Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7347 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 7347  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
 NOME COGNOME nato a Crotone il DATA_NASCITA
 COGNOME NOME nato a Crotone il DATA_NASCITA avverso il decreto del 19/01/2023 della Corte di appello di Bologna
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto emesso in data 6 marzo 2022 il Tribunale di Bologna ha disposto nei confronti di NOME COGNOME la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale e la confisca di beni intestati al COGNOME e a NOME COGNOME.
 Il sottoposto a misura di prevenzione e la sopraindicata terza interessata hanno, quindi, proposto appello avverso tale decreto, lamentando l’assenza dei presupposti oggettivi e soggettivi della misura di prevenzione e la carenza del requisito dell’attualità della pericolosità.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo dei rispettivi difensori, propongono ricorso per cassazione avverso il decreto, emesso il 19 gennaio 2023, con il quale la Corte di Appello di Bologna ha rigettato l’appello avanzato dai ricorrenti.
NOME COGNOME, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 4, 10 del d.l.gs. 159/2011 e 125 cod. proc. pen. e motivazione carente
ed apparente in ordine ai presupposti per l’emissione del provvedimento di confisca.
La Corte territoriale, con motivazione apparente, avrebbe affermato la pericolosità del ricorrente facendo esclusivo riferimento a condotte poste in essere in favore dei NOME COGNOME e non dell’associazione ‘ndranghetista e senza indicare in che modo il COGNOME abbia favorito la cosca.
I giudici dell’appello non avrebbero evidenziato specifici e concreti elementi di collegamento tra il COGNOME ed il clan, senza tenere conto che il ricorrente non è stato coinvolto negli altri procedimenti che hanno colpito le ‘ndrine calabresi e che, prima del processo Aemilia, il COGNOME ha patteggiato la pena per il reato di cui all’art. 12-quinquies della legge 356 del 1992 commesso nel 2002.
5. Il COGNOME, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 4, 10 del d.l.gs. 159/2011 e 125 cod. proc. pen. e motivazione inesistente ed apparente in ordine all’attualità della pericolosità sociale.
La Corte territoriale, limitandosi alla mera reiterazione del percorso argomentativo contenuto nel provvedimento genetico, non avrebbe trattato in modo congruo il tema dell’attualità della pericolosità sociale, facendo esclusivo riferimento a condotte poste in essere ad anni passati -2002/2016-; l’attualità della pericolosità sarebbe collegata, in modo del tutto congetturale ed apparente, al solo fatto che il COGNOME avrebbe tenuto rapporti commerciali con la società RAGIONE_SOCIALE che a sua volta avrebbe avuto contatti con appartenenti alla ‘ndrangheta, senza alcuna spiegazione dei motivi posti a base di tale affermazione. Peraltro, gli immobili siti nel comune di Montecchio Emilia alla INDIRIZZO non rientrerebbero nell’arco temporale in cui si sarebbe manifestata la pericolosità del COGNOME.
6. Entrambi i ricorrenti, con il terzo motivo del ricorso del COGNOME ed il primo motivo del ricorso della COGNOME, lamentano violazione degli artt. 1, 10, 24 del d.l.gs. 159/2011 e 125 cod. proc. pen. e motivazione inesistente ed apparente in ordine alla ritenuta sproporzione tra i redditi del nucleo familiare e l’investimento effettuato per l’acquisto degli immobili sottoposti a confisca.
I giudici dell’appello non avrebbero considerato i redditi percepiti dalla COGNOME nonostante l’immobile sia stato acquistato, anche con i redditi della predetta, nel 2004 e, quindi, un periodo in cui i ricorrenti convivevano anche se non formalmente residenti nella stessa abitazione.
La Corte di merito, inoltre, non avrebbe considerato i redditi da attività lavorativa percepiti dal COGNOME prima del 1999 ed avrebbero omesso di valutare gli elementi forniti dai ricorrenti attestanti la legittimità degli acquisti virtù dell’impiego di lecite fonti reddituali; in particolare, il consulente di parte
avrebbe chiarito come i redditi percepiti dal nucleo familiare, unitamente ai successivi investimenti, escluderebbero la sperequazione erroneamente affermata nel provvedimento impugnato.
