Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21851 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 21851 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nata a Pescara, il 17/12/1973;
Di NOME COGNOME nato a Pescara, il 10/03/1975;
Di NOME COGNOME nato a Rieti, il 06/11/1979;
NOME nato in Albania, il 20/07/1981;
NOMECOGNOME nato in Albania, il 05/12/1984;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pescara, il 19/06/1983;
avverso la sentenza del 29/02/2024 della Corte di appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla continuazione disposta nei confronti di Koka Vladimir ed alla omessa pronuncia sulla richiesta continuazione, per COGNOME NOMECOGNOME nonché l’inammissibilità dei ricorsi per COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME;
uditi i difensori: avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME in sostituzione dell’av NOME COGNOME per COGNOME DanieleCOGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME AnnaCOGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME; avv. NOME COGNOME per COGNOME Anna, COGNOME, COGNOME; avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 29 febbraio 2024, la Corte di appello di L’Aquila ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Pescara del 4 febbraio 2019, con la quale – per la parte che qui interessa – gli imputati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti per COGNOME e COGNOME erano stati condannati – NOME alla pena di anni 8 di reclusione ed euro 46.000,00 di multa, NOME COGNOME alla pena di anni 15 e giorni 15 di reclusione ed euro 84.500,00 di multa, NOME alla pena di anni 7 di reclusione ed euro 36.000,00 di multa, COGNOME NOME alla pena di anni 14 di reclusione ed euro 74.000,00 di multa, NOME lla pena di anni 7 di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, nonché NOME alla pena di anni 7 di reclusione ed euro 40.000,00 di multa – per molteplici reati in materia di stupefacenti, diversamente aggravati, analiticamente descritti nell’imputazione, consistiti in plurimi episodi di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed eroina. Con la medesima sentenza di primo grado, il Tribunale di Pescara, inoltre, ha assolto NOME COGNOME dalla sola imputazione di cui al capo zb) per non aver commesso il fatto ed ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine alla detenzione di un chilogrammo di eroina, in data 12 gennaio 2009, per ne bis in idem. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1. La Corte di appello, in parziale riforma del provvedimento di primo grado, riqualificati i fatti di cui ai capi c), f), g), gg), n), e zd) ai sensi dell’art. 73, 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, ed esclusa, quanto al capo zc), la contestata aggravante di cui all’art. 80, comma 2, del medesimo decreto, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME Anna, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME Walter e COGNOME NOME in relazione ai reati di cui ai predetti capi, perché estint per prescrizione e, concesse le attenuanti generiche a COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME Walter e COGNOME Daniele, riconosciuta anche l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. per NOME COGNOME e ritenuta la continuazione con il delitto giudicato con sentenza del Gip del Tribunale di Pescara del 28 maggio 2008, irrevocabile in data 8 aprile 2009, per COGNOME NOMECOGNOME ha rideternninato la pena originariamente inflitta agli odierni imputati in quella di: anni 4 e mesi 3 reclusione ed euro 20.000,00 di multa per COGNOME NOME NOME relativamente ai residui
reati di cui ai capi a) e d); anni 8 di reclusione ed euro 43.000,00 di multa per NOME COGNOME, con riguardo ai restanti delitti di cui ai capi a), d), zc), zf) e z anni 4 di reclusione ed euro 18.000,00 di multa per NOME Walter e COGNOME NOME, limitatamente al residuo reato di cui al capo a); anni 2 e mesi 8 di reclusione ed euro 12.000,00 di multa per NOMECOGNOME in ordine al reato di cui al capo zf) dell’imputazione; anni 11 e mesi 6 di reclusione ed euro 45.000,00 di multa per NOME NOME, per quanto concerne i fatti di cui ai capi zc), zf) e zg) dell’imputazione. Ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza di appello, ha innanzitutto proposto ricorso per cassazione, mediante difensore, COGNOME la quale censura, con un unico motivo di doglianza, la violazione degli artt. 192, 493 e 533 cod. proc. pen. ed il connesso difetto di motivazione in punto di responsabilità penale, relativamente ai reati di cui ai capi a) e d) dell’imputazione.
2.1. Preliminarmente, osserva la difesa che, nel caso di specie, non ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e che la informativa di reato fu acquisita agli atti unicamente come resoconto dell’attività di indagine. Di conseguenza, essa non avrebbe potuto estendersi né alle dichiarazioni rese da soggetti coinvolti nelle indagini, salva la conferma in dibattimento, né alle conversazioni oggetto di intercettazioni non confluite nella perizia, pena l’indebito travalicamento del perimetro probatorio che il giudice di primo grado, con l’assenso dei difensori, si era posto.
2.2. Dopodiché eccepisce la difesa l’insufficienza del compendio probatorio a fondare la responsabilità penale dell’imputata relativamente al capo a) dell’imputazione, giacché basato esclusivamente su poche conversazioni telefoniche dal contenuto neutro, prive di qualsiasi riferimento a presunte attività illecite. Dirinnente, in particolare, sarebbe la circostanza che, in una di queste conversazioni, la COGNOME avesse invitato l’interlocutore, il COGNOME, a recarsi presso l’abitazione della cognata, rimasta estranea ad ogni ipotesi di reato.
Quanto al delitto di cui al capo d) dell’imputazione, si sostiene che l’unico contatto con il coimputato COGNOME non avrebbe potuto in alcun modo dimostrare la responsabilità della ricorrente. I due, infatti, sarebbero stati visti nell’att conversare per alcuni minuti, senza alcun passaggio di denaro o di altri oggetti, a nulla rilevando che, poco dopo tale incontro, al COGNOME sarebbe giunta la chiamata di NOME COGNOME, il quale lo invitava a raggiungerlo a casa.
Vi è, in secondo luogo, l’impugnazione di COGNOME il quale, tramite il difensore, presenta censura analoga a quella sollevata nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME lamentando, parimenti, la violazione degli artt. 192, 493 e 533 cod. proc.
pen. ed il connesso difetto di motivazione, quanto alla accertata responsabilità penale per i reati di cui ai capi a), d), zc), zf) e zh).
