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Ricorso per cassazione: quando è inammissibile?

Un automobilista, condannato per guida in stato di ebbrezza, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano una mera ripetizione di quelli già respinti in appello, senza una critica specifica alla sentenza di secondo grado. La Corte ha ribadito che il ricorso per cassazione deve contenere una critica argomentata e puntuale al provvedimento impugnato, non essendo un terzo grado di giudizio sul merito.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per cassazione: quando è inammissibile?

Il ricorso per cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma non è una terza occasione per ridiscutere i fatti. È uno strumento volto a garantire la corretta applicazione della legge. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di quando un ricorso viene respinto ancor prima di essere esaminato nel merito, ovvero dichiarato inammissibile. Il caso riguarda un automobilista condannato per guida in stato di ebbrezza che si è visto rigettare l’impugnazione per aver presentato motivi generici e ripetitivi.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Pesaro nei confronti di un automobilista per il reato di guida in stato di ebbrezza, ai sensi dell’art. 186 del Codice della Strada. La pena inflitta era di sei mesi di arresto e 1.500 euro di ammenda. La decisione veniva successivamente confermata dalla Corte di Appello di Ancona.

Non rassegnato, l’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza del reato, contestando la certezza della prova.
2. Mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Eccessiva entità della pena inflitta.

La Decisione sul ricorso per cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione fondamentale di questa decisione risiede nel modo in cui i motivi sono stati formulati. La Corte ha osservato che l’atto di impugnazione si limitava a riproporre le stesse identiche critiche già sollevate con l’atto di appello e già respinte, in modo logico e congruo, dalla Corte territoriale. Mancava, in sostanza, l’elemento essenziale di un ricorso di legittimità: una critica argomentata e specifica rivolta proprio contro le ragioni esposte nella sentenza di appello.

La funzione tipica dell’impugnazione

La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio cardine del diritto processuale: la funzione tipica dell’impugnazione è quella di una critica argomentata avverso il provvedimento che si contesta. Non è sufficiente esprimere un generico dissenso o, peggio ancora, ripresentare argomenti già vagliati e respinti. L’appellante deve confrontarsi puntualmente con la motivazione della sentenza impugnata, indicando specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che ne dimostrerebbero l’erroneità. Se questo confronto manca, il ricorso perde la sua funzione e diventa inammissibile.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha analizzato punto per punto i motivi del ricorso, evidenziandone la debolezza strutturale.

Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla sussistenza del reato, i giudici hanno sottolineato come il ricorrente non avesse mosso alcuna critica specifica alla logica argomentativa della Corte d’Appello, che aveva ampiamente spiegato le ragioni del riconoscimento della responsabilità penale. Il ricorso era, di fatto, una ‘fotocopia’ dell’appello, rendendolo inefficace in sede di legittimità.

Anche il secondo e il terzo motivo, riguardanti le attenuanti generiche e l’entità della pena, sono stati giudicati inammissibili. La Corte di Appello aveva fornito una motivazione coerente e priva di vizi logici per negare le attenuanti. Allo stesso modo, la determinazione della pena, essendo stata fissata in una misura lontana dal massimo edittale, rientrava pienamente nella discrezionalità del giudice di merito e non era sindacabile in Cassazione, a meno di una motivazione palesemente illogica, qui non riscontrata.

Conclusioni

Questa ordinanza è un monito fondamentale sull’importanza della tecnica redazionale del ricorso per cassazione. Non si tratta di un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti, ma di un controllo sulla corretta applicazione delle norme giuridiche e sulla logicità della motivazione. Per avere una speranza di accoglimento, un ricorso deve superare la semplice lamentela e strutturarsi come un’analisi critica e puntuale delle argomentazioni della sentenza che si intende impugnare. In caso contrario, come dimostra questa vicenda, il rischio concreto è una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Perché un ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando manca dei requisiti previsti dalla legge. Nel caso specifico, è stato ritenuto tale perché si limitava a riproporre gli stessi motivi dell’appello senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata.

È sufficiente riproporre gli stessi motivi dell’appello nel ricorso per cassazione?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha ribadito che la funzione dell’impugnazione è quella di una critica argomentata al provvedimento cui si riferisce. Ripetere le stesse doglianze senza contestare specificamente le argomentazioni del giudice d’appello rende il ricorso inammissibile.

La Corte di Cassazione può riesaminare la decisione sulla quantità della pena?
Generalmente no. La determinazione dell’entità della pena è una valutazione di merito riservata al giudice. La Cassazione può intervenire solo se la motivazione è palesemente illogica, contraddittoria o assente, specialmente quando la pena è vicina al massimo edittale, circostanza non verificatasi nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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