Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35790 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35790 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 27/3/2024 dal Tribunale di Caltanissetta
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso;
uditi gli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, difensori del ricorrente, che hanno concluso chiedendo di accogliere i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 marzo 2024 il Tribunale di Caltanissetta ha confermato il provvedimento emesso il 10 marzo 2024 dal Giudice per le indagini
preliminari della stessa città, con cui a NOME COGNOME è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere.
Il ricorrente è stato ritenuto gravemente indiziato del delitto di partecipazione all’associazione dedita al narcotraffico, facente parte del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (capo 1 della rubrica), e di partecipazione dell’associazione dedita al narcotraffico (capo 8), oltre che di due reati scopo ex art. 73 d.P.R. n. 309/90.
Avverso l’ordinanza del Tribunale hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori dell’indagato.
AVV_NOTAIO ha dedotto i motivi di seguito indicati.
4.1. Violazione degli artt. 292 e 125, comma 3, cod. proc. pen., per avere il Tribunale adottato una motivazione apparente in ordine alla censura difensiva, sollevata nella memoria depositata, concernente il difetto di autonoma valutazione del Giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta del Pubblico ministero.
4.2. Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione al reato contestato al capo 1) della rubrica. Il Tribunale ha affermato che il ricorrente aveva continuato a far parte del sodalizio dopo la sua scarcerazione, avvenuta il 30 giugno 2019, dando rilievo alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME sul suo ruolo di paciere tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e sulle attività illecite compiute con quest’ultimo, ma così avrebbe trascurato che i rapporti fra i due erano già cessati nel 2020. Inoltre, il Tribunale ha valorizzato i due episodi in cui il ricorrente si sarebbe interposto in vicende relative a rapporti di attrito tra privati, ma ciò sarebbe illogico, in quanto si sarebbe trascurato che il presunto interessamento del ricorrente in tali vicende poteva coniugarsi con il suo interesse a dirimere le controversie, per ottenere un vantaggio personale, quale quello di diventare fornitore di pane nei confronti di una donna, contattata da NOME COGNOME. Il Tribunale, poi, avrebbe valorizzato sia delle conversazioni captate, da cui, però, non potrebbe trarsi – come, invece, sostenuto nel provvedimento impugnato – l’auspicio del ricorrente di ricoprire il ruolo in quel momento assunto da NOME COGNOME, sia il fatto che molti soggetti erano accorsi in massa presso l’abitazione del ricorrente dopo l’aggressione subita, ma i soggetti, espressamente indicati nell’ordinanza genetica, quali NOME COGNOME e NOME COGNOME, non sarebbero stati mai indiziati di far parte dell’organigramma mafioso, con conseguente illogicità dell’intero costrutto accusatorio.
4.3. Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione al reato contestato al capo 8) della rubrica. Il Tribunale non avrebbe dato risposta alle
doglianze difensive e avrebbe desunto il rapporto di collaborazione stabile e durevole tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME da un unico episodio. Anche quanto ai contatti con i palermitani, l’esiguità dei rapporti sarebbe incompatibile con la sussistenza di un legame duraturo, finalizzato all’instaurazione di un durevole rapporto di fornitura di sostanza stupefacente e, del resto, il fatto stesso che sono stati contestati soltanto due reati fine si porrebbe in contrasto con l’attività continua di traffico di sostanze stupefacenti, asseritamente realizzata dal ricorrente. Anche gli altri elementi valorizzati nell’ordinanza impugnata sarebbero illogici, come illustrato ai fogli 12, 13 e 14 del ricorso. I decidenti avrebbero attribuito, quindi, al ricorrente lo status di partecipe ad un’associazione finalizzata al narcotraffico solo sulla scorta di generici contatti con soggetti pregiudicati ovvero coinvolti nei traffici di stupefacenti, senza che fosse stata fornita alcuna motivazione sulla determinazione di programmi illeciti futuri, sull’eventuale spartizione degli utili o ancora sulla consapevolezza in capo a COGNOME di far parte di siffatta organizzazione, dai contorni indefiniti. L’ordinanza impugnata non avrebbe poi dato atto di tutti gli elementi costitutivi di un sodalizio, quali, ad esempio l’esistenza di un luogo dove riporre lo stupefacente o di una cassa comune o di un sistema collaudato di guadagno, derivante dalla vendita dello stupefacente.