Fatta una premessa identica a quella dedotta nell’interesse della Di Rocco sub 2.1., volta sostanzialmente ad eccepire l’indebita parcellizzazione delle fonti di prova operata dai giudici di merito, in assenza di una considerazione complessiva del quadro probatorio, ritiene in primo luogo il ricorrente che la Corte territorial abbia violato la regola di giudizio che il Tribunale si era posto con riguardo all’acquisizione dell’informativa di reato su accordo delle parti, non potendo esso rinviare alle valutazioni contenute nella predetta informativa per giungere all’affermazione di responsabilità del prevenuto.
Ciò premesso, la difesa solleva una serie di eccezioni relative ai singoli capi di imputazione ascritti al ricorrente. Per quanto riguarda il reato contestato al capo a), si denuncia innanzitutto l’assenza di prove a sostegno dell’ipotesi che, nel presunto viaggio del 9 dicembre 2008, il COGNOME abbia accompagnato il COGNOME per trasportare sostanza stupefacente. Al contrario, dalle intercettazioni in atti, emergerebbe che i due si sarebbero accordati per incontrarsi solo dopo che il COGNOME aveva fatto visita ad una persona non meglio precisata; il che, secondo la ricostruzione difensiva, confermerebbe che, in quel momento, questi si sarebbe trovato in un luogo diverso rispetto al COGNOME, il quale, invece, secondo quanto riferito la sera precedente a tale COGNOME, quella mattina avrebbe dovuto recarsi altrove con una persona di sesso femminile. Quanto al presunto viaggio effettuato in data 9 gennaio 2009, invece, mancherebbe la prova sia del fatto che l’odierno ricorrente ed il COGNOME si siano effettivamente incontrati, sia della circostanza che il prevenuto abbia effettivamente commissionato al COGNOME l’acquisto o la vendita di sostanza stupefacente. Analoghe considerazioni varrebbero, infine, con riferimento al viaggio effettuato dal COGNOME in data 12 gennaio 2009, rispetto al quale non sussisterebbe alcun riscontro dell’effettivo incontro tra i due, non potendosi ritenere sufficiente a tal fine l’unico contatto telefonico registrato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per quanto concerne il capo d), invece, si osserva che i giudici di merito, nel ritenere colpevole l’imputato sulla base di conversazioni telefoniche intercorse con tale COGNOME Lorenzo, nonché sul fatto che, poco dopo un incontro con il ricorrente, il COGNOME medesimo sarebbe stato trovato in possesso di 522 grammi di eroina, avrebbero erroneamente omesso di considerare un elemento rilevante. Infatti, altri incontri tra i due, svoltisi con le medesime modalità, sarebbero stati monitorati dagli operanti di polizia giudiziaria nei giorni precedenti l’arresto, senz mai risultare finalizzati alla cessione di sostanze stupefacenti; di talché, del tutt arbitrario e illogico sarebbe assumere che la sostanza trovata in possesso del
Mosca gli fosse stata consegnata dall’odierno prevenuto sol perché incontrato poco prima.
Ancora, per il capo zc), si lamenta la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., rappresentando, nello specifico, la mancanza di correlazione tra accusa e sentenza. Nel caso di specie, infatti, il capo di imputazione farebbe esclusivo riferimento alla condotta di detenzione di 2 chili di sostanza stupefacente del tipo cocaina, mentre la Corte territoriale avrebbe ritenuto provata la colpevolezza del ricorrente per un fatto diverso e non contestato, quale l’offerta di acquisto di una partita di cocaina, fatta al COGNOME da parte del COGNOME. In ogni caso, le intercettazioni telefoniche su cui si fonda la sentenza sarebbero vaghe ed indeterminate; come tali, inidonee a costituire indizi gravi, precisi e concordanti a carico del ricorrente.
Con riguardo, poi, al reato di cui al capo zf), si censura l’interpretazione della conversazione tenutasi il 25 aprile 2009. Secondo la difesa, infatti, dalla captazione ambientale emergerebbe soltanto una generica offerta di acquisto di sostanza stupefacente rivolta, da tale COGNOME al Di COGNOME, senza specificare il quantitativo, ma con l’indicazione che il pagamento avrebbe dovuto avvenire in contanti. Tuttavia, nessun accordo sarebbe stato raggiunto, essendo il Di COGNOME privo del denaro necessario. A dimostrazione dell’estraneità di quest’ultimo, si sottolinea, in particolare, il suo disinteresse quando, successivamente, viene informato dal COGNOME dell’avvenuto arresto del coimputato COGNOME
Con riferimento al capo zh) dell’imputazione, infine, si denuncia la vaghezza e l’ambiguità delle intercettazioni effettuate, nonché la carenza di motivazione in ordine al percorso logico seguito dai giudici di merito nel riconoscere la responsabilità penale dell’imputato, sottolineando, segnatamente, l’assenza della chiara specificazione dei criteri interpretativi adottati e la mancata indicazione delle conversazioni su cui si baserebbe la ricostruzione dei fatti.
La sentenza è stata poi impugnata, mediante il difensore, anche da COGNOME COGNOME che, con un unico motivo di gravame, denuncia anch’egli la violazione di legge ed il vizio motivazionale, con riguardo alla ritenuta responsabilità per il reato di cui al capo a).
Anche per questo ricorrente, la motivazione fornita dalla Corte di appello sarebbe carente e contraddittoria. Nello specifico, i giudici di secondo grado avrebbero erroneamente fondato il proprio convincimento su alcune conversazioni intrattenute dall’imputato con il COGNOME, senza tuttavia considerare né l’assenza di riferimenti, impliciti o espliciti, a qualsivoglia tipologia di droga, o ad altri ele indizianti, né la circostanza che il fatto che il COGNOME, poco prima di partire per Al
Adriatica, si sarebbe recato presso la casa dell’imputato, costituirebbe un dato neutro, privo di rilevanza penale.
In particolare, secondo la difesa, la difficoltà stessa di giustificare tale illogi motivazione sarebbe testimoniata dal richiamo, da parte dei giudici di merito, alla accertata colpevolezza dell’imputato per i reati – estranei alla fattispecie in contestazione – di cui ai capi c) ed n) dell’originaria rubrica, riqualificati ai se dell’art. 73, connma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 e dichiarati estinti per prescrizione. Tuttavia, si sostiene che, per quanto riguarda il capo c), né il Tribunale né la Corte di appello hanno fornito spiegazioni adeguate, essendo già stata contestata, con l’atto di appello, la totale assenza di motivazione sul punto. Per quanto concerne, invece, il capo n), non si sarebbe considerato che il presunto acquirente, tale COGNOME non aveva mai confermato le dichiarazioni inizialmente rese alla polizia giudiziaria.
