Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8987 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8987 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nata a Catania il DATA_NASCITA
NOME COGNOME NOME nata a Catania il DATA_NASCITA
NOME nata a Catania I DATA_NASCITA
avverso il decreto del 21/06/2023 della Corte di Appello di Catania
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto emesso in data 28 novembre 2019, il Tribunale di Catania ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME invocavano l’esatta delimitazione della porzione di terreno sito in Tremestieri Etneo confiscato con decreto del Tribunale di Catania del 7 luglio 2003, nell’ambito del procedimento di prevenzione patrimoniale instaurato nei confronti di NOME COGNOME.
Con ordinanza dell’Il dicembre 2020, la Corte di appello di Catania ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dalle predette avverso il provvedimento del Tribunale di Catania.
La Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, con sentenza del 3 giugno 2021, ha annullato con rinvio tale ordinanza di inammissibilità, censurando l’omessa valutazione del contenuto della perizia giurata sull’effettiva consistenza degli immobili e l’apoditticità della motivazione con la quale i giudici di appello affermavano che le singole porzioni del terreno confiscato «non sarebbero suscettibili di utilizzazione separata sul piano economico e funzionale» (vedi pag. 4 della sentenza rescindente).
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo del loro difensore, propongono ricorso per cassazione avverso il decreto, emesso il 21 giugno 2023, con il quale la Corte di Appello di Catania ha nuovamente dichiarato inammissibile l’appello avanzato dalle ricorrenti.
Con il primo motivo di impugnazione, le ricorrenti lamentano difetto di motivazione e violazione degli artt. 536, 565 e 938 cod. civ.
I giudici di appello, con motivazione erronea e carente, avrebbero affermato che il terreno in questione ed il villino ivi costruito dovrebbero essere considerati in modo unitario e che la porzione residua di terreno nonché i fabbricati ivi edificati andrebbero considerati come pertinenze dell’immobile confiscato, non essendo suscettibili di utilizzazione separata.
La Corte territoriale avrebbe omesso di indicare alla stregua di quale norma di legge il terreno ereditato dalle ricorrenti sarebbe divenuto pertinenza del bene confiscato in difetto di una pronuncia giurisdizionale, per effetto di un mero atto amministrativo emesso in data anteriore al decreto di confisca (variazione catastale avvenuta nel 1986 e formalizzata nel 2003 con la quale l’Ufficio del Catasto ha «fuso» le particelle catastali 934 e 935).
La difesa ha, inoltre, lamentato l’erroneità ed illogicità della motivazione nella parte in cui riporta pedissequamente l’affermazione del perito secondo cui la soluzione progettuale proposta dalle ricorrenti e la conseguente utilizzabilità separata delle porzioni di terreno estranee al provvedimento di confisca dovrebbe considerarsi «assolutamente ipotetica in quanto in contrasto con gli effettivi diritti reali dell’inte lotto coincidenti con quello della villa», senza tenere conto la porzione di terreno di proprietà delle ricorrenti sarebbe «suscettibile dei più svariati usi ed i fabbricati edifica si prestano a essere utilizzati come magazzini del tutto autonomi rispetto al villino confiscato» (vedi pag. 2 del ricorso).
Le ricorrenti hanno, inoltre, eccepito che il sistema vigente non prevede la possibilità di sottoporre a confisca beni che non rientrano nella richiesta avanzata dal Pubblico Ministero e che i giudici di appello avrebbero ipotizzato, con motivazione erronea, una sorta di accessione invertita ai sensi dell’art. 938 cod. civ., senza tenere conto della natura eccezionale di tale norma e della conseguente inapplicabilità della stessa « al di fuori del caso in cui l’edificio costruito abbia materialmente occupato una porzione del fondo altrui» (vedi pag. 3 del ricorso)
Con il secondo motivo di impugnazione, le ricorrenti lamentano difetto di motivazione e violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.
