Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36569 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36569 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Cutro il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 04/03/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale
NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento della sentenza;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 04/03/2025 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del 28/06/2024 con la quale il Tribunale di Catanzaro, in composizione collegiale, all’esito del giudizio ordinario, aveva condannato NOME COGNOME, escluse le aggravanti di cui agli artt. 644, comma 5 n. 5 e 416-bis.1 cod. pen., alla pena di anni 9 di reclusione ed € 18.000 di multa per il reato di cui agli artt. 644, commi 1, 3, 4, 5 nn. 3 e 4, cod. pen. commesso in danno di NOME COGNOME dal 2019 al 16 settembre 2022.
Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il suo difensore di fiducia, deducendo i motivi che di seguito si enunciano nei limiti strettamente necessari alla motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo e il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione (art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.) in relazione al capo della sentenza relativo alla affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al contestato delitto di usura aggravata. Il difensore rileva che la responsabilità del COGNOME Ł stata affermata dai giudici di merito unicamente sulla base delle dichiarazioni fantasiose, inattendibili, contraddittorie e prive di riscontri rese dalla persona offesa NOME COGNOME. Il ricorrente evidenziava di aver esposto nell’atto di appello numerosi elementi che dimostravano l’inverisimiglianza del racconto del COGNOME ed in particolare: a) il fatto che lo stesso COGNOME colloca il prestito di 1.000 euro ricevuto dal COGNOMEprima del covid’, vale a dire prima del marzo 2020, laddove era stato provato che in quel periodo l’imputato era ristretto in carcere; b) la circostanza che lo stesso COGNOME aveva riferito che il COGNOME non gli aveva richiesto alcun interesse per il denaro ricevuto ma era stato lui a dirgli che, per riconoscenza, gli avrebbe fatto guadagnare qualcosa; non vi era stato dunque alcun patto/accordo
usurario, ma solo una iniziativa unilaterale del COGNOME animata dalla volontà di ‘sdebitarsi moralmente per la cortesia ricevuta’; c) il fatto che non era possibile che il COGNOME, come da questi dichiarato, avesse restituito al COGNOME in due anni, a fronte dei 1.000 euro ricevuti, ben 3.600 euro versando 150 euro al mese; ciò in quanto la stessa persona offesa aveva dichiarato che in alcuni mesi non dava nulla e in altri consegnava al COGNOME solo 20 euro; peraltro le indagini della polizia giudiziaria avevano documentato unicamente un pagamento del COGNOME al COGNOME di 85 euro; d) la circostanza che, come emerso dal dibattimento (e come ammesso dallo stesso COGNOME pur tra diverse contraddizioni ed esitazioni), la persona offesa era debitore del COGNOME per i 1.000 euro ricevuti in prestito ma doveva alla madre di quest’ultimo (NOME) altri 5.000 euro a titolo di restituzione del doppio della caparra ricevuta (€ 2.500) per un armadio con camera da letto che la donna aveva acquistato nel negozio del COGNOME tra il 2020 e il 2021 e che quest’ultimo non era stato in grado di consegnare. A detta del ricorrente la Corte di appello aveva acriticamente ribadito le conclusioni del giudice di primo grado senza motivare sui motivi di gravame con i quali si contestava, come detto, la credibilità della vittima, il difetto di riscontri alle sue dichiarazioni, nonchØ l’impossibilità di configurare il delitto in mancanza di un accordo tra le parti.
2.2. Con il terzo motivo il ricorrente deduce i vizi di cui all’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla quantificazione della pena. Secondo il difensore, infatti, i giudici di merito hanno quantificato la pena base per il reato di usura in misura significativamente superiore alla media edittale e poi applicato un notevole aumento per la recidiva, senza tuttavia motivare sul punto e senza dunque dar conto delle ragioni della pena inflitta, che risulta eccessiva e sproporzionata.