5. Avverso la sentenza anche NOME COGNOME tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, censurando, con un unico motivo di doglianza, la violazione di legge ed il vizio di motivazione relativamente: a) alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80, connma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, per i reati di cui ai capi zc), zf) e zg); b) alla individuazione del reato più grave tra quel ritenuti in continuazione ai sensi dell’art. 81 cod. pen.; c) alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen.
L’imputato sostiene, innanzitutto, che i giudici di merito abbiano confermato la sussistenza della circostanza aggravante dell’ingente quantità, basandosi esclusivamente sul dato quantitativo, senza fornire un’adeguata motivazione in merito alla valutazione in concreto compiuta. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, il superamento del valore soglia individuato dalla giurisprudenza di legittimità non comporta automaticamente l’applicazione dell’ipotesi aggravata, ma serve piuttosto ad escluderla allorquando il valore sia inferiore; con la conseguenza che, in tutti gli altri casi, spetta al giudice valutare concretamente se l’aggravante sia configurabile o meno. Nel caso di specie, invece, con riferimento al capo zg), ci si sarebbe limitati a richiamare il dato quantitativo, mentre v sarebbe carenza assoluta di motivazione in ordine ai capi zc) e zf), relativi a quantitativi di stupefacenti di entità tale da non consentire il superamento del valore soglia previsto. Erronea, peraltro, sarebbe l’indicazione, contenuta nella sentenza di secondo grado, relativa al numero di dosi ricavabili dai 14 chilogrammi di cui al capo zg), atteso che, a pag. 56 della sentenza di primo grado, si dà invece atto del fatto che il principio attivo ivi individuato è pari al 17,1%, con conseguente impossibilità di pervenire al medesimo numero di dosi ricavato dalla Corte distrettuale.
In secondo luogo, ritiene l’imputato che la Corte territoriale, nell’applicare la disciplina del reato continuato – reputando sussistente il medesimo disegno criminoso all’origine dei reati oggetto del presente procedimento e quello giudicato con sentenza del 28 maggio 2008, divenuta irrevocabile in data 8 aprile 2009 avrebbe erroneamente omesso di motivare in ordine al criterio adottato nell’individuazione del reato più grave. In particolare, i giudici di merito no avrebbero chiarito le ragioni per le quali assumere quale reato più grave il possesso di 14 chili di eroina, contestato al capo zg) del presente procedimento, in luogo del possesso di 25 chili di droga pesante, accertato nella sentenza definitiva del Gip del Tribunale di Pescara, nonostante si trattasse di reati previsti dalla stessa disposizione di legge, con pene identiche nel minimo e nel massimo ed itta le.
Quanto, infine, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, vi sarebbe sul punto carenza assoluta di motivazione, oltre che un’evidente disparità di trattamento rispetto agli altri coimputati – che ne avrebbero beneficiato sul presupposto del buon comportamento processuale – ove si consideri che anche il COGNOME aveva prestato il proprio consenso all’acquisizione dell’informativa di reato redatta dalla polizia giudiziaria.
6. Vi è poi l’impugnazione anche di NOME COGNOME
6.1. Con un primo motivo di ricorso, ci si duole della violazione degli artt. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, 114 cod. pen. e 546 cod. proc. pen., nonché del connesso difetto di motivazione, relativamente all’erronea valutazione delle risultanze probatorie afferenti alla responsabilità penale dell’odierno ricorrente, sul rilievo che, dalle conversazioni intercettate, non emergerebbe alcun elemento in grado di fornire la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, del concorso nel reato di cui al capo zf) dell’imputazione.
Secondo la difesa, le conversazioni captate nel corso delle indagini non avrebbero alcun valore indiziario, rientrando piuttosto nel contesto di dialoghi tra persone legate da rapporti di parentela, amicizia o lavoro. In particolare, la conversazione citata a pag. 17 del provvedimento impugnato sarebbe priva di riscontri oggettivi e di natura equivoca, facilmente suscettibile di un’interpretazione alternativa; mentre quella citata a pag. 34 della sentenza di primo grado, priva di qualsivoglia riferimento, implicito o esplicito, ad alcuna attività illecita, riguarderebbe un unico ed isolato episodio di contatto dell’imputato con il COGNOME.
Contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, inoltre, l’odierno ricorrente, il 15 febbraio 2009, giorno in cui il COGNOME ed il COGNOME si sarebbero incontrati nei pressi della sua abitazione, sarebbe stato in Albania; non si sarebbe
mai recato a Bari con il Koka, tramite mezzi pubblici; non sarebbe mai stato trattenuto o fermato in alcuna caserma né tantomeno sottoposto ad un provvedimento di espulsione dall’Italia. Ancora, non vi sarebbe certezza sul fatto che il riferimento a tale “Ilir”, fosse effettivamente rivolto al COGNOME, anziché un omonimo; né sussisterebbe alcuna prova del fatto che questi fosse a conoscenza dell’arrivo del COGNOME a Pescara prima della telefonata ricevuta da quest’ultimo mentre era in viaggio da Milano. Tale conversazione, peraltro, quand’anche si volesse accedere alla prospettazione accusatoria, assumerebbe tratti deliranti, perfettamente riconducibili allo stato di ebrezza dichiarato dal stesso interlocutore e, comunque, sarebbe stata contraddittoriamente interpretata dalla polizia giudiziaria, la quale avrebbe erroneamente assegnato allo stesso sostantivo una duplice interpretazione. Nel complesso, dunque, il contenuto delle conversazioni intercettate sarebbe farneticante e privo di qualsivoglia riscontro oggettivo, addirittura smentito dall’assenza del prevenuto in stazione al momento dell’arrivo e dell’arresto del COGNOME, nonostante che, secondo gli inquirenti, l’odierno ricorrente si fosse detto disponibile a verificare la possibile presenza, alla stazione, di forze dell’ordine.
