Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 39174 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 39174 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Martina Franca il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Martina Franca il DATA_NASCITA,
Cannassa NOME, nato a Martina Franca il DATA_NASCITA,
NOME NOME, nato a Martina Franca il DATA_NASCITA,
COGNOME NOME, nato a Oria il DATA_NASCITA,
COGNOME NOME, nato a Grottaglie il DATA_NASCITA,
COGNOME NOME, nata a Martina Franca il DATA_NASCITA,
COGNOME NOME, nato a San Marzano di San NOME il DATA_NASCITA, avverso la sentenza in data 10/11/2023 della Corte di appello di Lecce;
letti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, che ha chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi;
sentiti i difensori degli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno chiesto, in accoglimento dei ricorsi, l’annullamento dell’impugnata sentenza nei confronti dei propri assistiti.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 10/11/2023, la Corte di appello di Lecce ha parzialmente riformato la sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce del precedente 10/01/2022, che, in esito a giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME in ordine ai delitti di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, 512-bis e 69 cod. pen. e 2 e 4 I. n. 895 del 1967, loro rispettivamente ascritti e, per l’effett li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia.
Nello specifico, la Corte territoriale, in parziale accoglimento di taluni degl appelli proposti dagli imputati:
con riguardo a COGNOME NOME, ha confermato la sentenza di condanna di primo grado, relativa ai delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. n. 309 (capo 1) e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 8, 9 e 15);
con riguardo a COGNOME NOME, ha riformato la sentenza di condanna di primo grado, relativa al delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. (capo 47 riducendo, per l’effetto, l’entità della pena inflitta e concedendo al predetto l’ulteriore beneficio della non menzione della condanna nel certificato penale;
con riguardo a COGNOME NOME, ha riformato la sentenza di condanna di primo grado, relativa ai delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. n. 309 (capo 1), d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 7, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 18 e 19) e 512-bis cod. pen. (capi 43 e 44), riducendo l’entità della pena all’esito di un diverso bilanciamento con le ritenute aggravanti delle già concesse attenuanti generiche;
con riguardo a COGNOME NOME, ha riformato la sentenza di condanna di primo grado, relativa ai delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. n. 309 (capo 1), d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 18 e 19) e 512-bis cod. pen. (capi 42, 43, 44, 45, 46 e 47), riducendo l’entità della pena all’esito di un diverso bilanciamento con le ritenute aggravanti delle già concesse attenuanti generiche;
con riguardo a COGNOME NOME, ha confermato la sentenza di condanna di primo grado, relativa al delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (cap 34);
con riguardo a COGNOME NOME, ha riformato la sentenza di condanna di primo grado, relativa al delitto di cui agli artt. 2 e 4 I. n. 895 del 1967 e a contravvenzione di cui all’art. 697 cod. pen. (capo 39), mandando assolto il predetto da tale ultimo reato e riducendo, per l’effetto, l’entità della pena;
con riguardo a COGNOME NOME, ha riformato la sentenza di condanna di primo grado, relativa ai delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. n. 309 (capo 1),
d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 7, 9, 11 e 13) e 512-bis cod. pen. (capo 44), riducendo l’entità della pena all’esito di un diverso bilanciamento con le ritenute aggravanti delle già concesse attenuanti generiche;
con riguardo a NOME NOME, ha riformato la sentenza di condanna di primo grado, relativa ai delitti di cui agli artt. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (capi 23 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 36 e 40), 2 e 4 I. n. 895 del 1967 (capi 37 e 39) e 648 (capo 38), riducendo l’entità della pena.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori degli imputati, AVV_NOTAIOto NOME COGNOME (per COGNOME NOME) AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME (per COGNOME NOME, per COGNOME NOME e per COGNOME NOME), AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME (per COGNOME NOME), AVV_NOTAIOto NOME COGNOME (per COGNOME NOME) e AVV_NOTAIOto NOME COGNOME (per COGNOME NOME e per COGNOME NOME), che hanno articolato, nell’interesse dei rispettivi propri, i motivi di doglianza, di seg sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di NOME NOME il suo difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta configurabilità de delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
Assume, in specie, che nella decisione della Corte territoriale l’affiliazione al sodalizio del predetto sarebbe stata illegittimamente ed irragionevolmente inferita dal contenuto di talune intercettazioni telefoniche e ambientali, del tutt prive di riscontri, che, pur se indicative del suo coinvolgimento in plurimi trasporti di stupefacenti effettuati per conto del coimputato COGNOME COGNOME, non risulterebbero dimostrative della consapevolezza di far parte di una struttura organizzata, stante altresì la riscontrata assenza di rapporti diretti con alt affiliati.
