Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30822 Anno 2024
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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30822 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/02/2024 del TRIB. LIBERTA di SALERNO
udita la rerazione svolta dal Consigliei : e NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso:
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 febbraio 2024 il Tribunale del riesame di Salerno ha rigettato il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari ha applicato, nei suoi confronti, la misura della custodia cautelare in carcere.
Il ricorrente è gravemente indiziato del reato di cui al capo 2, per aver concorso nella detenzione e nella cessione di sostanza stupefacente del tipo hashish e marijuana all’interno della casa circondariale di Salerno, dove peraltro si trovava detenuto per altra causa.
Avverso tale ordinanza, ai sensi dell’art. 311 cod. proc. pen., ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., – quanto segue.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione della legge e vizio della motivazione, poiché manifestamente contraddittoria.
Nei confronti del ricorrente sono state valorizzate solo tre conversazioni, intervenute tra altri detenuti, prive di riscontro e di rilevanza indiziaria, poi sguarnite di riferimenti ad “avvenute cessioni di stupefacente” (p. 3 ricorso).
2.2. Con un secondo motivo si deduce vizio della motivazione, in quanto il Tribun -ale ha-errOneamente affermato che l’RAGIONE_SOCIALE si è avvalso della facoltà di non rispondere; in realtà il ricorrente ha negato ogni addebito, ed ha spiegato, nel corso del suo interrogatorio, che sebbene fosse impegnato in cucina le sue mansioni non gli consentivano di girare tra i reparti.
2.3. Con il terzo motìvo si lamenta l’eccessivo rigore nella scelta della misura, per la marginalità del ruolo in ipotesi avuto e per la c:ondotta tenuta nel carcere di Salerno. Inoltre, gli erano già stati concessi gli arresti domiciliari e, momento della esecuzione della misura, l’affidamento al servizio sociale.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le part hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
Più in particolare, il Sostituto Procuratore generale in sede ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, sia perché manifestamente infondato, sia perché volto a sottoporre al sindacato di legittimità la rivalutazione di elementi fattuali di esclusiva pertinenza dei giudici di merito, a fronte di un percorso
motivazionale, come quello del provvedimento impugnato, che risulta esente da macroscopiche illogicità o incongruenze.
1.1. Giova premettere al riguardo che, secondo il costante orientamento di questa Corte, allorquando si impugnano provvedimenti relativi a misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circ:ostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; conformi, Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884 – 01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241997 – 01).
Questo perché il controllo di legittimità che la Corte è chiamata ad effettuare consiste nella verifica della sussistenza delle ragioni giustificative della scelt cautelare nonché dell’assenza nella motivazione di evidenti illogicità ed incongruenze, secondo un consolidato orientamento espresso dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01), e successivamente ribadito dalle Sezioni semplici (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Rv. 261400 – 01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Rv. 248698 – 01).
Il vizio di motivazione di un’ordinanza, per poter essere rilevato, deve quindi assumere i connotati indicati nell’art. 606 lett. e) e cioè riferirsi alla mancanz della motivazione o alla sua manifesta illogicità, risultante dal testo del provvedimento impugnato, così dovendosi delimitare l’ambito di applicazione dell’art. 606, lett. c, cod. proc. pen. ai soli vizi diversi (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391 – 01).
Di conseguenza, quando la motivazione è adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, il controllo di legittimità non può spingersi o coinvolgendo il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito sull’attendibilità e la capacità dimostrativa delle fonti di prova.
Il controllo della Corte, quindi, non può estendersi a quelle censure che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito.
1.2. Nello scrutinio dei motivi di ricorso non si può prescindere, inoltre, dalla distinzione tra l’accertamento della responsabilità e quello, rilevante in questa sede, della gravità indiziaria.
Invero, la valutazione affidata al giudice in tema di misure cautelari personali, vincolata al rispetto dei requisiti di gravità indiziaria di cui all’art.