6.2. In secondo luogo, si denunciano la violazione degli artt. 129 e 192 cod. proc. pen. ed i connessi vizi motivazionali, sul presupposto che i pochi indizi a carico del ricorrente sarebbero insufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza in ordine ai fatti contestati, non potendo essi considerarsi: né gravi, giacché per lo più non riferiti, né riferibili ad attività illecite; né precisi, poiché suscet innumerevoli interpretazioni; né concordanti, risultando anzi puntualmente smentiti dalle ulteriori risultanze processuali inerenti all’assenza del prevenuto in stazione al momento dell’arrivo e dell’arresto del COGNOME ed all’appuntamento tra il COGNOME ed il Di Rocco nei pressi della sua abitazione, nonché alla presunta identificazione di tale COGNOME, incaricato di accompagnare COGNOME a Bari, poi fermato ed espulso, con il COGNOME, atteso che lo stesso non è mai stato destinatario di alcun provvedimento di espulsione.
6.3. Con un terzo motivo di ricorso, si lamenta il travisamento del fatto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., con riguardo agli elementi già individuati sub 6.1., da intendersi integralmente richiamati.
La sentenza è stata impugnata, infine, da COGNOME Daniele.
7.1. Con un primo motivo di impugnazione, si lamenta la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., relativamente al mancato riconoscimento dell’identità tra i fatti oggetto del capo a) dell’odierna imputazione e quelli già giudicati, con sentenza di patteggiannento, nel 2009.
In sintesi, argomenta il ricorrente che la Corte territoriale, nel confermare parzialmente la sentenza di primo grado affermando la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui al capo a) dell’imputazione – relativo alla presunta attivi di trasporto di sostanza stupefacente da Alba Adriatica a Pescara che l’odierno ricorrente avrebbe compiuto per conto dei COGNOME – non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen., allorché, pur riconoscendo l’identità dei fatti di cui al presente procedimento con quelli precedentemente giudicati nel 2009, ha ritenuto di dover applicare al COGNOME, già condannato alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, l’ulteriore pena di anni 4 di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, per i fatti presuntivamente realizzatisi in data 9 gennaio 2009. La condotta di trasporto da Pescara verso Alba Adriatica, in particolare, ingloberebbe in sé quella di detenzione contestata nel 2009, rappresentando in ogni caso una condotta solo strumentale alla successiva attività di trasporto del 12 gennaio 2009.
7.2. Con un secondo motivo di gravame, si contesta la manifesta illogicità della motivazione per travisamento delle prove assunte in giudizio.
Secondo la prospettazione difensiva, la Corte territoriale avrebbe erroneamente fondato la valutazione sulla responsabilità penale del ricorrente sulle sole intercettazioni telefoniche disposte sulla sua utenza, senza tuttavia tenere conto dell’impossibilità di ascrivere, oltre ogni ragionevole dubbio, le condotte dell’8 e del 9 dicembre 2008 al trasporto di sostanza stupefacente in Alba Adriatica, realizzatosi unicamente in data 12 gennaio 2009. Nello specifico, deporrebbero in tal senso sia la genericità delle conversazioni captate, sia il riconosciuto concorso tra il COGNOME ed il COGNOME anche per i fatti, dichiarat prescritti, di cui agli originari capi f) e gg), riferiti, rispettivamente, a con avvenute a Sant’Elpidio fino al 12 gennaio 2009 ed in Montesilvano e Tollo tra il 30 novembre 2009 ed il 12 gennaio 2009. Sostiene, inoltre, il ricorrente che la conversazione del 9 dicembre 2009 – in cui si fa riferimento ad un guadagno di 1.300,00 euro in un solo giorno – non avrebbe alcun valore probatorio.
Si ritiene, infine, che i giudici di merito abbiano violato i princip ragionevolezza e proporzionalità, avendo omesso di riqualificare anche il reato di cui al capo a) nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, nonostante la natura omogena dei fatti rispetto a quelli per i quali tale riqualificazione è stata riconosciuta.
7.3. Con un terzo motivo di doglianza, si deduce, infine, la carenza assoluta di motivazione sia in relazione all’invocata applicazione della continuazione tra i reati oggetto del presente giudizio ed il reato già accertato con sentenza di patteggiamento del 2009, sia in ordine alla richiesta difensiva di rideterminazione del trattamento sanzionatorio, tenendo conto anche della sopravvenuta
illegittimità della pena precedentemente patteggiata, basata su una previsione superiore di due anni rispetto a quella oggi vigente, intervenuta a seguito della sentenza n. 49 del 2019 della Corte costituzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che le censure – all’esame delle quali si procederà con riferimento alle posizioni dei singoli imputati – sono in gran parte inammissibili perché dirette, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa, tali da dimostrare un’effettiva carenza nnotivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca ; oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati.
1.1. Deve ricordarsi, in punto di diritto, che il requisito della specificità d motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112). Ne consegue che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi de!l’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ha l’onere – sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielabora l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo
segmento della motivazione (Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518). Inoltre, deve ricordarsi, che la mancanza di specificità del motivo va ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato. Pertanto, è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/08/2014, Rv. 260608; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011).
1.2. Tali principi trovano applicazione anche in relazione al sindacato sui vizi della motivazione relativa alla determinazione della pena e alla valutazione delle circostanze.
1.2.1. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo d motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 13 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243).
1.2.2. Inoltre, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899).
1.2.3. In terzo luogo, va ricordato che, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio ne bis in idem (ex plurimis, Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275904 – 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258011).
1.3. Va anche rimarcato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio d motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dell’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (ex plurimis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595).
1.5. A questo proposito, occorre ulteriormente rilevare – basandosi tutti i ricorsi, in misura più o meno estesa, su una richiesta di nuova valutazione delle risultanze probatorie – che l’interpretazione e la valutazione del contenuto di queste costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). Con specifico riferimento all’interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche, il giudice di merito è libero di ritenere che l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorché non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata
ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine indica altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650). Inoltre, deve ricordarsi che, nell’attribuire significato ai contenuti de intercettazioni, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati pe attribuire un significato piuttosto che un altro. E tale iter argomentativo è certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza mentre è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 1532 de 09/09/2020). Oltre a ciò, va peraltro esclusa la necessità di riscontri ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., nel caso di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato de , conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (ex plurimis, Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Rv. 268414). Infine, va rilevato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714).