5. L’AVV_NOTAIO ha dedotto i seguenti motivi.
5.1. Violazione di legge e vizi della motivazione quanto alla gravità indiziaria per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. L’ordinanza impugnata si limiterebbe a riportare passaggi di quella genetica, narrando fatti e incontri non integranti gli elementi richiesti dalla fattispecie in questione. Nel provvedimento in scrutinio si richiamerebbero semplicemente due episodi sconnessi, che riguarderebbero, tra l’altro, incombenze private. Non vi sarebbe un coordinamento o unione con l’indagato NOME COGNOME, che, stando al costrutto accusatorio, risulterebbe fondamentale per l’attribuzione degli asseriti e distinti ruoli; difetterebbe un riscontro della dichiarazione del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, che, peraltro, non avrebbe indicato specifiche attività del ricorrente, a cui attribuisce persino un nome diverso; non vi sarebbe mai un’indicazione di elementi o dati da cui poter desumere la sussistenza di disponibilità di armi o di forza militare e non verrebbe mai menzionato un accordo comune illecito con il ricorrente e neppure un suo avvalersi di un metodo di intimidazione. In definitiva, la descrizione di due incontri con privati autonomi e distaccati, la precedente vetusta condanna, l’incontro con i propri parenti non sarebbero sufficienti a livello indiziario a dimostrare la sussistenza di un’associazione, la sua
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partecipazione, l’attuazione di una condotta finalizzata al bene comune, l’assoggettamento di omertà da parte del contesto sociale.
5.2. Manifesta illogicità della motivazione. Il provvedimento si basa sulle dichiarazioni del collaboratore COGNOME, che ha sostenuto di essere andato presso l’abitazione del ricorrente ma poi non ha ricordato il nome. Secondo il ricorrente, gli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato non sarebbero idonei a fondare la ritenuta gravità indiziaria, come indicato nello specifico alle pagine 9, 10, e 11 del ricorso.
5.3. Violazione di legge e vizi della motivazione riguardo alla gravità indiziaria in relazione al reato di cui al capo 8). Il Tribunale non avrebbe evidenziato elementi idonei a far ritenere sussistente la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non essendo stato indicato quale fosse l’apporto del ricorrente e se avesse la consapevolezza di partecipare ad un’associazione criminale. Difetterebbero argomentazioni anche sulla stabile struttura organizzata e sul perseguimento di un programma criminoso comune con predisposizione dei mezzi finalizzati alla commissione di delitti.
5.4. Manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di cui al capo 8) in quanto nessun dato neppur minimo indurrebbe a ritenere che il ricorrente facesse parte dell’associazione e avesse offerto un contributo a questa.
5.5. Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione al reato di cui al capo 78), in quanto il Tribunale avrebbe desunto che si trattasse di droga dalle dimensioni del secchio e del carico, ripresi da un sistema di videosorveglianza.
5.6. Violazione di legge e vizi della motivazione in ordine al reato di cui al capo 79), per il quale non sarebbe stata accertata nessuna cessione da parte del ricorrente.
5.7. Violazione di legge e vizi della motivazione sulle esigenze cautelari, non essendo stati considerati il tempo trascorso dai fatti e il periodo di detenzione sofferto dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti
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ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 01; Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178 – 01).
Correlativamente, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame, a questa Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni del decisum e di controllare la congruenza della motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che il provvedimento impugnato è immune da vizi sindacabili in questa sede.
Il primo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO è privo di specificità.
