpretata alla stregua di un rafforzamento delle medesime (così Sez. 2, n. 40860 del 20/09/2022, Conton, Rv. 284041);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2025.