Le considerazioni appena svolte si attagliano pienamente ai ricorsi proposti da COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME WalterCOGNOME che, suscettibili di trattazione congiunta giacché riferiti alla ritenuta responsabilità penale degli imputati in relazione agli artt. 192, 493 e 533 cod. proc. pen., devono dichiararsi inammissibili.
2.1. Preliminarmente, deve rilevarsi l’inammissibilità per genericità della doglianza – specificamente dedotta nell’interesse del Di NOME COGNOME, ma richiamata anche negli altri due ricorsi – riferita alla inutilizzabilità conversazioni oggetto di intercettazioni non confluite nella perizia. La censura, infatti, appare formulata in maniera del tutto aspecifica, non risultando alcuna specificazione né della portata né dei termini nei quali le intercettazioni rispetto alle quali la doglianza è articolata sarebbero state utilizzate ai fi dell’accertamento dei reati in contestazione.
In altre parole, alla censura, non si correla alcuna indicazione del contenuto degli specifici colloqui che si assumono inutilizzabili, in modo che possa
evincersene l’effettiva incidenza sulla ricostruzione operata dai giudici di merito. Ed è inammissibile il ricorso con il quale ci si dolga dell’inutilizzabilità della g parte delle intercettazioni, senza l’indicazione specifica delle ragioni per cui gli at inficiano o compromettono in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Rv. 277608 – 02; Sez. 6, n. 18725 del 19/04/2012, Rv. 252644).
2.2. Relativamente al reato di cui al capo a) dell’imputazione – ascritto, nello specifico, a tutti e tre i ricorrenti – invece, valgono le considerazioni generali g svolte, da intendersi integralmente richiamate.
Nel caso di specie, infatti, i ricorrenti hanno omesso di fornire elementi tali da scardinare la tenuta logica del provvedimento impugnato, limitandosi a richiedere sostanzialmente una rivalutazione del quadro probatorio, anche rappresentato dsa intercettazioni.
2.2.1. In ogni caso, la valutazione operata dai giudici di secondo grado nel provvedimento gravato risulta adeguata e coerente, perché frutto di un’attenta e puntuale disamina (pagg. 10-12 del provvedimento d’appello) delle risultanze probatorie dalle quali emergono, con evidenza, univoci indizi sintomatici della responsabilità penale degli imputati.
La lettura della motivazione della sentenza di appello, infatti, consente di apprezzarne l’intima sequenza logica nell’illustrazione degli indizi che univocannente convergono per la sussistenza degli elementi costitutivi del concorso nel reato in contestazione, quali le molteplici conversazioni telefoniche captate tra il COGNOME e il Di NOME COGNOME, la Di NOME NOME ed il Di NOME NOME – tutte finalizzate ad invitare il COGNOME a passare presso le proprie abitazioni, per ricever istruzioni sui viaggi da fare – e le telefonate effettuate dal COGNOME a tale COGNOME NOMECOGNOME subito dopo aver parlato con i COGNOME, confermative della sussistenza di una serie di viaggi che il primo avrebbe dovuto compiere.
Nello specifico, assume pregnanza corroborante la circostanza che, in data 12 gennaio 2009, proprio dopo essersi recato presso le abitazioni dei COGNOME, su loro specifico invito, il COGNOME fu fermato dalla polizia giudizíaria e successivamente arrestato, poiché trovato in possesso di due panetti di sostanza stupefacente del tipo eroina per un peso complessivo di un chilogrammo, a nulla rilevando né il fatto – dedotto dalla difesa della COGNOME – che l’imputata, in una delle predette conversazioni, abbia invitato il COGNOME a recarsi presso l’abitazione della cognata, moglie dell’imputato NOME COGNOME, rimasta estranea ad ogni ipotesi di reato, né l’assenza – censurata nell’interesse del Di Rocco COGNOME – di qualsivoglia riferimento a tipologie di droga, a quantitativi, a clienti o ad altri elemen indizianti.
2.2.2. Tenuto conto del contenuto delle intercettazioni telefoniche eseguite nel corso delle indagini e dell’arresto subito dal COGNOME in data 12 gennaio 2009, poco dopo essersi recato presso le abitazioni dei COGNOME, appositamente invitato da costoro, la motivazione della sentenza gravata risulta del tutto lineare ed esaustiva, laddove (pag. 12) ritiene verosimile che lo scopo degli spostannenti del COGNOME da Pescara ad Alba Adriatica e ritorno, avvenuti tra il 9 ed il 12 gennaio 2009 ed in epoca precedente, fosse quello di trasportare sostanza stupefacente su incarico dei Di Rocco.
2.3. Analoghe considerazioni valgono per il delitto di cui al capo d) dell’imputazione, ascritto sia al NOME COGNOME sia alla moglie, COGNOME NOME.
Ancora una volta, invero, la sentenza della Corte di appello, in maniera del tutto logica e coerente, ha correttamente ritenuto il compendio probatorio acquisito al fascicolo tale da fondare il convincimento in , ordine all’effettiva responsabilità penale dei coniugi COGNOME, in considerazione non solo delle conversazioni intercettate tra il Di Rocco COGNOME e tale COGNOME, ma anche degli esiti positivi dei servizi di osservazione espletati nei giorni 3 e 8 gennaio e e 7 febbraio 2009.
La Corte di appello ha dato adeguatamente conto (pag. 13 del provvedimento impugnato) sia dell’incontro, registrato in data 7 febbraio, tra il Mosca e la Di NOME NOME, avvenuto poco prima della ricezione, da parte del Mosca medesimo, di una telefonata da parte del marito della donna, al fine di convocarlo a casa sua ragionevolmente ritenuto, alla luce di un esame globale dell’intero compendio probatori -o, finalizzato allo svolgimento delle trattative per la cessione della sostanza stupefacente del tipo eroina, che poi sarebbe avvenuta in concreto a distanza di qualche giorno – sia del sequestro di eroina effettuato, a seguito di perquisizione veicolare ai danni del predetto Mosca, in data 12 febbraio 2009, poco dopo l’incontro con il Di NOME COGNOME. E ciò indipendentemente dalla sussistenza o meno, di analoghi incontri che, secondo la prospettazione difensiva, l’odierno imputato avrebbe avuto, in precedenza, con il Mosca, e che non sarebbero stati finalizzati alla cessione di alcuna sostanza.