Parimenti non sussisterebbe alcuna sperequazione tra le somme transitate nel conto corrente intestato alla COGNOME ed i redditi lecitamente percepiti dal nucleo familiare nei termini indicati nella consulenza di parte. Gli stessi giudici di appello avrebbero riconosciuto che parte delle somme rinvenute nel conto corrente e parte delle somme utilizzate per acquistate gli immobili confiscati sarebbero di provenienza lecita e, di conseguenza, la Corte di merito non avrebbe potuto disporne la confisca.
I ricorrenti, con il quarto motivo del ricorso del COGNOME ed il secondo motivo della COGNOME, lamentano violazione degli artt. 10 del d.l.gs. 159/2011 e 125 cod. proc. pen. e motivazione inesistente ed apparente in ordine al mancato accoglimento della richiesta di perizia contabile ed audizione del consulente di parte.
I giudici di appello avrebbero omesso di motivare in ordine alla richiesta di integrazione probatoria avanzata dai ricorrenti, limitandosi ad affermare che il Tribunale avrebbe provveduto a rettificare gli importi posti a fondamento della valutazione sulla base delle osservazioni tecniche svolte dal consulente della difesa e ad affermare, in modo apodittico, che anche all’esito di tali rettifiche non sarebbe comunque possibile escludere il carattere sproporzionato dei beni di cui è stata disposta la confisca.
A giudizio della difesa, la Corte di merito avrebbe dovuto procedere alla richiesta rinnovazione istruttoria per stabilire l’eventuale proporzione tra redditi percepiti e valore dei beni acquistati o quantomeno la quota di provenienza lecita delle somme rinvenute nel conto corrente intestato alla COGNOME, peraltro gli stessi giudici di merito avrebbero affermato che il mutuo acceso per l’acquisto dell’immobile di Montecchio Emilia sarebbe stato pagato in parte con somme di provenienza lecita, con conseguente contraddittorietà della motivazione. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso della terza interessata NOME COGNOME è inammissibile perché proposto da difensore privo di procura speciale.
Secondo il costante insegnamento della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione in tema di procedimento di prevenzione, il terzo interessato, portatore di interessi meramente civilistici, può stare in giudizio solo a mezzo di difensore munito di procura speciale alle liti ai sensi dell’art. 100 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 880 del 26/11/2020, dep. 2021, Mattina, Rv. 280403; da ultimo Sez. 5, n. 4357 del
21/10/2022, dep. 2023, COGNOME, non massimata; Sez. 5, n. 22623 del 03/05/2022, COGNOME, non massimata).
Il ricorso a tale mandato speciale si giustifica con la sostanziale «estraneità» del terzo – non pericoloso – al giudizio di prevenzione aperto nei confronti di coloro che manifestano (o hanno manifestato) una condizione di pericolosità; l’interesse del terzo a prendere parte al giudizio di prevenzione risiede nella scelta di tutelare nell’ambito di tale giudizio il proprio interesse alla restituzione dei beni vincolati dalla misura patrimoniale.
Ciò premesso, nella vicenda in esame, si rileva che al difensore, il quale ha redatto e presentato il ricorso per cassazione, non è stata rilasciata la procura speciale. L’accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova che l’atto di nomina del difensore non presenta i requisiti della procura speciale, la cui mancanza, essendo causa di inammissibilità dell’atto introduttivo, è rilevabile in questa sede.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile in quanto avanzato per motivi non consentiti, perché involgenti non violazioni di legge ma difetti di motivazione già denunciati in sede di appello ed affrontati in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Deve essere preliminarmente ribadito che il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge, mentre non sono deducibili vizi riconducibili alle categorie indicate dall’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. (salvo che si lamenti l’assenza o la mera apparenza della motivazione, ipotesi che integrano la violazione di legge in riferimento all’art. 125 cod. proc. pen.).