Deve rilevarsi che questa Corte ha già avuto modo di precisare (ex multis: Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, COGNOME, Rv. 277496 – 01; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, COGNOME, Rv. 274760 – 01) che, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti “de libertate”, il ricorrente per cassazione, che denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario, di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate.
Nel caso in esame, siffatto onere non è stato assolto dal ricorrente, che si è limitato a dedurre che il Giudice per le indagini preliminari non aveva operato una autonoma valutazione circa la sua partecipazione all’organizzazione RAGIONE_SOCIALE e ai reati di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309/90.
Ad ogni modo, deve rilevarsi che il Tribunale ha dato risposta all’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare impugnata, avendo affermato che il Giudice per le indagini preliminari non si era limitato a recepire acriticamente e supinamente la richiesta cautelare del Pubblico ministero in ordine ai gravi indizi e alle esigenze cautelari, ma l’aveva fatta propria, esprimendo specifiche e argomentate valutazioni indicative dell’effettivo vaglio svolto sul compendio indiziario raccolto e, dunque, dimostrative della non immotivata adesione al provvedimento dell’organo di accusa.
Siffatte considerazioni, in effetti, come osservato dal Tribunale, trovano riscontro nella lettura dell’ordinanza genetica, in cui il Giudice per le indagini
preliminari, dopo aver riportato l’esito dell’attività di indagini, ha espresso le proprie valutazioni, anche utilizzando un diverso stile di scrittura in grassetto, con riguardo a ogni singolo capo di imputazione e alla posizione di ciascun indagato e ciò con riferimento sia alla gravità indiziaria che alle esigenze cautela ri .
In tale contesto devono disattendersi, quindi, i rilievi censori mossi all’ordinanza genetica, risultando corrette le valutazioni del Tribunale al riguardo.
5. Quanto alla partecipazione di NOME COGNOME al sodalizio di cui al capo 1), contestata nel secondo motivo del ricorso dell’AVV_NOTAIO e nel primo e secondo motivo dell’AVV_NOTAIO, deve premettersi che il Tribunale, dopo aver richiamato l’ordinanza genetica e aver ricostruito le vicende delle due cosche gelesi, ha affermato che il ricorrente era stato condannato con sentenza, emessa nel 2006 dalla Corte di appello di Caltanissetta, oltre che per il delitto di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen., per la partecipazione all’associazione RAGIONE_SOCIALE denominata “RAGIONE_SOCIALE” – RAGIONE_SOCIALE (fatto commesso in RAGIONE_SOCIALE da epoca imprecisata anteriore fino al mese di gennaio 2002). Nell’ambito di altri procedimenti era stato, inoltre, condannato per vari delitti di estorsione nei confronti di esercenti commerciali, aggravati dall’art. 416 bis.1 cit., per aver commesso il fatto in qualità di appartenente ad organizzazione RAGIONE_SOCIALE.
Preso atto della precedente condanna del ricorrente per la partecipazione al medesimo sodalizio di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria, il Tribunale ha rimarcato che plurimi erano gli elementi ulteriori acquisiti a sostegno della perdurante partecipazione dell’indagato nel periodo successivo a quello per cui era già stato condannato. In particolare, il dato storico della partecipazione del ricorrente a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE gelese era attualizzato dalle dichiarazioni del 30 luglio 2021 del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, che, tra l’altro, aveva riferito che il ricorrente era un soggetto intraneo al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il quale, a seguito dei contrasti insorti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME per il pagamento di una partita di stupefacenti, era intervenuto per dirimere i diverbi fra i due e tale condotta, già da sola considerata, rappresentava un indice di partecipazione qualificata alla consorteria, soprattutto per un soggetto già condannato per il reato di mafia. Inoltre, le conversazioni intercettate avevano consentito di accertare che il ricorrente, non appena scarcerato (30 giugno 2019), si era immediatamente attivato per riallacciare i risalenti contatti con soggetti intranei all’associazione RAGIONE_SOCIALE nonché per occuparsi della gestione del traffico di stupefacenti. Dalle indagini era emerso che il ricorrente era a conoscenza delle dinamiche interne al sodalizio e aveva reso sia la propria
abitazione che il panificio, da lui gestito, suoi quartieri generali, ove incontrare i soggetti coinvolti nella gestione del traffico di stupefacenti e ricevere persone che, in forza della sua intraneità all’associazione, chiedevano il suo sostegno e la sua protezione. Tra gli altri episodi, il Tribunale ha ricordato che, dopo aver subito un’aggressione, il ricorrente aveva chiamato a raccolta una serie di personaggi contigui a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, i quali erano accorsi in massa presso la sua abitazione e alcuni di essi avevano manifestato propositi omicidiari nei confronti di COGNOME, dando prova di una totale devozione alla causa rinzivilliana. Infine, ha rimarcato che l’intraneità si fondava anche sulla commissione dei reati fine, ossia quelli di cui ai capi 78 e 79.