In maniera del tutto corretta, dunque, i giudici di merito hanno evidenziato le obiettive emergenze a carico degli imputati, cui, peraltro, ha fatto da contraltare una linea difensiva che ha mancato di fornire qualsivoglia credibile e concreta versione alternativa dei fatti, tale da inficiare il percorso logico della decisione.
2.4. Allo stesso modo, deve rilevarsi la manifesta infondatezza delle censure lamentate con il ricorso di NOME COGNOME, relativamente ai reati di cui ai capi zc) e zf) dell’imputazione.
Innanzitutto, nessuna violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. è addebitale alla Corte territoriale nella parte in cui fa espresso riferimento, non già ad un’ipotesi d
detenzione, bensì ad un caso di offerta di acquisto di sostanza stupefacente. Il capo d’imputazione in esame, infatti, appare del tutto chiaro e preciso, laddove spiega analiticamente l’andamento della vicenda in contestazione, dando atto della detenzione di 2 chilogrammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina che «Koka COGNOME si apprestava a far consegnare al Di Rocco da un corriere proveniente da Roma (consegna che non avveniva a causa di una perquisizione effettuata al corriere nei pressi di Roma)».
Nel caso di specie, dunque, l’accordo sotteso alla detenzione, nonché alla successiva cessione dello stupefacente, risulta perfezionato e idoneo, come tale, a fondare un’ipotesi di codetenzione dello stupefacente, evidentemente in linea con il capo di imputazione, visto che è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui il delitto di acquisito e cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra creditore ed acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo (ex plurimis, Sez. 2, n. 30374 del 16/05/2019, Rv. 276981). Principio di diritto, questo, che è stato correttamente applicato dai giudici di merito anche in relazione al reato di cui al capo zf) dell’imputazione, afferente all’acquisto, in concorso con altri, di 2 chili di sostanza stupefacente del tipo cocaina, non avendo alcuna rilevanza la circostanza che la cessione materiale non si sia realizzata per l’indisponibilità di denaro contante da parte del Di Rocco.
2.5. Del tutto aspecifica risulta, infine, la doglianza relativa al reato di cui capo zh). La prospettazione difensiva, infatti, si risolve in critiche di caratte generale, prive di puntuali riferimenti sia agli atti di causa che alla motivazione della sentenza impugnata. Valgono, dunque, le considerazioni sub 1. e ss., che si intendono richiamate.
Anche il ricorso di COGNOME Vladimir – riferito alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità ex art. 80 del d.P.R. n. 309 del 1990, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e all’individuazione del reato più grave tra quelli posti in continuazione – è inammissibile.
Sotto il primo profilo, è sufficiente rilevare che – contrariamene a quanto ritenuto dalla difesa – l’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, contestata in relazione al capo zc), è stata già esclusa dalla Corte di appello (pag. 22 del provvedimento impugnato, in dispositivo). Di conseguenza le uniche aggravanti in discussione rimangono quelle di cui ai capi zf) e zg), rispetto alle quali, tuttavia, la prospettazione difensiva appare del tut astratta, poiché priva di qualsivoglia confronto con la motivazione della sentenza impugnata.
In particolare, per quanto riguarda il capo zf), è sufficiente evidenziare che l’aumento di pena disposto per la continuazione del reato – pur essendo superiore rispetto a quello applicato per il reato non aggravato di cui al capo zc) – risult comunque modesto, pari a 5 mesi ed euro 4.000,00; ed è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per il quale, in tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Rv. 284005-01; Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, Rv. 279770).
Quanto, invece, al reato di cui al capo zg), si osserva che dal provvedimento di secondo grado, si apprende che il quantitativo di eroina nella disponibilità dell’imputato è risultato pari a 14,00 chilogrammi, da cui erano ricavabili 137.620 dosi medie singole. Si tratta, invero, di un quantitativo che i giudici di merito hanno ritenuto correttamente integrare l’aggravante della ingente quantità, tenuto conto che, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’aggravante è di norma ravvisabile quando la quantità detenuta non sia inferiore a 2.000 volte il valore soglia massimo, espresso in milligrammi, determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006 (Sez. U., n. 36258 del 24/05/2012, Rv. 253159). Ebbene, in applicazione di questo principio, stabilito sulla base della fenomenologia relativa al traffico di sostanze stupefacenti riferibile all’inter territorio nazionale, appare evidente che, in relazione al reato di cui al capo zg), i quantitativo di stupefacente riconducibile all’imputato sia superiore al limite di 500,00 grammi per l’eroina, stabilito dalle Sezioni Unite.
Peraltro, anche laddove si volesse accedere alla ricostruzione difensiva circa il refuso che caratterizzerebbe il provvedimento impugnato relativamente al principio attivo del 17,1% ed al numero di dosi medie singole ricavabili, comunque dovrebbero ritenersi sussistenti i parametri giustificativi, secondo la giurisprudenza di legittimità, dell’applicazione dell’aggravante. Il 17,1% di principio attivo, riferito a 14 chilogrammi totali di sostanza stupefacente, difatt corrisponde a circa 2.394,00 grammi totali di principio attivo, di talché trattasi, i ogni caso, di quantitativo evidentemente superiore alla soglia indicata dalla giurisprudenza di legittimità per individuare l’ingente quantità.
Deve, invece, dichiararsi inammissibile la censura relativa alla valutazione della maggiore gravità tra i reati posti in continuazione. Quand’anche si volesse accedere alla prospettazione difensiva in ordine alla effettiva maggiore gravità del reato accertato con sentenza del 28 maggio 2008, infatti, va considerato che la doglianza è inficiata dalla carenza di interesse da parte del ricorrente a rilevarla,
giacché dall’accoglimento della medesima deriverebbe necessariamente un effetto pregiudizievole per il predetto, consistente nell’aggravamento della pena base relativa al reato più grave di cui alla precedente condanna (Sez. 4, n. 3038 del 24/05/2000, Rv. 216804). Ed invero, avere come reato base quello meno grave rappresenta certamente un vantaggio per l’imputato, risultando l’aumento di pena per la continuazione più contenuto – pari, infatti, a soli 10 mesi ed euro 4.000,00 – pur riguardando un delitto avente ad oggetto ben 25 chilogrammi di sostanza stupefacente di tipo pesante. E ciò a prescindere dal fatto che, in ogni caso, il dato ponderale non è di per sé solo elemento dirimente. Il ricorrente, dunque, non ha interesse alla deduzione dal momento che la rivisitazione della struttura del reato continuato nel senso richiesto comporterebbe un trattamento deteriore per l’imputato. Né, del resto, la difesa Precisa mai espressamente l’effettiva entità della pena che fu irrogata per quel reato, omettendo altresì di esplicitare le ragioni che giustificano la proposizione della doglianza di cui si discute, la quale dunque, sotto questo profilo, appare affetta anche da evidente genericità.