2.3. Con il quarto motivo la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. Il difensore si duole del fatto che la Corte di appello, immotivatamente, non ha attribuito alcun valore al fatto che il COGNOME il 18/06/2024 ha inviato alla persona offesa un vaglia postale di 350 euro a titolo di ristoro dei danni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo e il secondo motivo di ricorso – che possono essere trattati congiuntamente sono, con tutta evidenza motivi in fatto e dunque non rientrano tra quelli decucibili in questa sede. Al riguardo va preliminarmente ribadito il principio costantemente affermato da questa Corte secondo il quale ‘eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità Ł circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01). In altri termini, Ł preclusa alla Corte di cassazione ogni ricostruzione dei fatti diversa e alternativa rispetto a quella effettuata dai giudici di merito, così come ogni diversa valutazione delle prove acquisite nel processo. Al giudice di legittimità, precluso ogni intervento sul fatto accertato in sentenza, compete solo la verifica in ordine alla correttezza del percorso logico-giuridico attraverso il quale il fatto stesso Ł stato ricostruito; tale controllo sul processo motivazionale del giudice di merito, peraltro, trova i suoi limiti nell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., sicchØ la Corte deve
limitarsi a verificare l’esistenza di una motivazione effettiva (e non apparente), la sua non contraddittorietà e la sua non manifesta illogicità. Nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve dunque stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 1, Sentenza n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01).
Alla luce di tali principi, i primi due motivi di ricorso sono inammissibili in quanto, a ben vedere, il ricorrente pretende di contestare in questa sede di legittimità il fatto così come accertato e ricostruito dalle sentenze di primo e di secondo grado, proponendo una ricostruzione alternativa degli accadimenti che i giudici di merito hanno già motivatamente disatteso e/o una diversa valutazione delle risultanze processuali (a cominciare dalla attendibilità della persona offesa).
Ciò detto, va altresì rilevato che non sussiste neppure alcun profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità nella motivazione della sentenza impugnata. La Corte di appello (p. 5 della sentenza) ha infatti ampiamente chiarito che la vicenda dell’acquisto del mobilio e della restituzione della caparra alla madre del COGNOME non aveva nulla a che vedere col prestito usurario che il COGNOME aveva ricevuto dall’imputato. La stessa persona offesa aveva infatti ammesso l’esistenza delle due vicende, ma aveva chiarito che le stesse erano del tutto autonome e indipendenti. La Corte ha peraltro evidenziato che ogni dubbio in ordine all’attendibilità del COGNOME e alla credibilità della versione dei fatti da lui fornita era fugato dal contenuto delle intercettazioni telefoniche in atti – riportate alle pp. 5 e 6 della sentenza -; intercettazioni nelle quali NOME COGNOME, parlando con terze persone, dice espressamente, riferendosi ad un soggetto che Ł stato pacificamente individuato nel COGNOME (sulla base di elementi di fatto univoci e non contestati), che aveva prestato dei soldi a quest’ultimo (circa mille euro), che il soggetto gli stava dando interessi da tre anni e mezzo, pagando somme mensili e che solo da ultimo lui stava iniziando a recuperare il capitale. Conversazioni dal contenuto difficilmente equivocabile che confermavano in pieno il racconto della vittima di usura. Il giudice di appello ha altresì adeguatamente motivato (p. 7) anche sugli altri presunti elementi che, a detta dell’appellante, avrebbero minato l’attendibilità della persona offesa, evidenziando: che era stato accertato che i primi contatti tra imputato e vittima risalivano al luglio 2020 e dunque ad un momento successivo alla scarcerazione del COGNOME; rimarcando che il contenuto delle intercettazioni era ricco di riferimenti espliciti a termini specifici, quali capitale, interessi, prestito, ecc.; risultava quindi del tutto improbabile e inverosimile che tali termini fossero stati impropriamente utilizzati dal COGNOME a causa della sua (presunta) scarsa scolarizzazione.
