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Ricorso per cassazione: limiti e inammissibilità

La Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha ribadito che il suo sindacato è limitato alla violazione di legge e alla manifesta illogicità della motivazione, senza poter riesaminare i fatti. La decisione del Tribunale del riesame è stata ritenuta immune da vizi, avendo giustificato la misura sulla base della gravità dei reati, del ruolo attivo dell’indagato e della differenza di condotte rispetto a un coindagato.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per cassazione: quando l’appello contro le misure cautelari è inammissibile

Il ricorso per cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma il suo accesso è soggetto a limiti ben precisi, specialmente in materia di misure cautelari. Una recente sentenza della Suprema Corte ha ribadito questi confini, dichiarando inammissibile l’appello di un indagato contro l’ordinanza che confermava la sua custodia in carcere per gravi reati legati al traffico di stupefacenti. Questa decisione offre spunti cruciali per comprendere la differenza tra un riesame dei fatti, precluso alla Cassazione, e un controllo sulla legittimità della decisione.

I fatti del caso

Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria che confermava la custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga (art. 74 d.P.R. 309/90) e di diciassette episodi di spaccio (art. 73 d.P.R. 309/90). La difesa aveva presentato ricorso per cassazione sostenendo vizi nella motivazione. In particolare, si evidenziava un presunto ruolo subordinato dell’indagato all’interno del sodalizio criminale e una disparità di trattamento rispetto a un coindagato, al quale erano stati concessi gli arresti domiciliari pur avendo un ruolo simile.

I limiti del ricorso per cassazione in materia cautelare

La Corte di Cassazione ha preliminarmente chiarito la natura del suo intervento. In tema di impugnazione di misure cautelari, il ricorso è ammissibile solo se denuncia una violazione diretta di norme di legge o una manifesta illogicità della motivazione. Non è consentito, invece, proporre censure che mirino a una diversa ricostruzione dei fatti o a una differente valutazione delle circostanze, attività che spettano esclusivamente al giudice di merito (in questo caso, il Tribunale del riesame).

Il compito della Corte, quindi, non è decidere se l’indagato sia colpevole o innocente, né se la misura sia ‘giusta’ in astratto, ma verificare se il giudice che l’ha emessa abbia seguito correttamente le regole procedurali e abbia fornito una motivazione logica, coerente e basata sui principi di diritto.

Le motivazioni della Suprema Corte

Nel merito, la Corte ha giudicato il provvedimento impugnato esente da vizi. Il Tribunale del riesame aveva fornito una motivazione adeguata, fondando la sua decisione su diversi elementi chiave:

1. Gravità delle condotte: L’indagato era pienamente inserito nelle dinamiche del sodalizio criminale e aveva posto in essere ben diciassette reati in materia di stupefacenti. Questo, unito alla presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275-bis c.p.p., rendeva la misura carceraria proporzionata.
2. Attualità delle esigenze cautelari: La difesa aveva sollevato la questione del tempo trascorso dai fatti. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che la gravità delle condotte e i contatti criminali intrattenuti fossero elementi sufficienti a rendere ancora attuali e concrete le esigenze cautelari.
3. Differente trattamento del coindagato: La disparità di trattamento è stata ritenuta giustificata. Il coindagato, a cui erano stati concessi i domiciliari, era accusato di soli tre episodi di narcotraffico, a fronte dei diciassette contestati al ricorrente. Questa differenza quantitativa spiegava logicamente la diversità delle misure applicate.
4. Assertività del ricorso: La Corte ha concluso che il ricorrente si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dal Tribunale o a contestare in modo generico il ragionamento del giudice, senza evidenziare profili di effettiva e manifesta illogicità.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito. Chi intende impugnare un’ordinanza cautelare davanti alla Suprema Corte deve concentrarsi su specifiche violazioni di legge o su difetti logici evidenti e macroscopici nella motivazione, non potendo sperare in una nuova e diversa valutazione delle prove. La decisione del Tribunale del riesame, se adeguatamente motivata e congrua rispetto ai canoni della logica e del diritto, è insindacabile in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando è ammissibile un ricorso per cassazione contro una misura cautelare personale?
È ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, non quando propone una diversa ricostruzione dei fatti o una nuova valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice di merito.

Perché, in questo caso, la misura cautelare è stata diversa tra due coindagati con ruoli apparentemente simili?
La differenza di trattamento è stata giustificata dalla diversa entità delle condotte contestate. Il ricorrente era accusato di diciassette reati di narcotraffico, mentre al coindagato ne erano stati attribuiti solo tre. Questa notevole differenza è stata ritenuta una base logica per applicare una misura meno afflittiva (arresti domiciliari) al secondo.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria, in questo caso determinata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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