Aggiunge, inoltre, che l’accertata commissione di più delitti-fine di illecito trasporto di sostanze stupefacenti, in assenza di elementi ulteriori indicativi dell’esistenza di affectio societatis, non avrebbe dovuto essere intesa come dimostrativa dell’intraneità al sodalizio dell’imputato, risultando più corretta l qualificazione dei fatti in termini di concorso in reato continuato.
2.2. Con il secondo motivo del ricorso di cui trattasi il difensore del COGNOME si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., di vizio motivazione in punto di affermata responsabilità del predetto in ordine ai delitti
contestatigli, contrastando la stessa con il principio dell'”o/tre ogni ragionevole dubbio”.
Rileva in proposito che l’affermazione di responsabilità contenuta nella n ei decisione oggetto d’impugnativa , ‘fonderebbe su una disamina parziale degli elementi acquisiti e su un’interpretazione degli stessi ipotetica e presuntiva.
2.3. Con il terzo motivo del medesimo ricorso si lamenta infine, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione per carenza e illogicità manifesta sia in punto di denegata valutazione delle attenuanti generiche in termini di prevalenza sulla ritenuta recidiva che di concreto esercizio del potere dosimetrico.
Si sostiene al riguardo, per un verso, che il mancato riconoscimento della prevalenza di tale diminuente nel giudizio di bilanciamento sarebbe stato irragionevolmente giustificato nella decisione impugnata, essendosi in essa rimarcato, in palese contrasto con quanto emerso dagli atti, il ruolo, in tesi non marginale, svolto dal COGNOME e, per altro verso, che la pena allo stesso inflitta risulterebbe illogicamente determinata, stante l’eccessiva entità degli incrementi sanzionatori effettuati per la ritenuta continuazione.
2.4. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME i suoi difensori si dolgono, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., di vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta configurabilità del delitto di trasferime fraudolento di valori di cui al capo 47.
Sostengono, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe motivato il coinvolgimento nel delitto del predetto (in qualità di extraneus) con argomenti palesemente illogici, inferendo irragionevolmente il suo ruolo di utilizzatore dell’appartamento oggetto del trasferimento – di cui aveva l’effettiva titolarità i genitore COGNOME NOME ancorché ne fosse formale intestatario il prestanome COGNOME NOME – dal contenuto di alcune comunicazioni telefoniche intercettate, nel corso delle quali si faceva riferimento al solo pagamento delle utenze e non anche al canone di affitto dell’immobile e dall’avvenuta rinunzia, da parte del predetto COGNOME COGNOME, al motivo di appello riguardante il delitto in oggetto.
2.5. Con il secondo motivo del ricorso de quo i difensori lamentano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge per mancata declaratoria della prescrizione del delitto per il quale, viceversa, v’era stata condanna.
Assumono segnatamente che il delitto istantaneo con effetti permanenti di trasferimento fraudolento di valori, in ragione della mancata la stipula del contratto definitivo, programmata per il mese di febbraio del 2016, si sarebbe
perfezionato all’atto della conclusione del contratto preliminare di vendita dell’unità immobiliare, avvenuta il 02/05/2011, sicché da quel momento si sarebbe dovuto far decorrere il termine prescrizionale, con la conseguenza che lo stesso, pur a tener conto del periodo di sospensione disposto dai giudici del merito ai sensi dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., risulterebbe spirato al momento della pronunzia della sentenza di secondo grado.
2.6. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME i suoi difensori si dolgono, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 62-bis cod. pen. in rapporto al disposto degli artt. 133 cod. pen., 27, comma 3, Cost. e 7 CEDU.
Rilevano, in specie, che nella decisione impugnata la determinazione della pena finale sarebbe avvenuta per effetto di un’erronea applicazione dell’evocata norma sostanziale, contrastante, peraltro, con i criteri di ragionevolezza e con la finalità di emenda che governano l’esercizio del potere dosimetrico, posto che la riduzione sanzionatoria derivata dalla concessione delle attenuanti generiche e dalla loro valutazione in termini di prevalenza sulle ritenute aggravanti, correlate all’ammissione di responsabilità da parte dell’imputato, sarebbe stata ingiustificatamente quantificata in misura inferiore al massimo previsto “ex lege ff
2.7. Con il secondo motivo del ricorso in oggetto i predetti difensori lamentano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 81, comma 2, cod. pen. in rapporto al disposto degli artt. 133 cod. pen., 27, comma 3, Cost. e 7 CEDU, nonché vizio di motivazione per carenza in punto di determinazione degli incrementi sanzionatori operati a titolo di continuazione.
