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Ricorso per cassazione: i limiti del riesame dei fatti

Un soggetto in custodia cautelare per furto in abitazione ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la misura e chiedendo una diversa qualificazione del reato in truffa. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso per cassazione inammissibile, ribadendo di non poter riesaminare i fatti del processo. Ha inoltre confermato la valutazione del Tribunale sul concreto pericolo di reiterazione del reato, anche tramite strumenti informatici, ritenendo inadeguata la misura degli arresti domiciliari.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per cassazione: quando i motivi sono inammissibili

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9402 del 2025, offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso per cassazione in materia di misure cautelari. La pronuncia sottolinea una regola fondamentale del nostro sistema processuale: la Suprema Corte è giudice di legittimità, non di merito. Ciò significa che non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.

I fatti del processo

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per il reato di furto in abitazione. La difesa aveva richiesto la sostituzione della misura con gli arresti domiciliari, ma sia la Corte d’Appello che il Tribunale del Riesame avevano rigettato l’istanza. Di conseguenza, l’indagato proponeva ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. Errata qualificazione giuridica del fatto: Secondo la difesa, la condotta non configurava un furto, bensì una truffa, poiché il trasferimento del bene sarebbe avvenuto con il consenso della vittima, seppur viziato da un inganno.
2. Errata valutazione delle esigenze cautelari: La difesa contestava la valutazione del Tribunale circa la concretezza e l’attualità del pericolo di reiterazione del reato, in particolare l’ipotesi che l’indagato potesse commettere altri reati tramite internet.

La decisione della Corte sul ricorso per cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Questa decisione si fonda su principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, che delimitano in modo netto il perimetro del giudizio di cassazione, specialmente in ambito cautelare.

Limiti al sindacato di legittimità e motivi di fatto

La Corte ha innanzitutto ribadito che il controllo di legittimità non consente una nuova valutazione degli elementi materiali e fattuali del caso. Presentare un ricorso chiedendo alla Cassazione di riconsiderare gli indizi o le caratteristiche soggettive dell’indagato equivale a chiedere un giudizio di merito, che è precluso alla Suprema Corte. I motivi del ricorrente sono stati giudicati generici e versati in fatto, poiché miravano a ottenere un inammissibile riesame della ricostruzione operata dal Tribunale.

Inoltre, il primo motivo, relativo alla riqualificazione del reato da furto a truffa, è stato ritenuto inedito. La questione, infatti, non era mai stata sollevata nel precedente grado di giudizio (l’appello cautelare), dove la discussione si era concentrata unicamente sulle esigenze cautelari. Introdurre un argomento completamente nuovo in sede di Cassazione costituisce un ulteriore motivo di inammissibilità.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha analizzato anche il secondo motivo, relativo al pericolo di reiterazione del reato, giudicandolo parimenti inammissibile. Le censure sono state definite generiche e assertive.

Il Tribunale del Riesame, secondo la Cassazione, aveva fornito una motivazione adeguata e priva di vizi logici. La decisione di mantenere la custodia in carcere non si basava solo sulla gravità del fatto, ma anche sui recenti precedenti penali dell’indagato, indicativi di una personalità “spregiudicata e refrattaria al rispetto delle regole”.

La Corte ha inoltre validato la valutazione del Tribunale riguardo all’inadeguatezza degli arresti domiciliari. Poiché il reato era stato commesso utilizzando strumenti di comunicazione a distanza, il Tribunale ha correttamente ritenuto che gli arresti domiciliari non avrebbero impedito all’indagato di commettere altri reati attraverso l’uso di dispositivi elettronici e strumenti informatici. Questa valutazione è stata considerata logica e coerente, escludendo la possibilità di sostituire la misura carceraria con una meno afflittiva.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce due principi cardine della procedura penale:

1. Il ricorso per cassazione non è una terza istanza di merito. I motivi devono denunciare vizi di legge o illogicità manifeste della motivazione, non proporre una diversa lettura dei fatti.
2. La valutazione delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza della misura è un apprezzamento di merito del giudice. Se la motivazione è logica e completa, non è censurabile in sede di legittimità.

In conclusione, la decisione di inammissibilità e la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria servono da monito sull’importanza di formulare i ricorsi nel rispetto dei limiti imposti dal codice di rito, evitando di trasformare il giudizio di legittimità in un tentativo di revisione fattuale del caso.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo in materia cautelare?
No, la Corte di Cassazione svolge un controllo di legittimità. Questo significa che può verificare solo la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, ma non può riesaminare le prove o ricostruire i fatti, attività che spetta ai giudici di merito.

Perché un motivo di ricorso può essere dichiarato ‘inedito’ e quindi inammissibile?
Un motivo è considerato ‘inedito’ se solleva una questione giuridica o fattuale per la prima volta in Cassazione, senza averla mai sottoposta al giudice del grado precedente (in questo caso, il Tribunale del Riesame). Il processo è strutturato per gradi e non è consentito ‘saltare’ un grado di giudizio su una specifica doglianza.

Può il rischio di commettere reati tramite internet giustificare il mantenimento della custodia in carcere?
Sì. Secondo la sentenza, se il reato è stato commesso con strumenti di comunicazione a distanza, è logico ritenere che gli arresti domiciliari non siano una misura sufficiente a impedire la reiterazione del reato, poiché l’indagato potrebbe continuare a usare dispositivi elettronici e informatici. Questa valutazione rientra nell’apprezzamento del giudice di merito ed è legittima se motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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