I giudici di appello, senza confrontarsi con le argomentazioni difensive, avrebbero omesso di motivare in ordine alla doglianza con la quale la difesa aveva censurato l’ablazione di beni non rientranti tra quelli confiscati dal Tribunale il 7 luglio del 2003.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
Il primo e il secondo motivo di impugnazione non sono consentiti in sede dì legittimità, perché reiterano doglianze involgenti non violazioni di legge ma difetti di motivazione già denunciati in sede di appello ed affrontati in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Deve essere preliminarmente ribadito che il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge, mentre non sono deducibili vizi riconducibili alle categorie indicate dall’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. (salvo i casi di assenza o mera apparenza della motivazione, ipotesi che integrano la violazione di legge in riferimento all’art. 125 cod. proc. pen.).
Costituisce, peraltro, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale la motivazione inesistente o apparente del provvedimento ricorre esclusivamente quando il decreto ometta del tutto di confrontarsi con un elemento prospettato da una parte che risulti potenzialmente decisivo in quanto, anche se singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01).
In questa prospettiva, oltre ad essere esclusi i vizi tipici concernenti la tenuta logica del discorso giustificativo, è improponibile, sotto forma di violazione di legge, anche la mancata considerazione di prospettazioni difensive, quando le stesse, in realtà, siano state prese in considerazione dal giudice o risultino assorbite dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01) o comunque non siano potenzialmente decisive ai fini della pronuncia sul punto attinto dal ricorso (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080; da ultimo Sez. 2, n. 4872 del 17/11/2022, dep. 2023, non massimata).
1.1. Il provvedimento impugnato non è affetto da violazione di legge, neanche sub specie carenza assoluta di motivazione nei termini sopra precisati; la motivazione del decreto impugnato risulta coerente con le emergenze processuali e non è riconducibile né all’area semantica della motivazione “assente” né a quella della motivazione “apparente”.
Il riferimento alla violazione di legge ed alla carenza/apparenza della motivazione è chiaramente strumentale ad una rivalutazione della vicenda nel merito, avendo la Corte di merito chiaramente motivato sulle ragioni in base alle quali ritiene infondate le censure difensive già proposte nell’atto di appello.
Va, inoltre, sottolineato che la Corte territoriale, diversamente da quanto apoditticamente sostenuto dalle ricorrenti, si è puntualmente confrontato con i motivi di impugnazione e con quanto affermato nella sentenza rescindente con percorsi argomentativi sufficientemente approfonditi e logicamente inattaccabili.
1.2. Le doglianze, con le quali le ricorrenti lamentano violazione di legge e carenza di motivazione, sono ictu ()cui/ riferibili ad una motivazione, non già mancante o meramente apparente, ma illogica e non condivisa dalle ricorrenti e, quindi, per ragioni escluse dal sindacato della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione in materia di misure di prevenzione.
Detta censura, peraltro, oltre ad essere dedotta per motivi non consentiti per i motivi sopra esposti, è priva di specificità in quanto le ricorrenti si sono limitate a riproporre ricostruzione in fatto alternativa rispetto a quella recepita dai giudici di merito, senz confrontarsi con le coerenti argomentazioni sulle quali si fonda la decisione della Corte territoriale.
I giudici di appello, condividendo le valutazioni del perito nominato nel giudizio di rinvio, attraverso una disamina articolata ed esaustiva delle risultanze processuali, hanno ricostruito la “storia” catastale dell’immobile confiscato, rimarcando la natura unitaria del bene, il vincolo pertinenziale tra la villa confiscata e l’intero terreno su cui insiste la ste e la conseguente impossibilità di un utilizzo separato sul piano economico e funzionale (vedi pagg. 8 e 9 del provvedimento impugnato), mettendo correttamente in relazione tutti gli elementi logico-probatori desumibili dagli atti.
Le valutazioni della Corte territoriale, fondate su un’analisi delle risultanze procedimentali corretta e lontana da inammissibili presunzioni, forniscono una più che adeguata spiegazione delle ragioni per cui i giudici dell’appello sono addivenuti ad un giudizio di conferma del provvedimento del Tribunale. Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto e di diritto non qualificabili in termini di assoluta carenza o apparenza della motivazione e perciò insindacabili in questa sede per i motivi sopra esposti.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., l condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 24 novembre 2023
Il Consiglie COGNOME stensore a Presidente