Assumono al riguardo che nella decisione della Corte territoriale gli incrementi sanzionatori per la ritenuta continuazione, pur se ridotti rispetto a quelli quantificati con la pronunzia del primo giudice, sarebbero stati determinati in maniera arbitraria o, comunque, del tutto immotivata, in palese contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi nella subiecta materia.
2.8. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME i suoi difensori si dolgono, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 99 cod. pen. e di vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta sussistenza della recidiva.
Rilevano, in specie, che nella decisione della Corte territoriale sarebbe stata riconosciuta l’anzidetta aggravante soggettiva in maniera illegittima e del tutto immotivata, essendosi valorizzati a tal fine delitti, quali una tentata estorsione e
due ricettazioni, ritenuti della stessa indole di quelli rispetto ai quali era sta pronunciata condanna in base ad un’ermeneusi dell’evocata disposizione contrastante con quella prevalentemente propugnata dal giudice di legittimità, senza argomentare, peraltro, in ordine alla ritenuta maggiore pericolosità dell’agente in ragione di un’attività delittuosa risalente a oltre vent’anni prima.
2.9. Con il secondo motivo del ricorso di cui trattasi i difensori lamentano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 81 cod. pen. e vizio di motivazione per carenza in punto di determinazione degli incrementi sanzionatori operati a titolo di continuazione.
Assumono al riguardo che i giudici di seconde cure avrebbero quantificato gli aumenti di pena in oggetto in maniera irragionevole, diversificando l’entità degli incrementi effettuati per taluni delitti, a dispetto dell’identica natura di tutti que unificati quoad poenam e senza tener conto dell’effettiva gravità di ciascuno di essi.
2.10. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il suo difensore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di violazione della legge penale e di vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di denegata riqualificazione giuridica dei fatti.
Sostiene, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe illegittimamente e immotivatamente rigettato la richiesta di derubricazione del delitto per cui v’era stata condanna dell’imputato in quello, meno grave, di favoreggiamento reale.
2.11. Con il secondo motivo del ricorso in oggetto, il difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche.
Assume in proposito che nella decisione oggetto d’impugnativa il denegato riconoscimento della menzionata diminuente sarebbe stato giustificato con argomentazioni generiche e apodittiche.
2.12. Con l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il difensore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125, 129 e 546 cod. proc. pen. e di vizio di motivazione per carenza.
Osserva, in specie, che nella decisione della Corte territoriale non si sarebbe tenuto conto dell’estraneità ai fatti del predetto imputato, così eludendo, senza motivare in alcun modo, la richiesta di proscioglimento formulata, nei suoi confronti, con l’atto di gravame.
2.13. Con l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME i suoi difensori si dolgono, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 62bis cod. pen., in rapporto al disposto degli artt. 133 cod. pen., 27, comma 3, Cost. e 7 CEDU.
Sostengono, in specie, che nella decisione della Corte territoriale la determinazione della pena finale sarebbe avvenuta per effetto di un’applicazione dell’indicata norma sostanziale erronea, oltre che confliggente con il principio di ragionevolezza e con la finalità di emenda che governano l’esercizio del potere dosimetrico, atteso che la riduzione sanzionatoria derivata dalla concessione delle attenuanti generiche e dalla loro valutazione in termini di prevalenza sulle ritenute aggravanti, collegate all’ammissione di responsabilità fatta in giudizio dall’imputata, sarebbe stata ingiustificatamente quantificata in misura inferiore al massimo consentito.
2.14. Con l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il difensore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., di vizio di motivazione per carenza in punto di quantificazione dell’aumento di pena effettuato a titolo di continuazione.
Osserva al riguardo che nella decisione della Corte territoriale l’incremento sanzionatorio in oggetto sarebbe stato effettuato senza tener conto del ruolo concretamente svolto dall’imputato in ciascun dei delitti unificati quoad poenam, in palese elusione di una specifica doglianza formulata con l’atto di appello e in spregio dei principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità.
2.15. Con l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125, 129 e 546 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per carenza.
Sostiene segnatamente che nella decisione della Corte territoriale non si sarebbe tenuto conto dell’estraneità ai fatti del predetto imputato, così eludendo, in carenza di motivazione, la richiesta di proscioglimento formulata, nei suoi confronti, con l’atto di gravame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi presentati nell’interesse di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME sono manifestamente infondati per le ragioni che di seguito si espongono.
