Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30582 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30582 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/02/2024 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOMENOME il quale si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendon l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 06/02/2024, il Tribunale di Catania, in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza del 20/12/2023 con la quale il G.i.p. del Tribunale di Catania aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME per essere questi gravemente indiziato dei delitti di: 1) partecipazione all’associazione di tipo mafioso esistente nel quartier catanese di Picanello e facente parte della famiglia RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria; 2) tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME di cui al capo 4) dell’imputazione provvisoria; 3) partecipazione a
un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al cap 12) dell’imputazione provvisoria.
L’indicata misura cautelare era stata disposta anche in relazione al delitto di detenzione illecita di sostanze stupefacenti di cui al capo 13) dell’imputazione provvisoria. Con riguardo a quest’ultimo delitto, peraltro, lo COGNOME, nella propria richiesta di riesame – come è stato indicato dal Tribunale di Catania alla pag. 1 della sua ordinanza -, diversamente che per gli altri tre delitti sopra menzionati, non aveva contestato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Avverso tale ordinanza del 06/02/2024 del Tribunale di Catania, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e «alla concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione del reato».
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Catania avrebbe confermato l’applicazione, nei suoi confronti, della custodia cautelare in carcere «sulla scorta di un quadro indiziario insufficiente e, certamente, suscettibile di differente interpretazione».
Quanto ai gravi indizi di colpevolezza del delitto di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria, il ricorrente premette che, nella propria richiesta di riesame, aveva evidenziato come l’ordinanza applicativa della misura avesse valorizzato, quale indizio a suo carico, la titolarità, in capo a sua madre, di una delle basi logistiche dell’associazione, segnatamente, la stalla ubicata in Catania, alla INDIRIZZO. Tanto premesso, lo COGNOME contesta l’affermazione del Tribunale di Catania secondo cui, «ontrariamente a quanto asserito dal difensore, in nessuno degli atti di indagine veniva attribuita la proprietà di tale immobile allo COGNOME, sicché risultano del tutt irrilevanti le produzioni difensive sul punto» (pag. 3 dell’ordinanza impugnata), ribadendo come l’ordinanza “genetica”, a pag. 41, tra gli indizi idonei ad avvalorare la sua intraneità al sodalizio mafioso, avesse valorizzato proprio l’indicata titolarità in capo alla propria madre, della suindicata stalla di INDIRIZZO.
Quanto ai gravi indizi di colpevolezza del delitto di tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME di cui al capo 4) dell’imputazione provvisoria, il ricorrente lamenta che il Tribunale di Catania non avrebbe fornito una motivazione «sufficiente», in quanto si sarebbe limitato «a riportare le doglianze poste nell’ordinanza emessa dal Gip senza null’altro aggiungere». Ciò a fronte delle contestazioni che erano state avanzate nella richiesta di riesame, con le quali era stato dedotto come i raccolti elementi indiziari non avrebbero permesso di «delineare, in modo accurato ed univoco, l’operato dello RAGIONE_SOCIALE, né, tantomeno, l’apprezzabile contributo che lo
stesso avrebbe apportato» in termini di tentativo punibile. In particolare: a) le due intercettate conversazioni tra presenti avrebbero fatto emergere soltanto «la consapevolezza che lo COGNOME avesse in merito alla sussistenza di questa somma di denaro richiesta da altro coindagato»; b) la persona offesa NOME COGNOME si era limitato a riconoscere lo COGNOME «quale uno dei due uomini che erano andati a pressarlo presso il proprio esercizio commerciale».
Il ricorrente avanza poi «medesime censure» con riguardo alla sussistenza di gravi indizi dell’utilizzo, nella commissione del delitto di tentata estorsione di cu al capo 4) dell’imputazione provvisoria, del cosiddetto metodo mafioso. Nel richiamare alcune pronunce della Corte di cassazione sul tema di tale circostanza aggravante, il ricorrente deduce che «el caso di specie non può ritenersi sussistente l’ipotesi generica di possibili “appartenenze a clan o famiglie mafiose” alle spalle dello RAGIONE_SOCIALE senza verificare se tale ipotesi sia accompagnata da elementi specifici. Tuttavia, anche su tale punto lo stesso Collegio non ha fornito una motivazione sufficiente essendosi limitato a riportare le doglianze poste nell’ordinanza emessa dal AVV_NOTAIO senza null’altro aggiungere, così contravvenendo al proprio obbligo motivazionale».
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo non è consentito.
Anzitutto, il motivo è del tutto generico nella parte in cui, con esso, si lamenta il vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata in punto di gravi indizi di colpevolezza del delitto di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 12) dell’imputazione provvisoria, atteso che, con riguardo a tale aspetto, il ricorrente non ha prospettato alcuna specifica doglianza, omettendo del tutto di confrontarsi con l’ampia motivazione che, al riguardo, è stata fornita dal Tribunale di Catania (pagg. 5-8 dell’ordinanza impugnata).
Anche la parte del motivo con la quale si lamenta il vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata in punto di gravi indizi di colpevolezza del delitto di partecipazione all’associazione di tipo mafioso esistente nel quartiere catanese di Picanello si deve ritenere aspecifica e, perciò, non consentita.
