Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14523 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14523 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 02/11/1977
avverso l’ordinanza del 31/10/2024 del TRIBUNALE di PALERMO.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5, e 611, comma 1 bis, e segg. cod. proc. pen..
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento il Tribunale di Palermo ha rigettato l’istanza di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo che aveva applicato la misura cautelare massima nei suoi confronti in relazione ad imputazioni per reati di autoriciclaggio ed estorsione commessi tra Palermo ed il Brasile tra il 2018 ed il 2019 (art. 648 ter 1, cod. pen.) e poi ancora nel 2020.
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso per cassazione la difesa dell’imputato lamentando, nel prisma della violazione di legge e del vizio
motivazionale (art. 606, lett. b ed e, cod. proc. pen.), la carenza indiziaria tanto per l’ipotesi di autoriciclaggio, che per l’estorsione.
Il difensore ha inoltre inviato memoria per l’udienza, ribadendo le conclusioni già prese, ed opponendosi alle conclusioni rassegnate dal Sostituto Procuratore generale nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, adducendo motivi non consentiti, in quanto valutativi e ripetitivi di tesi difensive già adeguatamente vagliate e puntualmente respinte dall’ordinanza impugnata.
Va ricordato, infatti, il principio giurisprudenziale che indica i limiti sindacabilità in questa sede dei provvedimenti de libertate: la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è, quindi, circoscritto all’esame del contenuto dell’at impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazion rispetto al fine giustificativo del provvedimento. L’insussistenza dei gravi indizi d colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis: Sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, Rv. 276976).
Nel caso in esame, l’ordinanza impugnata ha giustificato la propria valutazione degli elementi indiziari relativi alla sussistenza degli ipotizzati reati c motivazione dotata di logica, coerenza e linearità argomentativa, che come tale, per le ragioni dette, si sottrae a censure nella presente sede di legittimità. I giudice della cautela, infatti, ha riscontrato le ipotesi accusatorie sulla base di una
analitica ed esaustiva valutazione degli elementi di indagine, rappresentati dalle risultanze di precedenti indagini, dai dati provenienti dalle banche dati della Direzione Nazionale Antimafia, dalla informative dei Carabinieri di Rimini e Bologna, dai dati estrapolati dai cellulari di Calvaruso e del Bruno, dal contenuto delle comunicazioni delle chat su piattaforma estera (SKY ECC) acquisitA per rogatoria, dai dati del traffico telefonico e dalle intercettazioni telefonich intercorse tra gli indagati ed infine dall’analisi dei flussi patrimoniali e finanzi ricostruiti sulla base della documentazione acquisita nel corso dell’attività investigativa in Italia ed in Brasile.
Le argomentazioni spese sul punto dai giudice della cautela appaiono, quindi, ampie, congrue e non manifestamente illogiche nel ritenere, sulla base del materiale probatorio acquisito, sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati, avendo il COGNOME svolto un ruolo preminente nella attività di trasferimento ed occultamento a proprio favore di ingenti risorse drenate grazie ad attività illecita compiuta nell’ambito di, e grazie alla, attività associati accertata in separato procedimento.
Dunque, non corrisponde al vero che la posizione dell’odierno ricorrente non sia stata autonomamente e correttamente valutata.
Per contro, corre l’obbligo sottolineare, è la stessa impostazione del ricorso ad essere carente. Infatti, rispetto alle coordinate interpbtative sopra delineate, esso si limita a lamentare l’inidoneità o l’insufficienza dei singoli indizi, senz tuttavia giungere ad identificare un punto o uno specifico profilo di manifesta illogicità del tessuto motivazionale. Certamer4 non è tale l’indicazione della irriferibilità delle transazioni oggetto delle analisi (mai contestate nella lor materialità, come si evidenzia a pg. 15 dell’ordinanza) al COGNOME, quanto, piuttosto al NOME (attraverso la madre COGNOME), posto che la modalità delle operazioni di autoriciclaggio è stata identificata esattamente nel camuffamento operato col ricorso a detto intermediario, manutengolo tecnico di colui che, per preminenza mafiosa (al vertice del mandamento clanico di COGNOME), era il dominus delle operazioni. Tra pg. 14 e pg. 17 dell’ordinanza infatti si illustra, con dovizia di riferimenti specifici, il meccanismo posto in essere ed il contributo dei vari soggetti coinvolti, dal ‘cassiere’, il fidato ‘madre dell’amico’ (la COGNOME, appunto, incaricata di eseguire i bonifici sui conti o gli accrediti sulle carte) al NOME, che aveva lo specifico compito di impartire alla madre le puntuali direttive per la diligente esecuzione dell’operazione di trasferimento del denaro.
Ed anche in relazione alla seconda imputazione elevata nel presente processo, relativa all’estorsione commessa in epoca successiva (siamo nel 2020) ai danni di imprenditori locali nell’ambito di una compravendita immobiliare, la critica non va
oltre la formulazione (reiterativa) di una ipotesi alternativa di lettura degli elementi indiziari, senza valenza sradicante dell’impianto interpretativo dell’ordinanza
impugnata. La quale, a pg. 27, dopo la doviziosa esposizione degli indizi, si perita di smentire la tesi difensiva, incentrata sulla qualificazione dell’intervento del
COGNOME nella vicenda in termini di mera intermediazione immobiliare, con conseguente richiesta di provvigione. Sennonché, si sottolinea nell’ordinanza, di
tale attività non vi è traccia, né da parte dell’indagato, né da parte della società
RAGIONE_SOCIALE a lui riferibile, a fronte di minacce dal chiaro contenuto estorsivo e significato mafioso.
3. Da quanto precede deriva l’inammissibilità del ricorso, che adduce motivi, ancor prima che manifestamente infondati, non consentiti ex art. 606, comma 3,
cod. proc. pen., in quanto diretti ad una rivalutazione del merito cautelare non permessa in questa sede.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché,
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Alla mancata liberazione del ricorrente a seguito della decisione consegue altresì la trasmissione di copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario di custodia del ricorrente per l’inserimento nella cartella personale del detenuto ex art. 94 commi 1 bis e 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma i-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 6 marzo 2025