2. Manifestamente infondato è il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di NOME NOME, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta configurabilità del delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, sostenendo, innanzitutto, che nella decisione impugnata l’affiliazione al sodalizio del predetto sarebbe stata illegittimamente ed irragionevolmente inferita dal contenuto di alcune intercettazioni, prive di riscontri, che, pur se indicative del suo coinvolgimento in plurimi trasporti di droga effettuati per conto di COGNOME NOME, non risulterebbero dimostrative della consapevolezza di far parte di una struttura organizzata e aggiungendo, inoltre, che l’accertata commissione di più delitti-fine, in carenza di ulteriori elementi indicativi dell’esistenza di affectio soci etatis, non avrebbe potuto essere intesa come dimostrativa dell’intraneità al sodalizio dell’imputato, atteso che sarebbe risultata più corretta la qualificazione dei fatti in termini di concorso in reato continuato.
Rileva in proposito il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto, nella decisione della Corte di appello l’affermazione di penale responsabilità del COGNOME in ordine al più grave delitto-mezzo risulta argomentata in maniera coerente, lineare e tutt’altro che illogica (in specie, alle pagg. 57-59), essendosi ritenute sussistenti la piena consapevolezza, da parte del predetto, dell’esistenza di una consorteria criminale dedita al traffico di stupefacenti e la volontà di farne parte alla stregua di una pluralità di elementi di significato univoco, quali lo stretto rapporto intrattenuto con il coimputato e leader indiscusso del gruppo COGNOME NOME, il diretto coinvolgimento in ben quattro trasporti di droga effettuati per conto dell’organizzazione, la perfetta conoscenza dei luoghi in cui, in due occasioni, la merce avrebbe dovuto essere consegnata agli acquirenti e il contestuale svolgimento anche delle ulteriori funzioni di pusher, circostanza, questa, palesemente indicativa di uno stabile inquadramento nel gruppo.
Orbene, a fronte di un tale esauriente argomentato, con l’impugnativa di cui trattasi si finisce col prospettare le medesime osservazioni già negativamente vagliate dai giudici di secondo grado.
È, tuttavia, pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte che con i motivi di doglianza non possano essere riprodotte le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi, ove ciò accada, ritenere aspecifici i motivi stessi.
La mancanza di specificità del motivo ricorre, infatti, non solo nel caso della sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche in quello del difetto di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità del gravame (così, ex multis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710-01, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259425-01, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01 e Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849-01).
3. Del tutto privo di pregio è il secondo motivo del ricorso in trattazione, con cui ci si duole di vizio di motivazione in punto di affermata responsabilità dell’imputato in ordine a ciascuno dei delitti ascrittigli, sostenendo che la pronunzia de qua, emessa in palese elusione della regola secondo cui la condanna postula il necessario superamento di ogni ragionevole dubbio, 7( fonderebbe su una disamina parziale degli elementi acquisiti e su un’interpretazione degli stessi ipotetica e presuntiva.
In proposito, è d’uopo osservare che la doglianza articolata con tale motivo si caratterizza per un’assoluta genericità intrinseca, non avendo la parte ricorrente, in palese violazione degli obblighi su di essa incombenti, illustrato le ragioni, in tesi, fondanti il dedotto vizio di motivazione.
In proposito, giova richiamare il consolidato insegnamento della Suprema Corte, secondo cui «In tema di impugnazione, il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato» (così, da ultimo, Sez. 6, n. 17372 dell’08/04/2021, Cipolletta, Rv. 281112.01, nonché, in precedenza, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, dep. 09/02/2010, COGNOME, Rv. 245907-01, Sez. 4, n. 24054 dell’01/04/2004, Distante, Rv. 228586-01 e Sez. 2, n. 8803 del 27/05/1999, COGNOME, Rv. 214249-01).
Palesemente infondato è, da ultimo, il terzo motivo del ricorso de quo, con cui si lamenta vizio di motivazione per carenza e illogicità manifesta sia in punto di denegata valutazione delle attenuanti generiche in termini di prevalenza sulla recidiva che di concreto esercizio del potere dosinnetrico, sostenendo, da un canto, che il mancato riconoscimento della prevalenza di tale diminuente nel giudizio di bilanciamento sarebbe stato irragionevolmente giustificato, atteso che si sarebbe rimarcato il presunto ruolo non marginale svolto dal COGNOME nella vicenda di specie, in tesi smentito dalle emergenze processuali e, d’altro canto,
che la pena inflitta risulterebbe illogicamente determinata, stante l’eccessiva entità degli incrementi sanzionatori effettuati a titolo di continuazione.
