Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36690 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36690 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME, nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi;
lette le conclusioni della difesa di NOME COGNOME, nel senso dell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la responsabilità di NOME COGNOME, per i reati di furto pluriaggravato e violenza a pubblico ufficiale aggravata (capi E ed F), di NOME COGNOME, per la partecipazione ad associazione per delinquere (capo A) e furti pluriaggravati (capi E e G), e di NOME COGNOME, per la partecipazione al medesimo sodalizio di cui al capo A (con il ruolo di custode degli arnesi da scasso e della refurtiva). Trattasi di associazione finalizzata alla commissione di furti presso esercizi commerciali da eseguirsi e concretamente eseguiti con la tecnica c.d. della «spaccata», cioè della rottura delle relative porte d’accesso. Partecipazione al sodalizio da parte di NOME COGNOME e di altri sodali già accertata con sentenza di condanna irrevocabile acquisita agli atti e utilizzata per il giudizio.
Avverso la sentenza sono stati proposti ricorsi negli interessi degli imputati (con atto congiunto quanto a NOME e NOME COGNOME) deducenti i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.)
NOME COGNOME deduce vizio cumulativo di motivazione in ordine alla sua ritenuta appartenenza all’accertato sodalizio: il giudice d’appello l’avrebbe confermata senza considerare le doglianze difensive oltre che con motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. La Corte territoriale avrebbe confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato, a sua volta parzialmente adesiva all’ordinanza cautelare, ritenendo accertata la partecipazione dell’imputato in assenza di reati fine da egli commessi e in ragione di conversazioni intercorse tra appartenenti al sodalizio ma terzi rispetto al prevenuto. Nel dettaglio, si sarebbe fatto riferimento alla circostanza per cui NOME COGNOME sarebbe stato nominato più volte dai sodali, in occasione della necessità di prelevare l’arnese utilizzato per lo scasso (una mazzuola), nonostante l’emersione del suo nominativo in una sola conversazione. Parimenti non considerato sarebbe stato il profilo di doglianza deducente la circostanza per cui il riferimento dei conversanti alla casa dell’imputato, quale luogo ove recarsi per prelevare lo strumento per l’esecuzione dello scasso, fosse solo meramente geografico e volto a indicare effettivamente la di lui abitazione. Si tratterebbe comunque, in tesi difensiva, di circostanze che, se provate, non fonderebbero la responsabilità per la partecipazione al reato associativo. Lo stesso dicasi, per il ricorrente, anche in considerazione del controllo avvenuto nel 2018 presso
l’abitazione ove il prevenuto era ristretto agli arresti donniciliari per altra causa, in occasione della quale sono stati arrestati gli autori di un furto appena eseguito e ove è stata rinvenuta la relativa refurtiva. In tesi difensiva, si sarebbe trattato di soggetti ivi rifugiati senza previo contatto con l’imputato e solo per sfuggire alle forze dell’ordine.
Le difese di NOME e NOME COGNOME deducono la violazione di legge nella determinazione della pena all’esito della ritenuta continuazione tra i reati loro contestati e quelli per i quali gli stessi sono stati giudicati con sentenze divenute irrevocabili, anch’esse emesse all’esito di giudizio abbreviato.
L’apparato motivazionale non lascerebbe emergere l’iter logico-giuridico sotteso all’individuazione del reato più grave e dei reati in continuazione oltre che alla determinazione della pena, quanto a pena base, aumenti per la continuazione e riduzione per il rito. Quest’ultima, a dire dei ricorrenti, non sarebbe stata operata con riferimento ai reati sub l’udite ritenuti in continuazione con i reati più gravi già giudicati. Illogicamente gli aumenti per i capi E ed F a carico di NOME COGNOME si discosterebbero eccessivamente rispetto agli aumenti operati in continuazione con la precedente sentenza.
La Procura generale e la difesa di NOME COGNOME hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile in quanto, come emerge dal raffronto con i motivi d’appello (sintetizzati a pag. 12 e s. e ulteriormente specificati a pag. 16 e s. della sentenza impugnata), le censure, anche laddove prospettate come rivolte alla specifica motivazione di secondo grado, sono fondate esclusivamente su doglianze che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte territoriale con motivazione esente da critiche in quanto congrua, coerente e non manifestamente illogica (a pag. 17 e s). Trattasi dunque di censure da considerarsi non specifiche ma soltanto apparenti in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis: Sez. 4, n. 26319 del 17/06/2025, COGNOME, tra le più recenti, e Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01).
2.1. Laddove non reiterative, le censure, quanto a taluni profili, non si confrontano con la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata, con il conseguente venir meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso il ricorso per cassazione, e sono inammissibili ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., per altri profili, perché deducenti doglianze in fatto e quindi diverse da quelle prospettabili in sede di legittimità (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione si vedano, ex plurimis, oltre alla citata sentenza «COGNOME»; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01; si vedano altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01, in ordine ai motivi d’appello ma sulla base di principi rilevanti anche con riferimento al ricorso per cassazione).
