Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13750 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13750 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/11/2022 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 18 novembre 2022 la Corte di appello di Lecce ha confermato la decisione del Tribunale di Lecce-Sezione distaccata di Campi Salentina del 12 novembre 2009 con cui NOME era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione ed euro 1.000,00 di multa in ordine al reato di cui agli artt. 624-bis e 625 n. 2 cod. pen.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con due distinti motivi: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’intervenuta estinzione del reato prima della pronuncia della sentenza di appello; violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 624-bis cod. pen. e 68 cod. proc. pen. con riferimento alla sua esatta individuazione soggettiva.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Manifestamente infondata, in primo luogo, è l’introduttiva censura, dovendo essere osservato come sulla Corte di appello non gravasse nessun onere motivazionale in ordine alla declaratoria della prescrizione del reato, non essendo decorso il relativo termine.
Ed infatti, per il delitto ascritto al ricorrente è prevista una pena detentiva massima di dieci anni, poi da aumentare della metà per il fatto di essergli stata contestata la recidiva specifica e infraquinquennale, così da addivenire ad un termine di prescrizione di durata tale da non essersi ancora consumato al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado.
2.2. Parimenti inammissibile è la seconda doglianza, che, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe doglianze eccepite con l’atto di appello, di fatto reitera le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurímis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024
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