Quanto, infine, alla censura concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche ex artt. 62-bis cod. pen., è sufficiente rilevare che il difensore si limita a contestare l’assenza della motivazione, richiamando le ragioni per le quali le predette attenuanti sarebbero state concesse ai coinnputati, senza tuttavia aggiungere alcunché quanto ad elementi positivi di giudizio che sarebbero stati pretermessi o scorrettamente valutati dalla Corte territoriale.
E ciò a prescindere dal fatto che, in ogni caso, la concessione delle circostanze attenuanti generiche è questione rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che può prendere in considerazione oltre che gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., ogni altro elemento che possa in concreto essere idoneo a giustificare una mitigazione della pena; di talché trattandosi di valutazione discrezionale, ben può il giudice negare il beneficio ad altro coimputato, senza con ciò determinare una disparità di trattamento, purché venga fornita logica e adeguata motivazione in ordine alla diversa valutazione della gravità dei fatti rispettivamente contestati e della capacità a delinquere manifestata dagli imputati (ex multis, Sez. 6, n. 12692 del 30/01/2024, Rv. 286191; Sez. 3, n. 40322 del 23/06/2016, Rv. 268276). Tuttavia, tali predetti oneri motivazionali sono flessibili, trattandosi di una circostanza indeterminata, e la motivazione può anche far leva su elementi favorevoli o sfavorevoli alla concessione, rilevabili d’ufficio o dedotti dalle parti, ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disatt o superati da tale valutazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-02; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899), o essere implicita, come nel caso della sentenza impugnata che, a pag. 21, ha differenziato la pericolosità sociale del prevenuto, evidenziando, sia pure ai diversi fini
dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato, molteplici elementi negativi, quali: il precedente penale specifico; il ruolo di rilievo assunt nella commissione dei fatti di reato; i costanti contatti con i diversi fornito l’ingente quantità delle sostanze stupefacenti trattate.
4. Il ricorso di NOME è parimenti inammissibile.
4.1. Il primo ed il terzo motivo di impugnazione – con i quali si eccepiscono, rispettivamente, l’erronea valutazione delle risultanze probatorie afferenti alla responsabilità penale dell’imputato, relativamente al reato dì cui al capo zf), ed il conseguente travisamento del fatto – sono inammissibili, poiché sviluppati su un piano nnerannente fattuale, sulla base di considerazioni di carattere valutativo.
Nel caso specifico, in ogni caso, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto il compendio probatorio idoneo a dimostrare un effettivo contributo, quantonneno morale, fornito dall’imputato ai traffici illeciti a lui ascritt considerazione non solo delle conversazioni intercettate tra l’odierno ricorrente ed il coimputato COGNOME – per il quale si procede separatannente – ma anche del successivo sequestro di cocaina effettuato ai danni di quest’ultimo.
Come correttamente rilevato, ancorché implicitamente, dalla Corte di appello, infatti, l’accettazione dell’incarico di seguire il trasporto dello stupefacente d Torino a Pescara e la disponibilità a verificare la possibile presenza di forze dell’ordine presso la stazione ferroviaria in cui sarebbe dovuto arrivare il trasportatore COGNOME sono elementi sufficienti a fondare la contestazione del concorso morale, giacché sintomatici della convinta e piena adesione del singolo concorrente nello svolgimento dell’attività lecita, ,senza che sia necessaria a tal fine la sussistenza di un effettivo contributo materiale. In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, del resto, ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente (ex plurimis, Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, Rv. 265167), e tali devono certamente ritenersi le condotte poste in essere dal ricorrente il quale, proponendo di controllare la presenza, o meno, di eventuali forze dell’ordine ha, con evidenza, rafforzato il proposito criminale del correo. Per la configurazione del concorso, in altre parole, è sufficiente la partecipazione all’altrui attività criminosa con volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno; di talché, nel caso di specie, a nulla rileva né la circostanza che il ricorrente fosse in Albania al momento dell’incontro tra il COGNOME ed il COGNOME, né il dato che l’imputato non si fosse poi
effettivamente recato presso la stazione ferroviaria a verificare la presenza di eventuali pattuglie.
Pertanto, la Corte territoriale non risulta essere incorsa in nessun travisamento del fatto, avendo all’opposto accertato la responsabilità penale dell’imputato con motivazione immune da censure logiche.
4.2. Il secondo motivo di doglianza, afferente alla violazione degli artt. 129 e 192 cod. proc. pen., relativamente alla illogica valutazione dei canoni normativi in materia di prova indiziaria, ed al connesso vizio di motivazione, è parimenti inammissibile poiché manifestamente infondato.
Al riguardo, giova preliminarmente evidenziare che la censurata doglianza deve ritenersi inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui deduce il vizio di violazione di legge con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen., dal momento che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata (ex multis, Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, Rv. 274191).
Residua la doglianza incentrata sul supposto vizio nnotivazionale, a proposito della quale valgono, tuttavia, le considerazioni sub 4.1., da intendersi integralmente richiamate. Come già specificato, infatti, diversamente da quanto sostenuto nell’atto di gravame, si è coerentemente desunto il concorso morale dell’imputato nei fatti in contestazione non solo dalle conversazioni intercettate, ma anche dall’intervenuto sequestro della sostanza compravenduta.
Anche il ricorso di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile.
5.1. Il primo motivo di ricorso, riferito alla violazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 649 cod. proc. pen., in relazione ai fatti oggetto del capo a dell’odierna imputazione e a quelli già giudicati, con sentenza di patteggiamento, nel 2009, è inammissibile, perché formulato in modo aspecifico, oltre che manifestamente infondato.
