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Ricorso per cassazione inammissibile: motivi di forma

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso per cassazione inammissibile avverso una condanna per spaccio. L’ordinanza chiarisce che non si può mascherare una richiesta di riesame dei fatti, preclusa in sede di legittimità, come una violazione di legge sulla valutazione della prova (art. 192 c.p.p.), ribadendo i rigidi confini dei motivi di ricorso.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Cassazione Inammissibile: Quando la Forma Supera la Sostanza

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti del giudizio di legittimità, confermando come un ricorso per cassazione inammissibile sia la conseguenza inevitabile di una errata impostazione dei motivi di doglianza. Il caso riguarda un imputato condannato per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, il cui ricorso è stato respinto perché, pur lamentando una violazione di legge, mirava in realtà a ottenere un nuovo giudizio sui fatti, attività preclusa alla Suprema Corte.

Il Contesto del Caso: dalla Condanna in Appello al Ricorso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che, in riforma di una precedente decisione del GIP, aveva condannato un soggetto per detenzione di marijuana a fini di spaccio (art. 73, comma 5, d.p.r. 309/1990). La pena era stata fissata in due anni e venti giorni di reclusione, oltre a una multa di 3.200 euro.

Contro questa decisione, la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su un unico motivo: la violazione dell’articolo 192 del codice di procedura penale, che disciplina le regole sulla valutazione della prova.

La Tesi Difensiva: Una Presunta Errata Interpretazione delle Prove

Secondo il ricorrente, il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito era viziato da un’erronea interpretazione degli elementi acquisiti durante il processo. La difesa sosteneva che la ricostruzione dei fatti fosse una “forzatura” finalizzata unicamente ad affermare la responsabilità penale del proprio assistito. In sostanza, si contestava non un errore di diritto, ma il modo in cui i giudici avevano valutato le prove per giungere alla condanna.

Questo tipo di doglianza, tuttavia, si scontra con la natura stessa del giudizio di cassazione, che non è un terzo grado di merito, ma un giudizio di pura legittimità, volto a verificare la corretta applicazione delle norme giuridiche e la logicità della motivazione.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e didattica. I giudici hanno spiegato che invocare la violazione dell’art. 192 c.p.p. per censurare l’erronea valutazione delle prove è un espediente non consentito. I limiti all’ammissibilità delle doglianze sulla motivazione sono fissati in modo specifico dall’art. 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, che permette di contestare la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione.

Tentare di superare questi paletti, mascherando una critica alla valutazione dei fatti come una violazione di legge (lett. b) o come un’inosservanza di norme processuali (lett. c)), non è ammissibile. La Corte ha richiamato un importante precedente delle Sezioni Unite (sentenza n. 29541 del 2020), che ha consolidato questo principio: il ricorso per cassazione inammissibile è la sanzione per chi tenta di ottenere dalla Suprema Corte una nuova valutazione del merito della causa, compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: il ricorso per cassazione deve essere formulato con estremo rigore tecnico. Non è sufficiente essere in disaccordo con la conclusione dei giudici di merito; è necessario individuare un vizio specifico tra quelli tassativamente previsti dalla legge. La decisione ha un’importante implicazione pratica: sottolinea la necessità per i difensori di distinguere nettamente tra una critica all’interpretazione delle prove (inammissibile in Cassazione) e una censura sulla coerenza logica del ragionamento del giudice (ammissibile entro i limiti della lettera e) dell’art. 606 c.p.p.). L’esito del caso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende, serve da monito sull’importanza di un’attenta e corretta redazione dei motivi di ricorso.

Perché il ricorso alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, sebbene formalmente lamentasse una violazione di legge sulla valutazione della prova (art. 192 c.p.p.), in realtà mirava a ottenere un riesame dei fatti e della valutazione delle prove, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

È possibile contestare in Cassazione il modo in cui un giudice ha valutato le prove?
No, non è possibile contestare direttamente il merito della valutazione probatoria. Il ricorso in Cassazione può censurare la motivazione della sentenza solo se questa risulta mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, secondo i rigidi parametri dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ma non può sostituire la valutazione del giudice di merito con una diversa interpretazione delle prove.

Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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