Alla luce di tali elementi non può sindacarsi la motivazione del provvedimento impugnato, con cui il ricorrente è stato ritenuto intraneo al sodalizio di cui al capo 1). Al riguardo, infatti, sono stati valorizzati, tra l’altro conoscenza delle dinamiche criminali della famiglia RAGIONE_SOCIALE, che solo un intraneo può avere, e il ruolo di paciere, che è svolta da esponenti di primo piano di una cosca, in quanto ha la funzione di assicurare la stabilità e la tenuta di quest’ultima.
Al cospetto delle articolate e diffuse argomentazioni con cui il Tribunale, al pari del Giudice per le indagini preliminari, ha individuato fatti concreti rivelatori dello stabile inserimento del ricorrente con un ruolo attivo nel sodalizio, avendo ritenuto provato che egli aveva offerto un contributo significativo alla vita dell’associazione, il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione idonei a disarticolare o, comunque, a porre in crisi la complessiva tenuta del discorso logico-argomentativo delineato dal Collegio della cautela, limitandosi a svilire il narrato del collaboratore NOME COGNOME e alcuni episodi valorizzati nel provvedimento, così sollecitando questa Corte a effettuare una non consentita ricostruzione del quadro indiziario.
Anche il terzo motivo del ricorso dell’AVV_NOTAIO e il terzo e il quarto motivo del ricorso dell’AVV_NOTAIO sono tesi a un’inammissibile rivisitazione degli elementi probatori posti a base della ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 8) dell’imputazione provvisoria.
Al riguardo, deve premettersi, innanzitutto, che il Tribunale, al pari del Giudice per le indagini preliminari, nel porre in risalto dati, quali l’utilizzo modalità operative e di tecniche condivise e consolidate, il ripetersi di condotte consimili di spaccio, l’esistenza di profili organizzativi, l’utilizzo di un linguaggi conosciuto dai sodali, gli incontri per affrontare questioni legate al narcotraffico, la coltivazione di sostanze stupefacenti, ha valorizzato elementi legittimamente intesi come rappresentativi dell’operatività di un RAGIONE_SOCIALE di soggetti, che,
capeggiata da NOME COGNOME e NOME COGNOME, agiva per il perseguimento, non occasionale ed episodico ma stabile, di un programma delittuoso, avente ad oggetto un numero indeterminato di reati in materia di stupefacenti.
Ciò equivale alla puntuale rappresentazione di un’associazione per delinquere di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990.