Come puntualmente evidenziato anche nella sentenza d’appello, già il Tribunale di primo grado, ritenendo operante nel caso di specie il divieto di secondo giudizio per il medesimo fatto, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti del COGNOME in ordine alla detenzione di un chilogrammo di sostanza stupefacente del tipo eroina, contestata come commessa in data 12 gennaio 2009.
Tale giudicato, tuttavia, copre esclusivamente la condotta riferibile alla data del 12 gennaio, e non anche quelle precedenti. Contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa di parte ricorrente, infatti, queste non possono considerarsi meramente strumentali alla successiva attività di trasporto del 12 gennaio, ma mantengono una propria autonomia giuridico-fattuale che, peraltro, non appare nemmeno contestata dal ricorrente, il quale omette, anzi, di fornire qualsivoglia indicazione in ordine alla presunta strumentalità delle condotte in contestazione, così incorrendo anche nella aspecificità intrinseca della medesima doglianza.
E ciò a prescindere dal fatto che trattasi, in ogni caso, di censura che non era stata devoluta con l’atto di appello, sicché essa comunque non potrebbe essere dedotta, per la prima volta, nel giudizio di legittimità (Sez. 2, n. 34044 de 20/11/2020, Rv. 280306; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316).
5.2. Il secondo motivo di censura – con il quale si lamenta la manifesta illogicità della motivazione per travisamento delle prove assunte in giudizio – è anch’esso inammissibile.
La doglianza, infatti, si limita a prospettare, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, una diversa lettura delle risultanze probatorie, attraverso la quale il ricorrente tenta di proporre un percorso logico alternativo, i cui esiti si scontrano tuttavia con l’evidenza delle risultan processuali.
Nel caso di specie, invero, i fatti sono stati compiutamente ricostruiti dai giudici di merito, i quali hanno ben spiegato come dalle intercettazioni telefoniche in atti risulti l’effettivo ed evidente contributo del prevenuto ai traffici illeci addebitati, afferenti alla detenzione e allo spaccio dello stupefacente. Come già ricordato nelle considerazioni generali sub 1., d’altra parte, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità quello secondo cui è rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità giacché costituente questione di fatto, se non nei limiti dell manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione. Nel caso in esame, logicamente saldo appare il quadro probatorio relativo alle condotte in contestazione, fondato non solo sulle intercettazioni telefoniche – i cui risultat sono correttamente registrati alle pagg. 10-11 del provvedimento impugnato – ma anche sull’arresto del COGNOME avvenuto in data 12 gennaio 2009 e sul successivo sequestro di due panetti di sostanza stupefacente del tipo eroina per un peso complessivo di circa 1 chilogrammo, rinvenuto nella sua disponibilità.
Per quanto concerne, infine, l’invocata qualificazione delle condotte in rubrica nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, è necessario rilevare come manchi nell’atto di appello la specifica contestazione de qua, che risulta proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione; conseguentemente, non può non rilevarsi come oggi la questione sia preclusa in
sede di legittimità, mancando qualsiasi onere di motivazione in capo al giudice di secondo grado in assenza di una specifica doglianza. Invero, in linea generale, costituisce principio costante nella giurisprudenza di questa Corte ritenere sistematicamente non consentita la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità di uno dei possibili vizi della motivazione, con riferimento a prof richiamabili, ma non richiamati, nell’atto di appello, sia pur collegati, come è ovvio, all’inquadramento giuridico del fatto di reato contestato al ricorrente ed alle sue circostanze (ex plurimis, Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Rv. 279903; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Rv. 276062; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, Rv. 271869; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Rv. 269368). Sintetizzando all’essenziale, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Rv. 255577). E ciò, a prescindere dal fatto che la censura risulta comunque inammissibile per genericità, non essendo state in alcun modo prospettate dalla difesa le ragioni per le quali i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere i fatti di cui al capo a) dell’imputazione omogenei rispetto a quelli per quali, invece, è effettivamente intervenuta la riqualificazione ai sensi dell’art. 73 connma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.
5.3. Il terzo motivo di gravame, relativo al difetto di motivazione limitatamente alla richiesta applicazione della continuazione tra i reati oggetto del presente giudizio ed il reato già accertato con sentenza di patteggiamento del 2009, infine, è inammissibile per genericità, non avendo l’imputato adempiuto all’onere di allegare copia della sentenza irrevocabile di patteggiamento emessa nel precedente giudizio del 2009.
In tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, invero, ritiene il Collegio di dover dare continuità all’orientamento, ad oggi prevalente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’imputato che richiede, nel giudizio di cognizione, il riconoscimento della continuazione con reati già giudicati non può limitarsi ad indicare gli estremi delle sentenza rilevanti a tal fine, ma ha l’onere produrne la copia, non essendo applicabile in via analogica la disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen., dettata per la sola fase esecutiva, atteso ch l’imputato è necessariamente assistito da un difensore, sul quale incombe l’onere di produrre gli elementi posti a fondamento dell’istanza, mentre l’acquisizione di ufficio dei provvedimenti comporterebbe il rinvio del giudizio senza sospensione del decorso del termine di prescrizione (ex multis, Sez. 5, n. 10661 del 23/01/2023, Rv. 284291; Sez. 3, n. 41063 del 25/06/2019, Rv. 277977; Sez. 2,
n. 49082 del 17/04/2018, Rv. 274808 – 02; Sez. 6, n. 19487 del 06/02/2018, Rv.
273380; Sez. 6, n. 51689 del 13/10/2017, Rv. 271581).
L’onere di allegazione delle sentenze nel giudizio di cognizione, del resto, è
finalizzato ad impedire richieste intenzionalmente dilatorie e a garantire la celerità
del rito, così soddisfacendo esigenze che, invece, non sussistono in fase esecutiva, senza che ciò comporti una ingiustificata compressione delle garanzie difensive,
tenuto conto che il mancato riconoscimento della continuazione esterna nel giudizio di merito non impedisce che la relativa istanza sia proposta nella fase
esecutiva e valutata dal giudice dell’esecuzione.
6. I ricorsi, in conclusione, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato
che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/03/2025.