2.1.1. Con motivazione insindacabile in sede di legittimità, in quanto coerente e non manifestamente illogica, la Corte territoriale ha evidenziato la ricostruzione dei fatti sottesa all’accertata responsabilità da parte del giudice di primo grado (pag. 9 e s.) e poi confermato la partecipazione del prevenuto in considerazione delle doglianze difensive (pag. 17 e 18).
È stato valorizzato il riferimento che i sodali, anche soggetti di vertice, fanno all’imputato (individuato nominativamente in un’occasione) quale depositario dell’arnese da scasso, effettivamente prelevato, prima dell’esecuzione della c.d. «spaccata», presso l’abitazione ove egli era all’epoca dei fatti agli arresti domiciliari (come ritenuto accertato in forza dell’esame congiunto degli esiti delle intercettazioni e del sistema di rilevamento GPS). Quanto innanzi è stato altresì valutato in uno con l’accertato ruolo assunto dal prevenuto quale depositario della refurtiva, rinvenuta nella detta abitazione all’esito di un furto ritenuto reato fine. È stata altresì valorizzata l’adibizione dell’immobile di cui innanzi a rifugio dei sodali in momenti di fibrillazione dell’associazione, come avvenuto all’esito di un furto eseguito con le consuete modalità da soggetti ritenuti associati e ivi nascostisi per sottrarsi all’intervento delle forze dell’ordine.
2.1.2. In termini inammissibili infine il ricorrente mira a sostituire a quelle del giudicante proprie valutazioni di elementi probatori. Si prospetta l’assenza di prova dell’effettivo prelievo dello strumento da scasso dall’abitazione ove il prevenuto era agli arresti domiciliari, invece argomentato dai giudici di merito dalla lettura congiunta di plurimi elementi probatori, e si ritiene che i sodali si sarebbero ivi rifugiati, dopo l’esecuzione dell’ennesima «spaccata», per sottrarsi all’inseguimento delle forze dell’ordine ma in termini meramente estemporanei.
I ricorsi proposti (con atto congiunto) negli interessi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che si appuntano sull’apparato motivazionale del trattamento
sanzionatorio, non si confrontato con la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata.
La Corte territoriale è lungi dal non evidenziare l’pr logico-giuridico fondante la commisurazione giudiziale della pena. Con motivazione esente da censure in sede di legittimità (pag. 18 e ss.), in quanto coerente e non manifestamente illogica, in accoglimento delle deduzioni difensive i giudici di merito hanno ritenuto per entrambi gli imputati sussistenti i presupposti della continuazione (cd. «esterna») con i reati con riferimento ai quali gli stessi erano stati condannati con sentenze irrevocabili. Sono stati considerati più gravi i reati base già ritenuti più gravi con le sentenze passate in giudicato, anche in ragione delle pene comminate e in considerazione delle aggravanti contestate e accertate (compresa la recidiva). È stata altresì considerata la riduzione per il rito già operata con le sentenze passate in giudicato e sono stati specificatamente indicati gli aumenti per la continuazione con riferimento alla posizione di entrambi gli imputati, anch’essi ridotti per il rito in termini non manifestamente illogici. La differente entità degli aumenti di pena operati per i reati sub iudice rispetto agli aumenti operati con riferimento agli altri reati fine di cui alle sentenze irrevocabili non rende la motivazione manifestamente illogica, trattandosi di fattispecie differenti ancorché tutte poste in esecuzione del medesimo disegno criminoso. La Corte opera poi una riduzione del trattamento sanzionatorio per NOME COGNOME in ragione della condotta processuale sostanziatasi nella parziale rinuncia ai motivi d’appello, e chiarisce che per NOME COGNOME il primo giudice aveva omesso di operare l’aumento per la continuazione per il capo A (partecipazione all’associazione).
L’evidenziato iter motivazionale mostra peraltro attuazione di principio di diritto con il quale sostanzialmente non si confrontano i ricorrenti con profili di censura che, quindi, sul punto, si manifestano infondati ove deducono una scorretta determinazione della riduzione della pena per il rito con riferimento a reati in continuazione giudicati separatamente ma tutti all’esito di giudizo abbreviato. Nel giudizio abbreviato, ove si riconosca l’esistenza del vincolo della continuazione fra il reato per cui si procede e altro reato ritenuto più grave e precedentemente giudicato anch’esso con rito abbreviato, il giudice, come avvenuto nella specie, deve difatti applicare la riduzione di un terzo ex art. 442 cod. proc. pen. sull’aumento di pena determinato ai sensi dell’art. 81 cod. pen. per il reato satellite, fornendo esplicita indicazione delle modalità di calcolo seguite per operare tale aumento, nello specifico emergente da pag. 19 della sentenza impugnata (ex plurimis: Sez. 5, n. 45505 del 23/04/2014, COGNOME, Rv. 260768 – 01; Sez. 5, n. 11874 del 06/10/00, COGNOME, Rv. 218574 – 01).
In conclusione, all’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di tremila euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende, misura ritenuta equa, ex art. 616 cod. proc. pen. come letto da Corte cost. n. 186 del 2000, in considerazione dei profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità innanzi evidenziati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 2 ottobre 2025
Il Prts. idente