cod. proc. pen., non coincide con quella finalizzata all’accertamento della responsabilità sulla base delle emergenze probatorie in sede dibattimentale, essendo la prima caratterizzata da esigenze interinali (cautelari, appunto) che postulano la seria probabilità, ma non necessariamente la certezza della commissione del reato da parte della persona sottoposta ad indagini; e la seconda, invece, legata alla necessità che la colpevolezza dell’imputato venga affermata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Con un consolidato orientamento giurisprudenziale, cui questo collegio intende dare continuità, si è da tempo sostenuto come il termine “indizi”, adoperato dall’art. 273, comma 1, cod. proc. ten., abbia una valenza completamente diversa da quella che il medesimo termine assume nell’art. 192, secondo comma. Infatti, mentre in tale ultima norma la scelta lessicale operata dal legislatore trova la sua evidente ragion d’essere nell’esigenza di distinguere tra prove ed indizi (e soprattutto onde stabilire le condizioni in cui questi ultim possono, considerati nel loro complesso, assurgere a dignità di “prove” e giustificare, quindi, le affermazioni di colpevolezza), l’uso del termine indizi nell’art. 273, primo comma, non é in alcun modo riconducibile ad un’analoga distinzione, ma unicamente alla diversa natura del giudizio (di probabilità e non di certezza) che é richiesto ai fini dell’applicazione di una misura cautelare e rispetto al quale doveva, quindi, parlarsi non di “prove”, ma sempre comunque di “indizi”, non essendovi altrimenti congrue-nza fra detta probabilistica del giudizio stesso ed i fondamenti ai quali quest’ultimo doveva essere ancorato (Sez. 6, n. 4825 del 12/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203600; in senso conforme, ex multis Sez. 3, n. 742 del 23/02/1998, Dersziova, Rv. 210514, e Sez. 6, n. 2547 del 05/07/1999, COGNOME, Rv. 214930). Va quindi ribadito che la pronuncia cautelare è fondata su indizi di reità, e tende all’accertamento di una qualificata probabilità di colpevolezza, non della responsabilità (Sez. Un., 21.04.1995, Costantino, rv. 202002). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. Questo essendo il perimetro dello scrutinio di legittimità, si deve osservare che il ricorrente invoca, nella sostanza, una inammissibile considerazione alternativa degli elementi di prova – in maniera prevalente, intercettazioni – ed una diversa valutazione, senza confrontarsi con l’iter logicogiuridico seguito nel provvedimento impugnato.
Quanto alla struttura della motivazione del Tribunale, va affermata la piena legittimità del richiamo all’ordinanza genetica, tale da saldare in un unico corpo le valutazioni di merito: va quindi ribadito l’orientamento di questa Corte di legittimità, secondo il quale non è affetta da vizio di motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma in tutto o in parte il provvedimento
impugnato, recependone le argomentazioni, perché in tal caso i due atti si integrano reciprocamente, ferma restando la necessità che le eventuali carenze di motivazione dell’uno risultino sanate dalle argomentazioni utilizzate dall’altro (Sez. 3, n. 8669 del 15/12/2015, dep. 2016, Berlingeri, Rv. 266765 – 01; Sez. 6, n. 48649 del 6/11/2014, Beshaj, rv. 261085).
2.1. Ciò posto, i primi due motivi sono in fatto e reiterativi di analoghe doglianze su cui il tribunale ha adeguatamente risposto, con motivazione esente da vizi rilevabili in questa sede, e non oggetto in questa sede di specifica censura.
I giudici della cautela, dopo aver ricostruito il più ampio contesto investigativo, hanno evidenziato il coinvolgimento del ricorrente nelle cessioni di stupefacente del 22 dicembre 2022 e del 11 gennaio 2023, entrambe effettuate all’interno del carcere di Salerno, in favore del detenuto COGNOME NOME.
A tal fine sono stati valorizzati dei dialoghi dal contenuto criptico (con allusioni ai “panettoni”, ai “pensierini”, alla “macchina grande e piccola”), ritenendone il significato oggetto di conferma, in ragione dei sequestri effettuati, tanto dello stupefacente quanto dei telefoni cellulari illecitamente introdotti nel carcere da un gruppo organizzato, cui partecipava COGNOME NOME, coinvolto nelle predette conversazioni.
Sempre COGNOME NOME veniva intercettato mentre discuteva con COGNOME NOME dei preparativi-.precedenti le imminenti cessioni, con dialoghi a tratti piuttosto espliciti.
A fronte di conversazioni dalla chiara valenza dimostral:iva, richiamati dal Tribunale ed analizzati con un percorso motivazionale esente da illogicità o incongruenze, il ricorrente non ha opposto alcun elemento concreto di critica, sul piano della attitudine a provare, in termini di gravità indiziaria, la condott addebitata.
Anche in ordine alla identificazione i giudici della cautela hanno evidenziato che i riferimenti, contenuti nei dialoghi, ad un soggetto di nome “NOMENOME che lavorava in cucina, dovevano ritenersi univocamente riconducibili al detenuto COGNOME NOME.
Il ricorrente, infine, non si confronta con il pacifico indirizzo di legittim secondo cui interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice del merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, sentenza n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; in senso conforme, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, sentenza n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01).
2.2. Non supera il vaglio di ammissibilità nemmeno il terzo motivo, in quanto aspecifico.
Il ricorrente, nel contestare la “necessità di emettere la misura cautelare estrema”, ha omesso ogni confronto con la motivazione offerta dal Tribunale, che ha derivato sussistenza e l’intensità delle esigenze cautelari sia dalla pessima biografia penale (con precedenti specifici, anche per il reato ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), sia sulla concreta gravità del fatto, poiché commesso all’interno di una casa circondariale, per giunta da un soggetto ivi ristretto.
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.
Poiché da questa decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1-ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis di tale disposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2024
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