Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23805 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23805 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 24/06/1968
avverso l’ordinanza del 09/01/2025 del Tribunale di Catania;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME con atto del proprio difensore, impugna l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catania in epigrafe indicata, nella parte in cui ne ha confermato la custodia cautelare in carcere per i reati di partecipazione con ruolo organizzativo ad un’associazione di tipo mafioso ed armata, di tentata estorsione pluriaggravata e di detenzione di sostanze stupefacenti di varia tipologia (capi 1, 9 e 18 dell’incolpazione provvisoria).
Sono tre i motivi di ricorso.
2.1. Il primo consiste nella nullità dell’interrogatorio cd. “di garanzia”, con conseguente inefficacia della misura cautelare, per violazione dell’art. 104, comma 3, cod. proc. pen., avendo il Giudice per le indagini preliminari differito i colloqui tra l’indagato ed il proprio difensore, a seguito dell’esecuzione dell’ordinanza custodiate, senza l’indicazione di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, invece impostagli da tale disposizione di legge, e limitandosi a semplici formule di stile nel corpo della motivazione dell’ordinanza custodiate.
2.2. Il secondo motivo consiste nella nullità dell’ordinanza per difetto dell’autonoma valutazione del quadro investigativo, richiesta dall’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen..
I giudici si sarebbero limitati sostanzialmente al pedissequo recepimento della richiesta del Pubblico ministero, preternnettendo intere argomentazioni difensive e pregiudizialmente assegnando alle conversazioni intercettate – molte delle quali intervenute tra terzi rimasti esenti da provvedimenti custodiali – un significato conforme all’accusa, pur non consentendo le stesse un’interpretazione univoca in tal senso; per converso, avrebbero omesso di considerare che COGNOME è persona di 57 anni, incensurata, sconosciuta alla dozzina di collaboratori di giustizia escussi dagli investigatori, mai raggiunta prima da misure cautelari o da attenzioni delle forze di polizia e titolare di un’avviata impresa di mediazione nel commercio di prodotti agricoli.
2.3. La terza doglianza riguarda il quadro di gravità indiziaria riguardante gli episodi di detenzione di stupefacenti.
La relativa accusa poggerebbe soltanto sulle conversazioni intercettate, non riscontrate da sequestri od altri dati obiettivi; essa, inoltre si presenterebbe generica, nonché fondata su palesi illogicità (si cita, a sostegno, la conversazione con il coindagato COGNOME, intesa dal Tribunale come una “rendicontazione” degli introiti del traffico di stupefacenti, mentre i due parlano di qualcosa da prendere «a quattro e darla ai ragazzi a due e mezzo», che certamente non potrebbe consistere in tal specie di sostanze, il cui commercio non può avvenire in perdita). Si tratterebbe, dunque, di una valutazione compiuta in violazione del canone stabilito dall’art. 192, cod. proc. pen., secondo cui l’ipotesi d’accusa dev’essere logicamente univoca e non solamente più credibile di altre.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo non può esserlo per una pluralità di ragioni, ovvero: in primo luogo, perché, nel procedimento di riesame non è deducibile, né rilevabile d’ufficio, la questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294, cod. proc. pen., sicché la stessa non può costituire oggetto di ricorso per cassazione (così, tra altre, Sez. 2, n. 33775 del 04/05/2016, Bianco, Rv. 267851); in secondo luogo, perché comunque la relativa doglianza non risulta essere stata proposta al giudice del riesame, ma soltanto, per la prima volta, con il presente ricorso, non essendo ciò consentito (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.); da ultimo, ed in ogni caso, perché l’eventuale nullità, semmai verificatasi, è stata ormai sanata, non risultando essere stata eccepita nel corso dell’interrogatorio “di garanzia” (sul punto, tra le moltissime conformi, Sez. 4, n. 39827 del 12/07/2007, Recchia, Rv. 237845, secondo cui il provvedimento di differimento del colloquio con il difensore in vista della celebrazione dell’interrogatorio di garanzia è nullo se non motivato in ordine alle specifiche esigenze di cautela che ne hanno determinato l’adozione; tale nullità deve ricomprendersi tra quelle di ordine generale a regime intermedio e, dunque, per essere trasmessa al successivo interrogatorio, dev’essere eccepita nei termini di cui all’art. 182, cod. proc. pen., cioè prima dell’espletamento delle formalità di apertura dell’atto).
Anche il secondo motivo – stando a quanto si può leggere nell’ordinanza impugnata, al cui esame deve limitarsi il giudice di legittimità, salvo puntuali allegazioni dimostrative della mancata valutazione della specifica doglianza parrebbe non essere stato proposto al Tribunale del riesame, non potendo perciò essere fatto valere in questa sede, deputata esclusivamente al controllo del provvedimento impugnato.
Anche tale doglianza, comunque, è inammissibile, perché non consentita e generica.
L’ordinanza del Tribunale del riesame, infatti, non richiede, a pena di nullità, l’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito è previsto dall’art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis), cod. proc. pen., esclusivamente per la decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte, essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente e quello giudicante. Avverso i provvedimenti cautelari diversi dall’ordinanza genetica, dunque, possono farsi valere unicamente gli ordinari vizi della motivazione, comprese l’assenza o l’apparenza di essa (Sez. 1, n. 8518 del 10/09/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280603; Sez. 6, n. 1016 del 22/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278122).
Inoltre, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti cautelari personali, il ricorrente per cassazione che ne denunci la nullità per omessa valutazione autonoma delle esigenze cautelari e/o dei gravi indizi di colpevolezza ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario e di rilevanza tale da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate, non potendosi limitare ad un’analisi dei provvedimenti di tipo meramente formale (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, COGNOME, Rv. 274760).
Nello specifico, invece, rispetto al provvedimento cautelare genetico, la doglianza difensiva si presenta puramente formale, non essendo con essa indicato in dettaglio alcun dato probatorio od argonnentativo acriticamente recepito dal primo giudice, né specificate le «intere argomentazioni difensive ( .) preternnesse», ed essendosi la difesa limitata ad allegare un brevissimo stralcio di conversazione, che, tuttavia, se posto a fronte della pletora di risultanze investigative riprese anche dall’ordinanza impugnata, si rivela in sé tutt’altro che eloquente in senso antitetico all’accusa.
4. Ancora più generico, infine, è il terzo motivo.
Oltre ad essere riferito, esplicitamente ed in più passaggi, al coindagato COGNOME e non al COGNOME, esso elude ogni confronto critico con il ponderoso materiale investigativo illustrato dal Tribunale a conferma dell’ipotesi accusatoria anche per quel che riguarda l’addebito in materia di stupefacenti, limitandosi ad evidenziare l’assenza di riscontri ai numerosissimi dialoghi intercettati, ma non spiegando perché questi ultimi non possano considerarsi di per sé eloquenti e, dunque, sufficienti a sorreggere il giudizio di gravità indiziaria. Non può certo considerarsi idoneo, infatti, a tal fine, il semplice riferimento operato in ricorso ad un unico moncone di frase («… a quattro e darla ai ragazzi a due e mezzo»), riportato in modo completamente decontestualizzato.
5. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
1-ter,
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2025.