Con tale motivazione, tutt’altro che contraddittoria o illogica, la difesa del ricorrente ha sostanzialmente omesso di confrontarsi, limitandosi a reiterare questioni, attinenti alla attendibilità del COGNOME, sottoposte ad entrambi i giudici di merito e da entrambi adeguatamente disattese. I primi due motivi di ricorso sono quindi inammissibili, non solo perchØ, come detto, motivi in fatto, ma anche perchØ difettano di specificità in violazione dell’art. 581, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. Come Ł noto questa Corte di legittimità, nel suo massimo consesso, ha chiarito che «l’appello, al pari del ricorso per cassazione, Ł inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, Ł direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono
state esposte nel provvedimento impugnato» (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
Quanto poi all’argomento secondo il quale il COGNOME non aveva avanzato alcuna richiesta di interessi e che questi erano stati pagati dal COGNOME di sua iniziativa – anche prescindendo dalla totale inverosimiglianza di tale ipotesi, peraltro chiaramente smentita dal contenuto delle intercettazioni di cui sopra -, Ł appena il caso di evidenziare che secondo il disposto dell’art. 644, comma 1, cod. pen. il reato si configura anche nel caso in cui l’agente ‘si fa dare’ interessi usurari; la semplice accettazione degli interessi Ł quindi sufficiente ad integrare il delitto, indipendentemente da chi abbia preso l’iniziativa del pagamento (in tal senso Sez. 2, Sentenza n. 38551 del 26/04/2019, COGNOME, Rv. 277090 – 01, secondo la quale ‘ai fini dell’integrazione del delitto di usura, Ł sufficiente l’oggettiva usurarietà delle condizioni economiche stabilite dalle parti, risultando irrilevante sia che l’agente abbia posto in essere una condotta induttiva per farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari, sia che la persona offesa abbia preso l’iniziativa per avviare la negoziazione usuraria’).
Il terzo motivo di ricorso difetta di specificità ed Ł comunque manifestamente infondato.
Questa Suprema Corte ha piø volte affermato che ‘in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non Ł necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen’ (Sez. 4, Sentenza n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 – 01; nello stesso senso Sez. 3, Sentenza n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01). Nel caso in esame la pena base per il delitto di usura Ł stata quantificata in anni 5 di reclusione, e quindi si colloca al di sotto della media edittale che Ł pari ad anni 6. Fermo restando quanto precede, i giudici di merito hanno peraltro ampiamente giustificato il discostamento dal minimo edittale (anni 2), evidenziando che il fatto era grave sia perchØ il rapporto usurario si era protratto per anni sia perchØ il tasso di interesse praticato era risultato molto elevato (180% annuo), sia infine perchØ dalle intercettazioni (prog. 1855) emergeva chiaramente che il COGNOME era abitualmente dedito all’usura. Anche in questo caso il difensore non si confronta affatto con la ratio decidendi. Quanto poi all’aumento per la recidiva Ł appena il caso di evidenziare che in caso di recidiva, reiterata e infraquinquennale – che Ł quella contestata e ritenuta nel caso specifico – l’aumento di pena Ł determinato in misura fissa (2/3) sicchØ non vi sono margini di discrezionalità, rispetto ai quali il giudice abbia l’obbligo di motivare.
Anche il quarto motivo di ricorso Ł del tutto generico e aspecifico.
Con riferimento alle attenuanti generiche va ribadito il costante orientamento di questa Corte, secondo il quale ‘al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchØ anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente’ (Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02). Nel caso in esame, la Corte di appello ha adeguatamente motivato sul punto, rilevando che era di ostacolo alla concessione delle generiche la biografia penale del COGNOME, gravato da plurimi e reiterati precedenti specifici. In tale motivazione deve quindi ritenersi implicitamente disatteso anche l’argomento difensivo secondo il quale si sarebbe dovuto tenere conto del fatto che il COGNOME, il 18/06/2024, aveva inviato al Codisposti, a titolo di ristoro dei danni, la somma di 350 euro. E’ evidente che tale somma, versata dieci giorni prima della pronuncia della sentenza di appello, contrariamente
a quanto sostenuto dal ricorrente, non poteva in alcun modo integrare l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. – che presuppone che il risarcimento del danno intervenga prima del giudizio di primo grado -. La tardività dell’offerta (verosimilmente legata ad intenti meramente opportunistici) e l’assoluta esiguità della stessa (anche e soprattutto in relazione al danno non patrimoniale) non consentivano neppure di prenderla in considerazione ai fini dell’applicazione delle generiche e di ritenere tale elemento prevalente su quelli ben piø gravi, di segno contrario, valorizzati dal giudice emittente.
Per le ragioni sin qui esposte si impone la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchØ, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo quantificare in € 3.000,00
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 16/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME