Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 585 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 585 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, n. Bitonto (Ba) DATA_NASCITA
NOME, n. Bari DATA_NASCITA
COGNOME NOME, n. Bari DATA_NASCITA
NOME, n. Bari DATA_NASCITA
COGNOME NOME, n. Castellana Grotte INDIRIZZOBa) DATA_NASCITA
avverso la sentenza n. 33615/23 della Corte di appello di Bari del 14/07/2023
letti gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
sentito il pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi sentiti per la ricorrente COGNOME l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO e per il ricorrente COGNOME l’AVV_NOTAIO, i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi rispettivamente patrocinati
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari ha confermato la pronuncia di primo grado, ribadendo le rispettive responsabilità di:
NOME COGNOME in ordine al reato di concorso aggravato in più reati cli traffico di stupefacenti (artt. 81 cpv., 110 cod. pen., 73 commi 4 e 6, d.P.R. n. 309 del 1990, 7 I. n. 152 del 1991, capo B7);
NOME COGNOME in ordine ai medesimi reati a lui contestati al capo B9, previa declaratoria di estinzione di alcuni di essi per sopravvenuta prescrizione e riduzione della pena in accoglimento di concordato di cui all’art. 599-bis cod. proc. pen.;
COGNOME NOME in ordine al delitto di concorso in estorsione aggravata anche dal metodo mafioso (artt. 81, 110, 629 cod. pen. e 7 I. n. 152 del 1991, capo D5);
NOME NOME in ordine al delitto di concorso in truffa aggravata (artt.
110, 640, secondo comma, n. 2, 61, n. 9, cod. pen., capo D7);
COGNOME NOME in ordine al delitto di concorso aggravato nel delitto di cessione di kg. 1,535 di hashish (artt. 110 cod. pen., 73, commi8 4 e 6, d.P.R. n. 309 del 1990, 7 I. n. 152 del 1991, capo B5) confermando, altresì, il trattamento sanzionatorio determinato dal Tribunale in primo grado, con la citata eccezione del COGNOME.
I fatti oggetto di contestazione e di condanna risultano molto diversi tra loro, condividendo l’unico comune denominatore di essere stati commessi da soggetti in qualche modo, direttamente o indirettamente, collegati all’ambiente del crimine organizzato barese facente capo al RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, che hanno articolato i motivi di seguito esposti come stabilito dall’art.
173, comma 1, disp. att. cd. proc. pen.
2.1. Ricorso COGNOME
La difesa del ricorrente formula un solo motivo di doglianza con cui sollecita questa Corte di cassazione a sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 599-bis e 605 cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3, 111 e 24 Cost. nella parte in cui non si prevede, nel giudizio di secondo grado, in caso di dissenso ingiustificato da parte del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO rispetto ad una richiesta di concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. una disciplina analoga a quella prevista nel giudizio di promo grado dall’art. 448 cod. proc. pen. in tema di patteggiamento, evidenziando di essere incorso nella situazione indicata e di non avere, pertanto, potuto accedere alla riduzione di pena prevista dall’istituto del concordato in appello.
2.2. Ricorso COGNOME
Violazione ed erronea applicazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e vizi congiunti di motivazione in relazione alla denegata applicazione del fatto tenue.
Mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena ed alla insoddisfacente riduzione della stessa a titolo di attenuanti generiche ed all’aumento, definito esorbitante (sei mesi), a titolo di continuazione.
2.3. Ricorso COGNOME
Violazione dell’art. 629 e mancata applicazione dell’art. 56 cod. pen. e vizi congiunti di motivazione sul punto.
Si sostiene in particolare che nessuna dazione di denaro risulta essere stata effettuata dalle persone offese successivamente all’entrata in scena della ricorrente, secondo l’accusa in supporto del coniuge COGNOME NOME, separatamente giudicato (pagg. 116, 117, 118 sent. impugnata).
Erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. e mancata applicazione dell’art. 393 cod. pen. e vizi di motivazione sul punto della mancata dimostrazione della consapevolezza da parte dell’imputata della natura usuraria degli interessi sul debito gravante sulle persone offese.
Travisamento per omissione e contraddittorietà della motivazione con quanto riferito in udienza dalla teste COGNOME in relazione alla ribadita sussistenza dell’aggravante mafiosa.
Violazione degli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen. e motivazione apparente sul punto del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
2.4. Ricorso COGNOME
Con un unico articolato motivo si deducono vizi congiunti di motivazione in ordine alla corretta interpretazione delle dichiarazioni rese in dibattimento dal teste d’accusa COGNOME in rapporto al contenuto delle intercettazioni telefoniche eseguite.
Con motivi aggiunti, la difesa del ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla mancata applicazione della pena nel minimo edittale ed all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, duplicando il contenuto del secondo motivo di appello.
2.5. Ricorso COGNOME
Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alle censure contenute nell’atto di appello riguardanti il profilo del non avere commesso il fatto di reato (art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990) contestato al capo B5).
Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alle censure contenute nell’atto di appello riguardanti l’insussistenza stessa del reato (art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990) contestato al capo B5).
Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alle censure contenute nell’atto di appello riguardanti l’omessa diversa qualificazione giuridica della condotta ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alle censure contenute nell’atto di appello riguardanti il trattamento sanzionatorio applicato, in particolare con riferimento alla mancata esclusione della recidiva ed all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME vanno rigettati perché infondati; i residui ricorsi vanno dichiarati inammissibili perché manifestamente infondati.
2. Ricorso COGNOME
L’impugnazione proposta da detto ricorrente consiste unicamente nel dedurre una questione di legittimità costituzionale del cbn. disp. degli artt. 599-bis e 605
cod. proc. pen., per asserita violazione dei principi di ragionevolezza (art. :3 Cost.) del giusto processo (art. 111 Cost.) e di effettività della funzione difensiva (art. 24 Cost.).
La giurisprudenza, non univoca ma prevalente, di questa Corte di legittimità sostiene in effetti il principio che il ricorso per cassazione può avere ad oggetto anche soltanto l’eccezione d’illegittimità costituzionale di una disposizione applicata dal giudice di merito, dal momento che comporta comunque una censura di violazione di legge riferita alla sentenza impugnata, sempre che sussista la rilevanza della questione, nel senso che dall’invocata dichiarazione d’illegittimità consegua una pronuncia favorevole per il ricorrente in termini d’annullamento, anche parziale, della sentenza (v. per tutte Sez. 6, n. 31683 del 31/03/2008, P.M. in proc. Reucci, Rv. 240780).
La questione dedotta è, pertanto, astrattamente ammissibile ma deve ritenersi manifestamente infondata, poiché basata su una improponibile equiparazione tra situazioni processuali tra loro profondamente diverse, che fa sì che, nel giudizio di primo grado in cui non v’è stata ancora pronuncia, l’immotivato dissenso del Pubblico Ministero verso la richiesta di applicazione pena formulata dall’imputato possa essere sindacata dal giudice che, se reputa la richiesta fondata, ‘pronuncia immediatamente sentenza’ (art. 448 comma 1, prima parte, cod. proc pen.), nello stesso modo potendosi, anzi, pronunciare anche il giudice di secondo grado (ult. parte del comma 1).
Diverso è evidentemente il caso del concordato in appello, che consegue a una rinuncia parziale o totale dei motivi d’impugnazione avverso la sentenza di primo grado, con cui il giudice ha già affermato la responsabilità dell’imputato con la conseguente determinazione del trattamento sanzionatorio.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato manifestamente infondato.
3. Ricorso COGNOME
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente ripropone la doglianza, già posta alla attenzione della Corte di appello, concernente la mancata riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 per omesso riconoscimento del fatto di lieve entità.
La doglianza risulta infondata.
La Corte di appello ha fornito in realtà una motivazione, sicuramente sintetica, ma congrua in rapporto all’imputazione (capo B9), della ritenuta impossibilità di ravvisare un fatto di lieve entità nella continuata cessione di imprecisati quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish e marijuana nel Borgo Antico di Bari, sottolineando che le condotte in addebito sono state
commesse in un contesto malavitoso organizzato, facente riferimento ad un determinato RAGIONE_SOCIALE mafioso (RAGIONE_SOCIALE).
Al netto della laconicità della statuizione, la Corte di merito ha fatto, dunque, corretta applicazione di un principio che da tempo trova espressione nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
E’ stato, infatti, da tempo stabilito che in tema di stupefacenti, ai fini de riconoscimento del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine. Ne consegue che non può ritenersi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione di una ‘piazza di spaccio’, che è connotata da un’articolata organizzazione di supporto e difesa ed assicura uno stabile commercio di sostanza stupefacente (v. fra molte Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Lombino, Rv. 272529; Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017, COGNOME, Rv. 270397).
E ancora, che è legittimo il mancato riconoscimento del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel caso in cui l’attività di spaccio è svolta in un contesto organizzato le cui caratteristiche, quali il controllo di un’apprezzabile zona del territorio, l’impiego di mezzi funzionali a tale scopo, l’accertata reiterazione delle condotte e la disponibilità di tipologie differenziate di sostanze, pur se in quantitativi non rilevanti, sono sintomatiche della capacità dell’autore del reato di diffondere in modo sistematico lo stupefacente. (Sez. 2n. 5869 del 28/11/2023, dep. 2024, Costa, Rv. 285997)
Risulta, invece, non consentito oltre che in ogni caso manifestamente infondato il secondo motivo di censura, che investe la discrezionalità del potere del giudice di merito determinare il trattamento sanzionatorio, nella specie dettagliatamente (v. pag. 49 sent.) e congruamente argomentato, senza allegare alcun profilo di illegalità della pena o di esercizio di quel potere in maniera arbitrario e limitandosi, tra l’altro, a definire esorbitante l’aumento di sei mesi applicato in continuazione per le plurime cessioni di sostanze droganti leggere (hashish e marijuana)
4. Ricorso COGNOME
L’impugnazione di detta ricorrente va complessivamente rigettata perché infondata.
Il primo motivo d’impugnazione investe la ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di estorsione contestato alla ricorrente al capo D5, ma la censura appare declinata essenzialmente in linea di fatto e come tale non risulta proponibile.
L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha, infatti, un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e al., Rv. 207944)
La ricorrente sostiene in particolare di non avere ricevuto alcuna dazione di denaro dalle persone offese successivamente al proprio coinvolgimento nella vicenda, secondo l’accusa, in supporto del coniuge COGNOME COGNOME, separatamente giudicato (pagg. 116, 117, 118 sent. impugnata).
A prescindere dalla improponibilità, va poi osservato che la Corte di appello ha fornito adeguata risposta alla medesima doglianza formulata con il terzo motivo di appello, sì da poter considerare infondata la censura anche sotto il profilo della asserita ravvisabilità di vizi nella motivazione
Trattando, infatti, della mancata riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 393 cod. pen. (terzo motivo di ricorso e secondo motivo di appello) la Corte di merito ha precisato che oltre a chiedere per sé, l’imputata richiese dalle parti offese la consegna ‘del tutto’, facendo con ciò riferimento anche agli interessi pattuiti tra le stesse ed il marito, alludendo, inoltre, al concreto timore che per tale fatto quegli potesse essere ristretto in carcere.
Si è al cospetto, pertanto, di una valutazione del tutto plausibile delle dichiarazioni rese da una delle persone offese (NOME COGNOME) riguardo al profilo che, fermo restando l’elemento della minaccia, sussistesse piena consapevolezza da parte dell’imputata della natura usuraria degli interessi sul debito su di lui e sulla moglie gravante.
Non è compito del giudice di legittimità, infatti, sostituire il propri ragionamento probatorio a quello del giudice di merito sulla scorta di allegazioni difensive di segno opposto, ancorché altrettanto persuasive rispetto alla prospettazione accusatoria accolta in sentenza.
Quanto al quarto motivo di doglianza, riferito alle dichiarazioni rese in udienza dalla teste COGNOME, non può che ribadirsi quanto ora affermato: il giudizio di legittimità non è la sede processuale deputata alla valutazione degli elementi di prova, trattandosi di operazione demandata in via esclusiva ai giudici dei gradi di merito del giudizio.
Improponibile, infine è anche il quinto motivo di ricorso riferito ad una pretesa violazione degli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen. per motivazione apparente sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La motivazione è stata, infatti, debitamente articolata sul punto dalla Corte di merito a pag. 55 della sentenza sulla base di elementi di valutazione effettivamente emersi dal vaglio dibattimentale (gravità del fatto connotato da un sostanziale ‘accerchiamento’ della famiglia COGNOME debitrice delle somme di denaro ricevute in prestito a tassi usurari) e come tale essa si sottrae a critiche sotto il profilo logico-argomentativo.
5. Ricorso COGNOME
Il ricorso di tale imputato va dichiarato inammissibile, fondandosi su di un unico, sebbene articolato, motivo con cui si chiede sostanzialmente al giudice di legittimità di sottoporre a revisione la valutazione delle dichiarazioni rese in dibattimento dal teste d’accusa COGNOME in rapporto al contenuto delle intercettazioni telefoniche eseguite.