Si ritiene al riguardo che la Corte di appello, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, abbia disatteso la richiesta di modifica in senso più favorevole all’imputato del giudizio di bilanciamento delle circostanze con motivazione sintetica, ma nel contempo puntuale, in cui si è avuto cura di evidenziare che costituivano insuperabili fattori ostativi i molteplici precedenti penali esistenti a carico del predetto e lo stretto rapporto fiduciario che lo legava al capo dell’organizzazione.
Del pari, si rileva che i giudici del merito hanno respinto la richiesta di riduzione dell’entità degli aumenti sanzionatori operati a titolo di continuazione con argomentato lineare, coerente e altrettanto logico, in cui s’è avuto modo di evidenziare che i singoli delitti unificati quoad poenam, avendo riguardo al trasporto di non lievi quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, risultavano caratterizzati da rilevante gravità.
5. Privo di pregio è, ancora, il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui ci si duole di vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta configurabilità del delitto di trasferimento fraudolento di valori di cui al capo 47, assumendo che i giudici del merito avrebbero motivato il coinvolgimento del predetto nell’illecito con argomenti del tutto illogici, atteso che il suo ruolo d utilizzatore dell’appartamento oggetto del trasferimento – di cui aveva l’effettiva titolarità il genitore COGNOME NOME ancorché ne fosse formale intestatario il prestanome COGNOME NOME – sarebbe stato irragionevolmente inferito dal contenuto di alcune comunicazioni telefoniche intercettate, nel corso delle quali si faceva riferimento al pagamento delle sole utenze e non anche del canone di affitto dell’immobile, oltre che dall’avvenuta rinunzia, da parte del citato COGNOME NOME, al motivo di appello riguardante il delitto in oggetto.
In proposito, rileva il Collegio che la Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha adeguatamente motivato, con ordito argomentativo lineare, coerente e non manifestamente illogico (rinvenibile, in specie, alle pagg. 59-62 della decisione impugnata), il ritenuto coinvolgimento del predetto, in qualità di extraneus, nel delitto di trasferimento fraudolento di valori, contestato al capo 47.
E invero, i giudici del merito sono pervenuti a tale conclusione valorizzando il contenuto di talune conversazioni telefoniche ritualmente intercettate, intercorse tra l’odierno ricorrente e COGNOME NOME, fratello dell’interposto COGNOME NOME, nel corso delle quali si faceva esplicito riferimento al dovuto pagamento,
da parte del primo, delle sole bollette relative alle utenze installate presso l’abitazione e non, invece, del canone di locazione.
L’argomento, dimostrativo del coinvolgimento nel delitto dell’imputato, pienamente consapevole di dover far fronte al pagamento delle forniture, in quanto effettivo utilizzatore dell’abitazione il cui trasferimento di proprietà in favore del proprio genitore doveva apparire non ancora perfezionato, risulta del tutto immune dai dedotti vizi motivazionali.
D’altro canto, non può non rilevarsi che la doglianza articolata con il motivo di cui trattasi si risolve, di fatto, in un’inammissibile richiesta di rivalutazio delle prove, delle quali è caldeggiata una lettura alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale.
È tuttavia ben noto che il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, essendogli preclusa, in radice, la rivalutazione del fatto.
6. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo del ricorso in trattazione, con cui si lamenta violazione di legge per la mancata declaratoria della prescrizione del delitto per cui v’era stata condanna, sostenendo che lo stesso, per la sua natura di reato istantaneo con effetti permanehti, si sarebbe perfezionato all’atto della stipula del contratto preliminare di vendita dell’immobile, avvenuta il 02/05/2011, stante la mancata conclusione del correlato contratto definitivo, programmata per il febbraio del 2016, sicché il termine prescrizionale si sarebbe dovuto far decorrere dalla data della prima pattuizione, con la conseguenza che lo stesso pur a tener conto del periodo di sospensione disposto ai sensi dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., risulterebbe spirato al momento della pronunzia della sentenza di secondo grado.
Ritiene in proposito il Collegio che la doglianza dedotta con il presente motivo non colga nel segno.
Ciò perché il delitto di trasferimento fraudolento di valori per il quale è intervenuta condanna confermata in grado di appello, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, non risultava estinto per prescrizione all’atto della pronunzia della Corte territoriale.
