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Ricorso per cassazione patteggiamento: quando è nullo

Un imputato, condannato con patteggiamento per tentato omicidio, presenta personalmente ricorso in Cassazione lamentando vizi di motivazione sulla pena. La Suprema Corte dichiara il ricorso per cassazione patteggiamento inammissibile, ribadendo che i motivi di impugnazione sono tassativamente previsti dalla legge e non includono la contestazione sulla congruità della pena concordata tra le parti.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Cassazione Patteggiamento: Limiti e Motivi di Inammissibilità

Il ricorso per cassazione patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale con contorni ben definiti. Non è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena per qualsiasi motivo, ma solo per quelli tassativamente previsti dalla legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta i limiti di questo strumento, dichiarando inammissibile un ricorso basato su motivi non consentiti. Analizziamo la decisione per comprendere le ragioni giuridiche e le implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (il c.d. patteggiamento) emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Torino. L’imputato aveva concordato una pena di tre anni di reclusione per il reato di tentato omicidio aggravato. Il giudice, nel ratificare l’accordo, aveva concesso le attenuanti generiche, escluso un’aggravante e sostituito la pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.

Contro questa sentenza, l’imputato proponeva personalmente ricorso per cassazione, sollevando due motivi:
1. Un vizio di motivazione riguardante l’entità della pena applicata.
2. Una questione di incostituzionalità di una norma del codice di procedura penale.

Il Ricorso per Cassazione Patteggiamento e i Suoi Limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per una pluralità di ragioni, tutte riconducibili al mancato rispetto delle norme che regolano l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La decisione della Corte si fonda principalmente sull’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Questa norma stabilisce in modo chiaro e tassativo i soli motivi per cui è possibile presentare un ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono:

* Mancata espressione del consenso da parte dell’imputato.
* Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Qualsiasi motivo di ricorso che esuli da questo elenco è, per definizione, inammissibile.

La Difesa Personale in Cassazione

In via preliminare, la Corte ha osservato che il ricorso era stato presentato personalmente dal condannato. Sebbene non sia questo il motivo principale della decisione, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’esercizio del diritto di difesa in Cassazione richiede una qualificazione professionale elevata. Per questo motivo, la legge rende ragionevole l’esclusione della difesa personale, garantendo al contempo l’accesso al patrocinio a spese dello Stato per chi non può permettersi un avvocato.

Le Motivazioni della Corte

Entrando nel merito dei motivi di ricorso, la Suprema Corte ha evidenziato la loro manifesta infondatezza. Il primo motivo, relativo al presunto vizio di motivazione sull’entità della pena, si scontra direttamente con i limiti imposti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La contestazione sulla congruità della pena, che è stata concordata tra accusa e difesa, non rientra tra i vizi denunciabili in sede di legittimità per questo tipo di sentenze. La logica del patteggiamento è proprio quella di un accordo sulla pena, la cui motivazione da parte del giudice è per sua natura più sintetica rispetto a una sentenza ordinaria.

Poiché il motivo principale del ricorso non era consentito dalla legge, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità senza necessità di ulteriori formalità procedurali, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. La conseguenza diretta di tale declaratoria è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, quantificata in tremila euro, a causa della colpa evidente nell’aver promosso un’impugnazione priva dei requisiti di legge.

Conclusioni

La decisione in commento riafferma un principio fondamentale: il ricorso per cassazione patteggiamento non è uno strumento per rimettere in discussione l’accordo raggiunto tra le parti sulla pena. È un rimedio eccezionale, limitato alla correzione di specifici errori di diritto o vizi procedurali gravi, elencati tassativamente dal legislatore. Chi intende impugnare una sentenza di patteggiamento deve quindi assicurarsi che i propri motivi rientrino in questo perimetro ristretto, pena l’inevitabile declaratoria di inammissibilità e le conseguenti sanzioni economiche.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca tassativamente i soli motivi ammessi, che includono problemi nel consenso dell’imputato, l’errata qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena, escludendo altre censure.

La contestazione sull’entità della pena è un motivo valido per ricorrere contro un patteggiamento?
No, il vizio di motivazione circa l’entità della pena applicata non rientra tra i motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta, poiché la pena è oggetto dell’accordo tra le parti.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso per cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, determinata dal giudice, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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