Costituisce, peraltro, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale la motivazione inesistente o apparente del provvedimento ricorre esclusivamente quando il decreto ometta del tutto di confrontarsi con un elemento prospettato da una parte che risulti potenzialmente decisivo in quanto, anche se singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01).
In questa prospettiva, oltre ad essere esclusi i vizi tipici concernenti la tenuta logica del discorso giustificativo, è improponibile, sotto forma di violazione di legge, anche la mancata considerazione di prospettazioni difensive, quando le stesse, in realtà, siano state prese in considerazione dal giudice o risultino assorbite dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284 – 01) o comunque non siano potenzialmente decisive ai fini della pronuncia sul punto attinto dal ricorso (Sez. 6, n. 33705 del
15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080; da ultimo Sez. 2, n. 4872 del 17/11/2022, dep. 2023, non massimata).
Le valutazioni della Corte territoriale, fondate su un’analisi del materiale logico-probatorio corretta e lontana da inammissibili presunzioni, forniscono una più che adeguata e logica spiegazione delle ragioni per cui è addivenuta a confermare il provvedimento impositivo della misura di prevenzione personale della confisca dei beni intestati al COGNOME ed alla terza interessata COGNOME.
I plurimi riferimenti alla violazione di legge ed alla carenza/apparenza della motivazione contenuti nel ricorso appaiono chiaramente strumentali ad una rivalutazione della vicenda nel merito, avendo la Corte territoriale chiaramente motivato sulle ragioni in base alle quali ritiene infondate le censure difensive già proposte nell’atto di appello. Va, in particolare, sottolineato che la Corte territoriale, diversamente da quanto apoditticamente sostenuto dai ricorrenti, si è puntualmente confrontato con i motivi di appello con motivazioni sufficientemente approfondite e logicamente inattaccabili.
3.1. I giudici di appello, condividendo la decisione del Tribunale attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, hanno indicato analiticamente i precisi dati fattuali da cui desumere l’attuale appartenenza del COGNOME alla categoria dei soggetti pericolosi ai sensi del d.lgs. 159/2011 (vedi pagg. da 23 a 33 del provvedimento impugnato). Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di assoluta carenza o apparenza della motivazione e perciò insindacabili in questa sede per i motivi sopra esposti.
3.2. A differenza di quanto affermato nel ricorso, i giudici di appello hanno adeguatamente motivato in ordine alla provenienza delittuosa dei beni confiscati ed alla significativa sperequazione tra fonti di reddito e patrimonio dei ricorrenti; in particolare la motivazione indica dettagliatamente le ragioni in virtù delle quali i giudici di appello hanno ritenuto corrette le valutazioni e le conclusioni cui è giunto il Tribunale previa dettagliata ricostruzione della situazione patrimoniale del nucleo familiare del ricorrente, (vedi pagg. da 35 a 37 del provvedimento impugnato).
Le differenti valutazioni e la diversa ricostruzione cui è giunto il consulente della difesa che il ricorrente ha invocato nel ricorso, si pongono in modo palese al di fuori del perimetro dei motivi ammissibili in questa sede, non avendo ad oggetto violazioni di legge ma una richiesta di rivalutazione della vicenda nel merito, non deducibile nel giudizio legittimità
3.3. La Corte territoriale, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, ha adeguatamente motivato in ordine alla superfluità dei mezzi di prova richiesti dalla difesa con argomentazioni sintetiche ma sicuramente non riconducibili né all’area semantica della motivazione “assente” né a quella della motivazione “apparente” (vedi pag. 37 del provvedimento impugnato).
 Il provvedimento impugnato non appare, in conclusione, affetto da violazione di legge, neanche sub specie carenza assoluta di motivazione -nei termini delineati dalla giurisprudenza di questa Corte esposti in precedenza- sia in ordine al profilo della pericolosità che dell’attualità apprezzata attraverso la ricostruzione cronologica dei dati fattuali sia della sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi della misura di prevenzione applicata con conseguente inammissibilità del ricorso.
 All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 21 novembre 2023
La Presidente