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Ricorso per cassazione: inammissibili motivi generici

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto. I motivi relativi alla recidiva e alla pena sono stati giudicati troppo generici e privi di specificità. Inoltre, la richiesta di pene sostitutive è stata ritenuta infondata perché non presentata nei precedenti gradi di giudizio. La decisione sottolinea l’importanza di formulare un ricorso per cassazione dettagliato e non limitato a censure vaghe.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Cassazione: perché i motivi generici portano all’inammissibilità

Presentare un ricorso per cassazione è un passaggio cruciale e tecnico che richiede massima precisione. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ci ricorda un principio fondamentale: la genericità non è ammessa. Se i motivi di impugnazione non sono specifici e dettagliati, il ricorso viene dichiarato inammissibile, senza neppure entrare nel merito delle questioni sollevate. Analizziamo insieme questo caso per capire le implicazioni pratiche di questa regola.

I fatti del caso

Un soggetto, dopo aver subito una condanna in primo grado, vedeva la sua posizione parzialmente riformata dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, pur riqualificando il reato in furto semplice e rideterminando la pena, confermava nel resto la sentenza di condanna. Insoddisfatto, l’imputato decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, affidandosi a tre distinti motivi di doglianza.

Analisi del ricorso per cassazione e dei suoi motivi

Il ricorso per cassazione presentato dall’imputato si basava su tre punti principali:

1. Erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione: I primi due motivi contestavano la sussistenza della circostanza aggravante della recidiva e il trattamento sanzionatorio applicato, ritenuto eccessivo.
2. Mancata applicazione delle pene sostitutive: Il terzo motivo lamentava la mancata sostituzione della pena detentiva con sanzioni alternative, come previsto dalla legge.

Queste censure, tuttavia, non hanno superato il vaglio di ammissibilità della Suprema Corte.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile. La decisione si fonda su due distinti principi procedurali, uno applicato ai primi due motivi e l’altro al terzo.

Per quanto riguarda la recidiva e il trattamento sanzionatorio, i giudici hanno ritenuto i motivi ‘generici per indeterminatezza’. In altre parole, l’imputato non aveva rispettato i requisiti dell’art. 581, comma 1, lett. c) del codice di procedura penale, che impone di indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. La censura era stata formulata in modo così vago da non permettere alla Corte di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato.

Relativamente al terzo motivo, la Corte lo ha giudicato ‘manifestamente infondato’, sottolineando che la richiesta di applicazione di pene sostitutive non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se non è stata formulata nei precedenti gradi di merito. Si tratta di una questione che doveva essere devoluta al giudice d’appello.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si radicano in principi cardine del processo penale. Innanzitutto, il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità). Per consentire tale controllo, è indispensabile che il ricorrente articoli le proprie censure in modo chiaro e specifico, mettendo la Corte nelle condizioni di comprendere esattamente quale errore di diritto o di logica si attribuisce alla sentenza impugnata. Motivi generici, che si limitano a una lamentela astratta, vanificano questa funzione e sono, perciò, inammissibili.

In secondo luogo, vige il principio della devoluzione: il giudice d’appello può pronunciarsi solo sulle questioni che gli sono state specificamente sottoposte con l’atto di impugnazione. Di conseguenza, non si possono introdurre per la prima volta in Cassazione questioni (come la richiesta di pene sostitutive) che avrebbero dovuto essere sollevate e discusse nel giudizio di merito.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce una lezione fondamentale per ogni difensore e imputato: la specificità è la chiave di volta per un’impugnazione efficace. Un ricorso per cassazione non può essere un semplice sfogo contro una decisione sgradita, ma deve essere un atto tecnico, argomentato e puntuale. Trascurare i requisiti di forma e contenuto prescritti dal codice di procedura penale equivale a precludersi la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti alla Suprema Corte, con la conseguenza inevitabile di una declaratoria di inammissibilità.

Perché i primi due motivi del ricorso sono stati dichiarati inammissibili?
Sono stati ritenuti inammissibili perché generici e indeterminati. Il ricorrente non ha indicato in modo specifico gli elementi e le ragioni di diritto alla base della sua contestazione, come richiesto dall’art. 581 del codice di procedura penale, impedendo così alla Corte di valutare la censura.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione di pene sostitutive?
No. Secondo l’ordinanza, la richiesta di applicazione di sanzioni sostitutive non è proponibile nel giudizio di cassazione se non è stata precedentemente formulata nel giudizio di merito (primo grado o appello).

Qual è il requisito fondamentale per la validità di un ricorso per cassazione secondo questa decisione?
Il requisito fondamentale è la specificità dei motivi. Il ricorso deve contenere un’esposizione chiara e dettagliata delle censure mosse alla sentenza impugnata, indicando con precisione gli errori di diritto o i vizi di motivazione, per non incorrere in una declaratoria di inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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