Giova, infatti, evidenziare che la situazione di “apparenza” che s’intendeva apprestare con l’interposizione fittizia di fatto preordinata consisteva nel fare risultare che l’originario proprietario del bene immobile COGNOME NOME, soggetto in realtà interposto, ne fosse rimasto formalmente titolare quantomeno fino alla data prevista per la stipula del contratto definitivo di vendita (d collocarsi nel mese di febbraio del 2016), a dispetto della circostanza che il possesso della res e, con esso, la sua sostanziale titolarità fossero state
trasferite, fin dal momento della conclusione del preliminare, all’interponente COGNOME NOME e, per il suo tramite, al concorrente extraneus COGNOME NOME, in qualità di effettivo utilizzatore.
Ne deriva che correttamente si è ritenuto non estinto per prescrizione il delitto di cui trattasi, che, perfezionatosi nel maggio del 2011, ha prodotto i propri effetti fino al febbraio del 2016, non essendo intervenuta, nella data convenuta, la stipula del contratto definitivo di compravendita del bene.
7. Inammissibile è, poi, il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui ci si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 62-bis cod. pen., in rapporto al disposto degli artt. 133 cod. pen., 27, comma 3, Cost. e 7 CEDU, sostenendo che nella decisione oggetto d’impugnativa la determinazione della pena finale sarebbe avvenuta per effetto di un’applicazione dell’evocata norma sostanziale erronea e, Peraltro, contrastante sia con il principio di ragionevolezza che con la finalità di rieducazione che governano l’esercizio del potere dosimetrico, atteso che la riduzione sanzionatoria scaturita dalla concessione delle attenuanti generiche e dalla loro valutazione in termini di prevalenza sulle ritenute aggravanti, ancorata all’ammissione di responsabilità effettuata in giudizio dall’imputato, sarebbe stata ingiustificatamente quantificata in misura inferiore al massimo consentito.
Rileva al riguardo il Collegio che la doglianza fatta valere con tale motivo di ricorso – imperniata, come detto, sulla mancata riduzione di pena nel massimo consentito per effetto della concessione delle generiche – non risulta prospettata con l’atto di appello, circostanza che ne preclude la deduzione in questa sede, trovando applicazione il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui «Non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto d motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello» (così, ex multis, Sez. 2, n. 29707 dell’08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316-01, Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269745-01 e Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, COGNOME NOME, Rv. 255577-01).
Palesemente infondato è il secondo motivo del ricorso di cui trattasi, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 81, comma 2, cod. pen., in rapporto al disposto degli artt. 133 cod. pen., 27, comma 3, Cost. e 7 CEDU, nonché vizio di motivazione per carenza in punto di determinazione degli incrementi sanzionatori operati a titolo di continuazione,
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rilevando che essi, benché di entità ridotta rispetto a quella degli aumenti stabiliti nella decisione di primo grado, sarebbero stati determinati in maniera arbitraria o immotivata, senza tener conto, peraltro, del consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi nella subiecta materia.
Si ritiene in proposito che nella decisione impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’entità dei singoli aumenti sanzionatori a titolo di continuazione sia stata adeguatamente giustificata, riscontrandosi un lineare, pur se sintetico, ordito argomentativo col quale, per un verso, si è esplicitata l’esigenza di ridurre il quantum di ciascun incremento imputabile ai delitti satellite in funzione della riduzione della pena finale e, per altro verso, si evidenziata l’opportunità di contenere l’entità delle riduzioni, avuto riguardo ai parametri indicati all’art. 133 cod. pen.
Costituisce, peraltro, principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, a cui 14, il Collegio intende dare continuità, quello secondo cui «In tema di determinazione della pena nel reato continuato, pur sussistendo in linea di principio l’obbligo di dar conto delle ragioni della quantificazione dell’aumento di pena per il reato satellite, tuttavia, qualora l’entità di detto aumento non si ponga al di sopra della media della pena irrogabile a titolo di continuazione, non sussiste un obbligo di specifica motivazione, essendo in tal caso sufficiente il richiamo all’adeguatezza e alla congruità dell’aumento» (in tal senso: Sez. 4, n. 48546 del 10/07/2018, Gentile, Rv. 274361-01).
