Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43674 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43674 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Mileto il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 03/04/2024 del Tribunale di Catanzaro udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; ricorso trattato in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis, cod. proc. pen., essendo stata respinta con provvedimento presidenziale del 24/10/2024 l’istanza difensiva di rimessione in termini per proporre istanza di trattazione orale.
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, con provvedimento del 3/4/2024, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 11735 del 25/1/2024, confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro del 1/6/2023, che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere.
L’indagato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico articolato motivo con cui deduce la violazione della legge processuale penale, in relazione agli artt. 275, comma 3, 275-bis e 627 cod. proc. pen. Evidenzia che il Tribunale del riesame non ha tenuto conto delle
indicazioni contenute nella sentenza di annullamento con rinvio della Suprema Corte, avendo confermato l’ordinanza genetica sulla scorta delle stesse argomentazioni censurate dalla Corte di legittimità, vale a dire i) il ruolo di rilievo rivestito dal COGNOME nell’associazione di ‘ndrangheta in contestazione, desunto dai medesimi elementi già indicati nella ordinanza impugnata; i precedenti penali e giudiziari da cui risulta gravato il ricorrente, che tuttavia non sono di particolare allarme sociale, come si desumerebbe anche dalla motivazione della ordinanza impugnata, laddove evidenzia come il COGNOME non “abbia patito prolungati periodi di carcerazione”. Ritiene, dunque, la difesa che il Tribunale del riesame non sia riuscito a provare, così contravvenendo al principio di diritto sancito dalla sentenza rescindente, la sussistenza di ulteriori condotte criminose poste in essere dall’odierno ricorrente durante il cosiddetto tempo silente; che la contestazione in materia di armi non è più aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per cui – sebbene contestato in epoca recentissima (2023) – non è di per sé indicativo della perdurante pericolosità dell’indagato, né della idoneità della sola misura intramuraria; che, comunque, nel caso di specie, risultano violati i principi di adeguatezza e proporzionalità delle misure coercitive, costituendo la custodia cautelare in carcere extrema ratio, potendo essere disposta solo quando ogni altra misura risulti inadeguata.
Il ricorso è inammissibile, in quanto l’unico motivo cui è affidato non è consentito, perché aspecifico.
Ed invero, si confronta solo in apparenza con la trama motivazionale del provvedimento impugnato, che in punto di sussistenza delle esigenze cautelari ha valorizzato í) il ruolo attivo e di rilievo (anche se non in posizione apicale) assunto dal COGNOME nella ‘ndrina di San Giovanni di Mileto, che ha desunto da specifici elementi di fatto, puntualmente indicati alle pagine 4 e 5; la circostanza che la contestazione del reato associativo è aperta, dunque, relativa ad una condotta ritenuta tuttora in atto; íii) i precedenti penali e quello giudiziario recentissimo in materia di armi da cui il ricorrente risulta gravato, evidenziando come il precedente giudiziario sia specifico e relativo a fatti recentissimi, commessi 2023, poco prima che fosse emesso il titolo cautelare oggi in esecuzione. Dunque, il Tribunale del riesame ha ritenuto che il lasso di tempo di circa cinque anni intercorrente tra le condotte oggetto di contestazione e l’adozione della misura custodiale fosse recessivo rispetto a tutti gli altri elementi specificati.
Orbene, a fronte delle argomentazioni sviluppate nell’ordinanza impugnata, il ricorso glissa, limitandosi ad affermare che gli elementi posti a fondamento della conferma dell’ordinanza cautelare sarebbero gli stessi utilizzati nel
provvedimento annullato in sede di legittimità e del tutto apoditticamente che la contestazione in materia di armi non sarebbe indicativa della perdurante pericolosità del COGNOME, senza dar conto delle ragioni su cui siffatta indimostrata affermazione si fonda.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/6/2016, COGNOME, Rv. 268385 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849).
Quanto al profilo della adeguatezza della misura cautelare, la censura è manifestamente infondata, atteso che – una volta ritenuta la sussistenza delle esigenze cautelari – il dettato dell’art. 275 cod. proc. pen., prevedendo una presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura intramuraria, non lascia margini di scelta in relazione al presidio cautelare da applicare (da ultimo, Sez. 2, n. 5182 del 13/10/2023, dep. 2024, COGNOME, in motivazione; Sez. 2, n. 24515 del 19/1/2023, COGNOME, Rv. 284857 – 01; Sez. 5, n. 51742 del 13/6/2018, Pergola, Rv. Rv. 275255 – 01).
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il giorno 31 ottobre 2024.