Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 837 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 837 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lampedusa il 25/03/1964
avverso l’ordinanza del 11/07/2024 del Tribunale della libertà di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME entrambi del foro di Agrigento, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Palermo, costituito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello cautelare proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Siracusa, la quale aveva respinto l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, misura disposta in relazione alla detenzione e alla successiva cessione di circa 57 kg. di cocaina fortuitamente rinvenuta in mare durante una battuta di pesca al largo delle coste di Lampedusa e caricata sul peschereccio di cui il COGNOME era capitano.
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che, unitamente alla confessione dell’indagato, hanno affievolito le esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché le cesurt hanno un contenuto eminentemente fattuale e valutativo che, lungi dall’evidenziare profili di manifesta illogicità della motivazione, sollecitano una diversa lettura degli elementi di prova allo stato raccolti.
Va rilevato che, in sede di istanza ex art. 299 cod. proc. pen., il ricorrente aveva dedotto, quale elemento di novità sopravvenuto, la circostanza che l’indagato aveva reso interrogatorio fornendo, secondo la prospettazione difensiva, una ricostruzione sostanzialmente ammissiva del suo coinvolgimento nella vicenda: contegno processuale ritenuto espressivo di resipiscenza, che, unitamente al carattere fortuito del rinvenimento dello stupefacente e al tempo trascorso dalla commissione dei fatti, avrebbe affievolito le esigenze cautelari, anche considerando che una misura meno gravosa era stata applicata ai coindagati NOME COGNOME e NOME COGNOME ancorché gravati da precedenti penali specifici.
Ritiene il Collegio che il Tribunale abbia esaurientemente valutato le indicate circostanze, spiegando, con logica motivazione, le ragioni per le quali ha confutato la tesi difensiva secondo cui l’indagato, in sede di interrogatorio, avrebbe reso dichiarazioni di contenuto sostanzialmente confessorio.
c, 3.1. In particolare, il Tribunale ha rilevato che la difesa aveva travisato le dichiarazioni rese dal COGNOME, posto che costui (cfr. p. 5 dell’ordinanza impugnata): a) ha affermato di avere ceduto alle pressioni del COGNOME, il quale lo avrebbe minacciato con la frase “vedi che non dormi tranquillo”, riferendo, quindi, di aver temuto di subire delle azioni ritorsive ai propri danni; b) non ha dichiarato, come indicato nell’istanza ex art. 299 cod. proc. pen., di avere consentito che il COGNOME NOME si impossessasse dello stupefacente per una successiva vendita, bensì ha affermato di aver concordato, con il COGNOME, di consegnare la droga alle forze dell’ordine dopo il proprio rientro a Lampedusa da Agrigento, dove doveva recarsi per ragioni familiari; c) quanto ai rapporti con NOME COGNOME e con il di lui padre NOME COGNOME, ha riferito di aver indicato a costoro il COGNOME come l’unico soggetto detentore dello stupefacente.
3.2. Su queste basi fattuali, il Tribunale ha ritenuto che l’indagato non ha affatto ammesso il proprio coinvolgimento della vicenda in quanto, per un verso,
si è protestato innocente con riferimento all’iniziale detenzione dello stupefacente – che, a suo dire, avrebbe dovuto essere consegnato alle forze dell’ordine -, e, per altro verso, ha cercato di addossare al COGNOME l’intera responsabilità delle successive cessioni della droga al COGNOME e ai Cucina.
Oltre a ciò, il Tribunale ha ritenuto le dichiarazioni del COGNOME del tutto inattendibili, in quanto: a) se effettivamente egli aveva concordato di consegnare lo stupefacente alle forze dell’ordine, non si comprende perché ciò non avvenne la sera stessa del ritrovamento o, al più tardi, il giorno seguente; b) la versione del COGNOME è in contrasto con quanto riferito dal COGNOME, secondo cui all’atto del rinvenimento della droga si decise di non contattare le forze dell’ordine e di vendere quarantadue panetti di cocaina a NOME COGNOME e di mantenere in custodia i residui quindici panetti per una successiva vendita (cfr. p. 6 dell’ordinanza impugnata), dichiarazioni ritenute attendibili in quanto precise, dettagliate e ammissive del proprio coinvolgimento nei fatti con un ruolo di primo piano e confermate da quanto riferito dallo stesso COGNOME in relazione al coinvolgimento di altri soggetti nella cessione dello stupefacente (cfr. p. 7 dell’ordinanza impugnata); c) la versione del Di COGNOME, con riferimento alla cessione di otto kg. di cocaina, è in contrasto con quanto riferito da NOME COGNOME – che, invece, ha ammesso di avere ricevuto la droga proprio dal COGNOME con il coinvolgimento di NOME COGNOME, cognato dell’indagato versione, quella NOME COGNOME, riscontrata da quanto dichiarato dal padre NOME e dal COGNOME (cfr. p. 10 dell’ordinanza impugnata).
A fronte di tale motivazione, ampia, esauriente e immune da criticità logiche, il ricorrente non deduce il travisamento delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, ma si limita a prospettare una diversa valutazione del portato dichiarativo sinora acquisito, ciò che fuoriesce dai casi previsti dall’art. 606 cod. proc. pen.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso il 19/11/2024.