Con riguardo alla motivazione di tale gravità indiziaria, il ricorrente si è limitato a contestare la valenza dell’elemento costituito dalla titolarità, in capo all propria madre, dell’immobile che costituiva una delle basi logistiche dell’associazione criminosa.
Tale elemento, tuttavia, non è stato in alcun modo valorizzato dal Tribunale di Catania – il quale, ai sensi del secondo periodo del comma 9 dell’art. 309 cod. proc. pen., ben poteva confermare l’impugnata ordinanza “genetica” per ragioni
diverse da quelle indicate nella motivazione della stessa -, con la conseguenza che il motivo, contestando la valenza di un elemento che non ha assunto alcun effettivo rilievo nella motivazione dell’ordinanza impugnata, risulta, come si è anticipato, aspecifico e, perciò, non consentito.
Per il resto, il ricorrente ha del tutto omesso di confrontarsi con l’ampia motivazione che, prescindendo del tutto dal menzionato contestato elemento, è stata fornita dal Tribunale di Catania in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del delitto di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso di cui al capo 1) dell’imputazione provvisoria (pagg. 1-4 dell’ordinanza impugnata).
4. Quanto alla parte del motivo con la quale si lamenta il vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata in punto di gravi indizi di colpevolezza del delitto di tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME di cui al capo 4) dell’imputazione provvisoria, si deve preliminarmente rammentare che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno da tempo chiarito che, «n tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad ess ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi d diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828-01).
Tale orientamento, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi e al quale intende, perciò, dare continuità, è stato ribadito anche in pronunce più recenti di questa Corte (tra le altre: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 25546001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012-01).
Da ciò consegue che «’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, n l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanz e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito)» (tra le altre: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01).
Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve osservare che il Tribunale di Catania ha ritenuto la gravità indiziaria, a carico dello COGNOME, del delitto di tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME di cui al capo 4) dell’imputazione provvisoria sulla base dei seguenti elementi: a) le dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME, il quale aveva riconosciuto lo COGNOME come uno dei due soggetti che si erano presentati presso il suo esercizio commerciale di ferramenta e che gli avevano intimato, con modi perentori, di pagare la somma che gli veniva indebitamente richiesta da parte di NOME COGNOME, ingenerando, in lui, un forte senso di paura, tanto da licenziare lo COGNOME e l’altro soggetto rassicurandoli che avrebbe provveduto a pagare; b) il contenuto di alcune intercettate conversazioni, dal quale risultava l’interessamento, nella vicenda, di NOME COGNOME e l’incarico, attribuito anche allo COGNOME, di «pressare» la vittima COGNOME COGNOME pagasse la somma che gli veniva indebitamente richiesta.
Tale motivazione del compimento, da parte dello COGNOME, di atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere il COGNOME a pagare la somma che gli veniva indebitamente richiesta dal COGNOME, risulta priva di illogicità, tanto meno manifeste, e, a fronte di ciò, le doglianze del ricorrente, nell’investire formalmente la motivazione dell’ordinanza impugnata, appaiono in realtà risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione delle indicate circostanze già esaminate dal giudice di merito, il che, come si è detto, non è possibile fare in sede di legittimità.
Quanto alla censura che investe la motivazione dell’ordinanza impugnata relativamente alla sussistenza di gravi indizi dell’utilizzo, nella commissione del delitto di tentata estorsione di cui al capo 4) dell’imputazione provvisoria, del metodo mafioso, essa è inammissibile per carenza di interesse.
Poiché all’indagato sono contestati i delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. e d cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, i quali rientrano tra quelli indic nell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., trova senz’altro applicazione il terzo periodo del comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen. Inoltre, quanto ai termini di durata della custodia cautelare, i suddetti due delitti rientrano tra quelli di c all’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., richiamato dall’art. 303, comma 1, lett. a), n. 3), dello stesso codice.
Pertanto, l’eventuale accoglimento del ricorso, con la (sempre eventuale) conseguente eliminazione della contestata circostanza aggravante, non produrrebbe alcun concreto effetto sul dispositivo dell’ordinanza impugnata.
Il Collegio ritiene in proposito di ribadire il principio secondo cui non è ammissibile il ricorso per cassazione contro un provvedimento de libertate rivolto a contestare la configurabilità di determinate circostanze aggravanti quando dall’esistenza o no di tali circostanze non dipende, per l’assenza di ripercussioni
sull’an o sul quomodo della cautela, la legittimità della disposta misura cautelare (Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha evidenziato come l’eventuale insussistenza della contestata circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. non avrebbe determinato né l’applicazione di un diverso criterio di scelta della misura, essendo comunque applicabile il terzo periodo del comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., né una riduzione dei termini di durata massima della misura cautelare. In senso analogo: Sez. 3, n. 36731 del 17/04/2014, Inzerra, Rv. 260256-01).
L’unico motivo è, infine, del tutto generico là dove, con esso, si lamenta il vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata con riguardo «alla concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione del reato», attesa l’assoluta genericità di tal doglianza, la quale, all’evidenza, non si può ritenere costituire una specifica censura all’ampia motivazione che, in punto di esigenze cautelari, è stata fornita dal Tribunale di Catania (pagg. 8-9 dell’ordinanza impugnata).
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 31/05/2024.