Con riferimento specifico al ricorrente, il Tribunale ha affermato che dal compendio indiziario si ricavava che, in seno all’associazione anzidetta, il medesimo gestiva e coordinava l’attività di spaccio condotta da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; gestiva per conto del sodalizio i contatti con emissari di NOME COGNOME, suo cognato, e prevalentemente con NOME COGNOME, per il quale aveva effettuava la consegna di un non modico quantitativo di stupefacente il 31 marzo 2020 e da COGNOME aveva ricevuto una fornitura di stupefacente il 26 novembre 2020 e il 12 febbraio 2021. Aveva mantenuto, sempre per conto dell’associazione, rapporti con i fornitori calabresi NOME COGNOME e NOME COGNOME e con soggetti di Vittoria. Infine, erano registrati assidui contatti con fornitori catanesi e principalmente con i fratelli NOME COGNOME e NOME COGNOME. Il Tribunale poi ha avuto cura di disattendere i rilievi difensivi ed è, quindi, pervenuto ad affermare che a fronte di un così articolato e saldo quadro indiziario doveva ritenersi raggiunta, se non anche superata, la soglia probatoria della gravità indiziaria, tipica del giudizio cautelare.
Risultano smentite, pertanto, le deduzioni del ricorrente secondo cui il Tribunale non avrebbe evidenziato gli elementi tipici di una associazione dedita al narcotraffico e non avrebbe indicato in RAGIONE_SOCIALE era consistito il coinvolgimento del ricorrente nel reato di cui al capo 8) dell’imputazione provvisoria.
7. Il quinto e il sesto motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, concernenti i due reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90, ascritti al ricorrente, s risolvono in una sollecitazione a valutare diversamente gli elementi valorizzati dal Giudice della cautela, costituiti principalmente dalle immagini della videosorveglianza e dalle conversazioni captate, che avevano consentito di ricostruire le cessioni di sostanza stupefacente, oggetto dei due reati in questione.
8. Il settimo motivo è privo di specificità.
Quanto alle esigenze cautelari il Tribunale ha richiamato la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non vinta nel caso di specie, ricorrendo, invece, plurimi elementi nel senso dell’attualità e concretezza del
rischio di recidiva di cui alla lettera c) dell’art. 274 cod. proc. pen. e non risultando acquisiti in atti né prodotti della difesa elementi atti a deporre in senso opposto. Il ricorrente, infatti, aveva assunto un ruolo di assoluto protagonismo nell’ambito del narcotraffico curato dalla mafia locale, essendosi posto a capo di diversi altri soggetti nello svolgimento dei traffici di droga sul territorio gelese. giudizio negativo risultava corroborato anche dall’esame del certificato del casellario giudiziale, ove sono annotati i precedenti penali, anche specifici, dell’indagato.
A fronte di così allarmanti esigenze cautelari, il mero decorso del tempo – in assenza di elementi utili a superare le presunzioni di legge e, al contrario, in presenza di molteplici indici sintomatici di massima pericolosità – non poteva che reputarsi da sé solo insufficiente a giustificare conclusioni di segno contrario.
Alla luce di quanto precede deve ricordarsi che questa Corte ha già affermato che, in tema di misure cautelari, quando si procede per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale, privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità. Il tempo, infatti, può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti c non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 53028 del 6/11/2017, COGNOME, Rv. 271576 – 01; Sez. 6, n. 29807 del 4/05/2017, COGNOME e altri, Rv. 270738 -01; Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, COGNOME, Rv. 267995 – 01; Sez. 5, n. 52628 del 23/09/2016, COGNOME e altri, Rv. 268727 – 01).
Nel caso in esame, il Tribunale ha rilevato l’assenza di elementi in grado di escludere la ricorrenza delle esigenze cautelari ovvero l’inadeguatezza di misure meno afflittive e ha preso in considerazione anche il tempo decorso dai fatti, che – con motivazione adeguata e logica – ha ritenuto non idoneo ad attenuare o eliminare le esigenze cautelari in ragione delle circostanze espressamente indicate.
Con tale apparato giustificativo il ricorrente non si è adeguatamente confrontato, posto che, nella sostanza, si è limitato a ribadire quanto già dedotto dinanzi al Tribunale ovvero ha contestato in maniera assertiva il ragionamento articolato dal Giudice del riesame, senza però evidenziare profili di effettiva illogicità.
La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
La Cancelleria è onerata degli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. attuaz. c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18 luglio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Presidente