Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1913 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1913 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME COGNOME nato a Cosenza il 20/05/1989
avverso l’ordinanza del111/06/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha concluso
chiedendo l’annullamento del provvedimento.
RITENUTO IN FATTO
1.Con il provvedimento indicato in epigrafe il Tribunale di Catanzaro – adito in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. – confermava l’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice delle indagini preliminari presso il medesimo Tribunale in data 17 aprile 2024 nei confronti di NOME COGNOME indagato per il reato di associazione dedita
all’attività di narcotraffico ex art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 sub capo 1), per il reato di associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis cod. pen. sub capo 401), per i reati di detenzione ai fini di cessione di sostanza stupefacente sub capi 44) e 64) della contestazione provvisoria.
NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, ha proposto ricorso, con cui ha dedotto:
violazione di legge, in relazione all’art. 292, comma 2, cod. proc. pen., e vizio di motivazione per avere il Giudice per le indagini preliminari accolto la domanda cautelare presentata dal Pubblico ministero, senza alcuna rielaborazione e vaglio critico degli elementi evidenziati dall’accusa;
violazione di legge, in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n.309, e vizio di motivazione, in tutte le sue declinazioni, per avere il Tribunale del riesame ritenuto in fatto che il ricorrente avesse ceduto sostanza stupefacente del tipo cocaina sulla base della sola attività di intercettazione telefonica e per non avere derubricato la fattispecie nella ipotesi della lieve entità;
violazione di legge, in relazione all’art. 74 cit. d.P.R. n. 309 e all’art. 416 bis cod. pen., e vizio di motivazione per omissione, illogicità manifesta e contraddittorietà, per avere i Giudici di merito desunto la partecipazione del ricorrente alle associazioni criminali in contestazione sulla base degli elementi indiziari già ritenuti non “gravi ” da parte del Giudice nell’ambito del procedimento “Reset” e di altri elementi del tutto privi di significanza probatoria, rappresentati nello specifico dalle dichiarazioni generiche del collaboratore di giustizia, NOME COGNOME e da alcune intercettazioni da cui emergevano semplicemente gli incontri tra il ricorrente e NOME COGNOME capo dell’associazione confederata di ‘ndrangheta operativa sul territorio cosentino.
Ed ancora ha osservato il ricorrente come i Giudici di merito non avessero compiutamente individuato le condotte che integravano “partecipazione” al sodalizio di stampo mafioso, dal momento che le condotte enunciate ed indicate potevano essere sussunte solo nella fattispecie associativa prevista dall’art. 74 cit. d.P.R.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il preliminare vaglio di ammissibilità perché declinato in fatto e aspecifico.
Il primo motivo è inammissibile per genericità.
2.1 Il difensore non ha evidenziato gli aspetti della motivazione, che nella prospettiva perseguita dal G.i.p. sarebbero stati condizionati in modo decisivo dalla mancanza di una valutazione autonoma, tanto da impedire di giungere ad apprezzamenti di diverso segno (ex multis, Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496-01; Sez.1, n. 333 del 28/11/2018, COGNOME, Rv 274760).
2.2. In ogni caso, la trascrizione nel testo del provvedimento gravato dei contribuiti dichiarativi dei collaboratori di giustizia o del contenuto delle conversazioni telefoniche, oggetto di captazione – sì da fare registrare in parte qua la coincidenza della richiesta cautelare e dei provvedimenti giurisdizionali non è ex se un dato evocativo della carenza di autonoma valutazione del materiale investigativo.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
3.1 D Tribunale del riesame ( cfr pagg. 9 e ss del provvedimento) trattava nello specifico i due episodi di cessione di sostanza stupefacente contestati rispettivamente ai capi sub 44) e 64), soffermandosi sulla quaestio facti della causale dei colloqui e degli incontri tra COGNOME e NOME COGNOME.
In modo convincente e logico, i Giudici di merito illustravano le ragioni in base alle quali, nonostante il mancato recupero di stupefacente, si potesse affermare che il ricorrente avesse concordato con il COGNOME la cessione di sostanza stupefacente.
Segnalavano – al riguardo- i Giudici come l’utilizzo di un linguaggio criptico, il riferimento al termine “iliad” e ai quantitativi da cedere (“mezzo iliad”), il fatto che il COGNOME avesse in quello stesso periodo acquistato anche da NOME COGNOME sostanza stupefacente, che veniva indicata con il termine “iliad”, il fatto che il ricorrente fosse stabilmente inserito nel settore dello spaccio svelassero la reale natura degli incontri, che erano appunto finalizzati alla cessione di droga.