9. Destituito di fondamento è il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui ci si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 99 cod. pen. e di vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta sussistenza della recidiva, rilevando che nella decisione impugnat i llegitt imamente llegittimamente ed immotivatamente riconosciuta tale aggravante soggettiva, atteso che si sarebbero valorizzati a tal fine alcuni delitti – quali un tentativo di estorsione e due ricettazioni – ritenuti della stes indole di quelli per cui si procedeva in base ad un’interpretazione della citata disposizione contrastante con il prevalente orientamento giurisprudenziale di legittimità, in assenza, oltretutto, di qualsiasi argomentazione in ordine alla ritenuta maggiore pericolosità dell’agente correlata ad un’attività delittuosa risalente a oltre vent’anni prima.
Reputa il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale abbia argomentato in maniera adeguata (in specie, alle pagg. 67 e 68 della sentenza impugnata) la ritenuta sussistenza della recidiva, offrendo, peraltro, del concetto di “stessa indole”, di cui fa menzione l’art. 101 cod. pen., un’ermeneusi in linea con l’orientamento largamente maggioritario
della giurisprudenza di legittimità, che ha avuto modo di chiarire che «Per “reati della stessa indole” ai sensi dell’art. 101 cod. pen. devono intendersi non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, presentano nei casi concreti – per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati – caratteri fondamentali comuni» (Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva ravvisato la stessa indole nel reato di spaccio di stupefacenti ed in quello di furto in abitazione, assumendo rilevanza, in entrambi i casi, comportamenti dettati da omologhi motivi di indebito lucro) (così Sez. 6, n. 53590 del 20/11/2014, COGNOME, Rv. 261869-01, nonché, nello stesso senso, Sez. 3, n. 20351 del 02/04/2024, L., Rv. 286324-01, Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Assisi, Rv. 278166-01, Sez. 2, n. 40105, del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248774-01, Sez. 1, n. 46138 del 27/10/2009, COGNOME, Rv. 245504-01 e Sez. 3, n. 3362 del 04/10/1996, P.M. in proc. Barrese, Rv. 20653101).
Né può ritenersi – come pure sostenuto nel motivo di ricorso di cui trattasi che i giudici di merito non abbiano motivato in ordine all’affermata maggiore pericolosità dell’agente, collegabile alla sua condizione di recidivo, rinvenendosi nella sentenza impugnata una sintetica argomentazione al riguardo, in cui si è avuto cura di evidenziare che il ruolo apicale assunto dal predetto all’interno dell’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti rappresentava l’epilogo della sua evidente escalation criminale.
10. Privo di pregio è anche il secondo motivo del ricorso in disamina, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 81 cod. pen. e vizio di motivazione per carenza in punto di determinazione degli incrementi sanzionatori operati a titolo di continuazione, assumendo che i giudici di seconde cure avrebbero quantificato tali aumenti in maniera irragionevole, posto che taluni di essi risulterebbero di maggiore entità, a dispetto dell’identica natura dei delitti unificati quoad poenam e a prescindere dall’effettiva gravità degli stessi.
In proposito, ritiene il Collegio che l’entità dei singoli aumenti di pena a titolo di continuazione stabilita nella decisione dei giudici di merito sia adeguatamente giustificata, stante l’esistenza di un sintetico, ma lineare impianto motivazionale col quale si è esplicitata l’esigenza di ridurre il quantum di ciascun incremento innputabile ai delitti satellite in funzione della riduzione della pena finale e s’ posta in rilievo, nel contempo, l’opportunità di contenere l’entità delle riduzioni, avuto riguardo ai molteplici parametri indicati all’art. 133 cod. pen.
11. Destituito di fondamento è il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui ci si duole di violazione della legge penale e di vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di denegata riqualificazione giuridica dei fatti, rilevando che la Corte di appello avrebbe illegittimamente e immotivatamente disatteso la richiesta di derubricazione del delitto per cui v’era stata la condanna dell’imputato in quello, meno grave, di favoreggiamento reale.
Ritiene il Collegio che i giudici di secondo grado abbiano adeguatamente argomentato l’affermata colpevolezza del COGNOME in ordine al delitto di illecita detenzione di stupefacenti di cui al capo 34, evidenziando che, con riguardo a reati di natura permanente, qual è quello in oggetto, non è configurabile, durante il perdurare della condotta illecita, il delitto di favoreggiamento reale, posto che qualsiasi agevolazione fornita dal soggetto agente ai correi prima che l’agire di questi ultimi si concluda si risolve in un concorso, quantomeno morale, nel delitto in itinere.
