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Ricorso per cassazione: inammissibile se pena concordata

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione proposto contro una sentenza di appello che aveva ridotto la pena su concorde richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. La Corte ha ribadito che l’accordo sulla pena costituisce un negozio processuale vincolante che, una volta ratificato dal giudice, non può essere unilateralmente contestato nel merito, salvo il caso di pena illegale.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pena concordata in Appello: perché il ricorso per cassazione è inammissibile?

L’accordo tra le parti sulla pena in grado di appello, previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per definire il processo in modo più celere. Ma cosa succede se, dopo aver raggiunto un’intesa, l’imputato decide di presentare un ricorso per cassazione lamentando un’entità della pena non sufficientemente ridotta? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio consolidato: tale ricorso è inammissibile.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna per furto pluriaggravato emessa dal Tribunale di primo grado. In sede di appello, la difesa dell’imputato e la Procura Generale hanno raggiunto un accordo ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., concordando su una parziale riforma della sentenza che prevedeva una riduzione della pena. La Corte d’Appello, preso atto della richiesta congiunta, ha ratificato l’accordo e rideterminato la sanzione come pattuito, confermando nel resto la condanna.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha deciso di impugnare la decisione della Corte d’Appello, presentando ricorso in Cassazione. Il motivo del ricorso era incentrato proprio sulla misura della pena, ritenuta ancora eccessiva e non adeguatamente individuata in termini inferiori.

L’accordo e il ricorso per cassazione: una scelta vincolante

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la propria decisione sulla natura stessa dell’accordo previsto dall’art. 599-bis c.p.p. Questo istituto, introdotto con la legge n. 103 del 2017, permette alle parti di concordare sull’accoglimento, totale o parziale, dei motivi di appello, rinunciando implicitamente agli altri. Quando l’accordo comporta una nuova determinazione della pena, le parti stesse la indicano al giudice.

Secondo la Cassazione, questo accordo costituisce un vero e proprio negozio giuridico processuale. Si tratta di una manifestazione di volontà libera e consapevole delle parti di esercitare un potere dispositivo che la legge riconosce loro. Una volta che questo patto viene recepito nella decisione del giudice, esso acquista una forza vincolante che non può essere messa in discussione unilateralmente da una delle parti che lo ha promosso o vi ha aderito.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Nel motivare la propria decisione, la Corte ha richiamato la sua giurisprudenza consolidata, incluse le pronunce delle Sezioni Unite. Il principio cardine è che l’accordo sulla pena, una volta consacrato nella sentenza, non può essere modificato o contestato nel merito da chi lo ha stipulato. L’adesione alla proposta di concordato, infatti, contiene un’implicita rinuncia a far valere ulteriori doglianze relative alla misura della sanzione.

L’unica via d’uscita, l’unica possibilità di impugnare una sentenza di questo tipo, è l’ipotesi di illegalità della pena concordata. Ciò si verifica, ad esempio, se la pena applicata è di un genere diverso da quello previsto dalla legge o se la sua misura eccede i limiti edittali massimi o minimi. Nel caso di specie, l’imputato non lamentava un’illegalità della pena, ma semplicemente ne auspicava una quantificazione più favorevole, motivo ritenuto inammissibile proprio in virtù dell’accordo precedentemente siglato.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza la stabilità degli accordi processuali e la loro funzione deflattiva. La decisione di aderire a un concordato in appello è una scelta strategica che deve essere ponderata attentamente, poiché preclude la possibilità di un successivo ricorso per cassazione volto a rimettere in discussione la quantificazione della pena. Accettando l’accordo, l’imputato rinuncia a contestare la congruità della sanzione, potendo far valere unicamente vizi di legalità della stessa. Questa pronuncia serve da monito: il patto processuale è un atto serio e vincolante, non un tentativo da cui ci si può ritrarre se il risultato finale non è pienamente soddisfacente.

È possibile presentare ricorso per cassazione contro una pena concordata in appello ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p.?
No, di regola il ricorso è inammissibile. L’accordo sulla pena è un negozio processuale che, una volta recepito dal giudice, vincola le parti e implica la rinuncia a contestare nel merito la misura della sanzione.

Cosa si intende per ‘negozio giuridico processuale’ in questo contesto?
Significa che l’accordo tra imputato e pubblico ministero è un patto volontario e liberamente stipulato che, una volta ratificato dal giudice, produce effetti giuridici vincolanti all’interno del processo e non può essere modificato unilateralmente.

Esiste qualche eccezione alla regola di inammissibilità del ricorso?
Sì, l’unica eccezione è l’ipotesi in cui la pena concordata e applicata dal giudice sia ‘illegale’, cioè non conforme alla legge per tipologia o per misura (ad esempio, inferiore al minimo o superiore al massimo edittale).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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