Le puntuali argomentazioni poste a fondamento del provvedimento non vengono superate dalle censure del ricorrente che si è soffermato sulla non decifrabilità del linguaggio utilizzato, omettendo, tuttavia, ogni confronto critico con il complessivo corpo motivazionale.
Non è poi consentita la ulteriore questione relativa alla qualificazione giuridica della fattispecie, perché introdotta per la prima volta con il ricorso e non esaminata dai Giudici del riesame.
Inammissibili- perché declinati in fatto e aspecifici – sono gli ulteriori motivi di ricorso relativi alla ritenuta partecipazione del ricorrente ai sodalizi criminosi in contestazione.
4.1. Il Tribunale del riesame – si legge nel provvedimento impugnato- fondava la gravità del quadro indiziario ex art. 273 cod. proc. pen. coniugando agli “indizi” – già acquisiti nell’ambito del procedimento “Reset”, ma in quella sede ritenuti non “così gravi” da giustificare l’emissione di provvedimenti de libertate ulteriori indizi nella specie rappresentati dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dal contenuto delle conversazioni telefoniche e in ambientale, oggetto di captazione, e dai filmati estrapolati dalle telecamere installate dagli inquirenti.
Il ricorrente – segnalavano i Giudici di merito- aveva intrattenuto rapporti direttamente con NOME COGNOME, capo della confederazione `ndranghetista e posto al vertice dell’omonimo gruppo dedito al narcotraffico, a sua volta inserito nel “clan degli italiani”, sodalizi collegati ed entrambi operativi sul territorio cosentino.
Nello specifico, il COGNOME aveva fornito uno stabile e consapevole contributo sia all’attività di prestito di danaro ad usura – che rappresentava unitamente a quella estorsiva una delle principali e più redditizie attività svolte dal sodalizio mafioso ( cfr pagg 5 e ss del provvedimento) – sia all’attività di vendita al minuto dello stupefacente sulla ” piazza di spaccio”, sita in INDIRIZZO a Cosenza, che era stata assegnata al ricorrente dallo stesso COGNOME ( cfr colloquio tra COGNOME e il sodale COGNOME del 15 ottobre 2020 – pag. 9 del provvedimento)
4.2. Al cospetto di tale iter logico – argonnentativo, le doglianze difensive non hanno intaccato la gravità del quadro indiziario ex art. 273 cod. proc. pen., laddove per indizi si debbono intendere tutti quegli elementi che per la loro consistenza fondano una qualificata probabilità di colpevolezza.
Esse, infatti, si basano ora su una lettura frammentaria e parziale degli elementi indiziari ora su affermazioni sganciate dal dato probatorio e deficitarie di un reale “dialogo” con il decisum del Tribunale.
In particolare, non destrutturano l’impianto motivazionale le critiche mosse al giudizio di attendibilità del collaboratore di giustizia, NOME COGNOME : il predetto, nel menzionare il ricorrente COGNOME tra i “sodali” appartenenti al gruppo COGNOME, indicava quale fonte di conoscenza NOME COGNOME, persona che , secondo il difensore, era tuttavia all’oscuro delle vicende per cui è processo, perchè in vinculis senza soluzione di continuità dal 2019 e perché dal 2023 detenuto al 41 bis o.p. –
Ed invero – a prescindere dalla considerazione che il “normale” status di detenuto (protrattosi nella specie fino al 2023) non è notoriamente una situazione che isola il soggetto in vinculis dal mondo esterno e lo rende per ciò solo “impermeabile” rispetto agli “interna corporis” – va rilevato come le dichiarazioni del Barone non rappresentino l’unico elemento indiziario a carico del ricorrente.
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La valutazione in punto di “gravità indiziaria” – come si desume dal provvedimento – si fondava , infatti, su molteplici e variegati elementi : le dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME quanto allo stabile e datato inserimento del ricorrente nel settore dello spaccio , i filmati relativi agli incontri tra il COGNOME e il COGNOME , i numerosi colloqui, telefonici e in ambientale, nel corso dei quali il ricorrente si relazionava direttamente con il COGNOME, per discutere degli “affari in corso”, venendo lo stesso sovente delegato dal COGNOME in persona al recupero dei “crediti” e degli ” interessi” nonché posto al comando di una delle “piazze di spaccio”, gestite dal sodalizio criminoso ( cfr colloquio del 15 ottobre 2020)
4.4. Il percorso argomentativo appare, dunque, privo di deficit sia in relazione al profilo della completezza che della conseguenzialità logica delle argomentazioni spese.
Come tale non è contestabile in sede di legittimità, laddove alla Corte spetta il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (così ex multis, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460).
Alla inammissibilità del ricorso consegue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma a favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (vedi Corte Costit., sent. n 186 del 13 giugno 2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 03/12/2024.