Con tale impianto motivazionale, che, peraltro, dà specificamente conto del comportamento tenuto dall’imputato nella vicenda concreta, non si confronta il ricorrente che, mediante il motivo de quo, finisce col riproporre le medesime osservazioni critiche già illo tempore vagliate e confutate dalla Corte territoriale.
È, tuttavia, pacifica acquisizione della giurisprudenza di legittimità che con i motivi di doglianza non possano essere riprodotte le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi, ove ciò accada, ritenere aspecifici i motivi stessi.
La mancanza di specificità del motivo ricorre, infatti, non solo nel caso della sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche in quello del difetto di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità del gravame (così, ex multis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710-01, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259425-01, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01 e Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849-01).
12. Privo di pregio è anche il secondo motivo del ricorso in oggetto, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche, assumendo la decisione sul punto sarebbe stata giustificata con argomentazioni generiche e apodittiche.
Rileva in proposito il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la pronunzia della Corte territoriale è sorretta, in parte qua, da adeguata motivazione, essendosi esplicitato, in maniera sintetica, ma tutt’altro che illogica, che ostavano alla concessione della diminuente de qua i numerosi precedenti penali esistenti a carico dell’imputato.
Tale argomentazione risulta, peraltro, aderente al consolidato insegnamento della Suprema Corte, secondo cui «Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente» (così: Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-02, nonché, in precedenza, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01, Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826-01, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899-01, Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011,COGNOME e altri, Rv. 249163-01 e Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, P.G. in proc. Biancofiore, Rv. 247959-01).
13. Manifestamente infondato è l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui ci si duole dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125, 129 e 546 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza, rilevando che nella decisione della Corte territoriale non si sarebbe tenuto conto dell’estraneità ai fatti dell’imputato e si sarebbe, pertanto, elusa, senza argomentare al riguardo, la richiesta di proscioglimento formulata, nei suoi confronti, con l’atto di appello.
Ritiene in proposito il Collegio che la doglianza fatta valere con il motivo in disamina sia connotata da un’evidente genericità intrinseca, atteso che la parte ricorrente, in palese violazione degli obblighi su di essa gravanti, si è limitata alla formale enunciazione dei vizi, in tesi, caratterizzanti la decisione, senza indicare gli specifici elementi il cui scrutinio si vuole sia stato negligentemente obliterato dai giudici di merito nel percorso in concreto seguito per giungere alla conferma della decisione di condanna.
Inammissibile deve ritenersi l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 62-bis cod. pen., in rapporto al disposto degli artt. 133 cod. pen., 27, comma 3, Cost. e 7 CEDU, rilevando che nella decisione della Corte territoriale la determinazione della pena finale sarebbe avvenuta in conseguenza di un’erronea applicazione della menzionata norma
sostanziale, confliggente, oltretutto, con il principio di ragionevolezza e con la finalità di emenda cui deve necessariamente conformarsi l’esercizio del potere dosimetrico, posto che la riduzione sanzionatoria derivata dalla concessione della diminuente generica e dalla sua valutazione in termini di prevalenza sulle aggravanti ritenute configurabili sarebbe stata illegittimamente quantificata in misura inferiore al massimo consentito.
Ritiene il Collegio, analogamente a quanto osservato con riguardo al primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, che la doglianza articolata con il motivo di cui trattasi non sia suscettibile di deduzione in questa sede, ostandovi la mancata prospettazione della questione che ne forma oggetto con l’atto di appello illo tempore presentato.
Da ultimo, s’impone la declaratoria di inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME.
E invero, il predetto e il suo difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, hanno dichiarato di rinunziare all’azionata impugnativa con atto depositato in data 18/01/2024, circostanza per effetto della quale deve farsi luogo alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Giova, comunque, evidenziare che l’unico motivo del ricorso di cui trattasi, con cui ci si duole dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125, 129 e 546 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza in punto di mancata declaratoria di estraneità ai fatti dell’imputato, risulta connotato da un’evidente genericità, atteso che con esso ci si limita alla formale indicazione delle criticità, in tesi, caratterizzanti la decisione, senza illustrare, nello specific gli elementi il cui scrutinio si vuole sia stato negligentemente obliterato dai giudici di merito.
Tale circostanza comporta che alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente alle spese del procedimento e al pagamento della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.
La manifesta infondatezza delle doglianze fatte valere con i ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME comporta la declaratoria di inammissibilità degli stessi, con conseguente onere anche per gli indicati ricorrenti di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che i ricorsi de quibus
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siano stati presentati senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che i ricorrenti da ultimo indicati versino, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, ciascuno, in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25/09/2024