Non è un caso, del resto, che l’atto di impugnazione consta della trascrizione di un amplissimo brano delle dichiarazioni rese da detto testimone, di quella di un colloquio intercettato e intercorso tra lo stesso ed il ricorrente ed infine delle dichiarazioni rese da un ulteriore teste (COGNOME, indici concreti del sostanziale travisamento del ruolo svolto dal giudice di legittimità da parte del ricorrente.
Con motivi aggiunti, la difesa del ricorrente ha dedotto, inoltre, violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla mancata applicazione della pena nel minimo edittale ed all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, duplicando così il contenuto del secondo motivo di appello.
Ora a parte l’aspecificità del motivo, consistente nella mera reiterazione della stessa doglianza già dedotta in appello e puntualmente disattesa dalla corte di merito (tra molte v. Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710), esso appare anche palesemente destituito di fondamento, avendo i giudici di appello reso ampia motivazione circa le ragioni del denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ad un soggetto che, per quanto incensurato e in età avanzata, aveva comunque contravvenuto ai doveri di lealtà e probità inerenti alla carica pubblica rivestita (v. pag. 61 sent.).
6. Ricorso COGNOME
Il ricorso di detto ricorrente va dichiarato inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di doglianza, nonostante vengano evocati i consueti vizi di legge e di motivazione, essa consiste in una generalizzata critica alla statuizione della sentenza che ne ha riaffermato la condanna in ordine al delitto contestatogli al capo B5, per quanto accompagnata dal riferimento a condivisibili principi giurisprudenziali che non fanno, per ciò stesso, mutare la natura intrinseca dell’impugnazione.
La Corte di appello ha, infatti, congruamente argomentato in ordine alle modalità con cui il ricorrente, in regime di detenzione alternativa al carcere, aveva pilotato la consegna a due suoi accoliti del quantitativo suddetto, sequestrato, però, dalla Polizia Giudiziaria ai poco esperti detentori materiali.
Non possono, pertanto, che ribadirsi i principi stabiliti con la citata sentenza delle Sezioni Unite n. 6402/1997, COGNOME e altri, che ha fissato una volta per tutte, in accordo con il dettato normativo, i confini tra l’impugnazione di legittimità e quella di competenza dei giudici di merito del giudizio.
Altrettanto è a dirsi del secondo motivo di ricorso, che addirittura contesta la sussistenza stessa del reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, sotto il profilo del mancato accertamento della sostanza drogante.
In questo caso viene evocato, in maniera del tutto inconferente, il vizio di travisamento della prova che, a stretto rigore, consiste nella introduzione nella motivazione di una informazione rilevante che non esiste nel processo o nella omissione della valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (tra molte v. Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499)
Nella specie, per contro, la Corte di appello ha valorizzato, da un lato, l’accertamento contenuto nella sentenza, divenuta irrevocabile (art. 238-bis cod. proc. pen.) con cui i due corrieri (NOME COGNOME e NOME COGNOME) sono stati condannati per il trasporto del consistente quantitativo di hashish, procedimento nel quale è stata accertata la natura della sostanza e dall’altro, le dichiarazioni dello stesso COGNOME, sentito a dibattimento come teste della difesa, che ha confermato l’acquisto a credito della sostanza, successivamente corrispondendo il prezzo di 3.000,00 a dimostrazione dell’effettiva capacità drogante posseduta dalla stessa.
La difesa mostra, del tutto legittimamente, di non condividere l’interpretazione di tali elementi probatori, ma quel che non può fare è di evocare il vizio del loro travisamento.
Anche il terzo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato, le ragioni essendo le stesse di quelle riguardanti il secondo motivo di censura.
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Manifestamento infondato se non addirittura improponibile è, infine, il quarto motivo di ricorso, con cui vengono reiterati il quinto ed il sesto motivo di appello relativi alla mancata esclusione della contestata recidiva ed all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, su entrambi i punti essendovi congrua motivazione (v. pag. 46 sent.) fondata rispettivamente sulla valorizzazione dei precedenti specifici dell’imputato e della ‘significativa gravità’ della condotta, commessa oltre tutto mentre l’imputato si trovava già in regime di detenzione, ancorché sottoposto a misura alternativa al carcere.
P. Q. M.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 29 ottobre 2024
Il consiglie estensore