Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7472 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7472 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nata a Faenza il 17/07/1990
avverso l’ordinanza del 09/09/2024 del Tribunale di Ravenna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOMECOGNOME il quale, dopo un’ampia discussione, si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il G.i.p. del Tribunale di Ravenna, nel convalidare il sequestro di urgenza del 16/07/2024 del pubblico ministero presso lo stesso Tribunale, con decreto del 02/08/2024, riqualificati i fatti contestati come truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche, disponeva il sequestro preventivo, nei confronti di NOME COGNOME del prodotto e del profitto delle suddette truffe per un importo, rispettivamente, di € 816.895,07 e di € 494.324,19.
Avverso tale decreto del 02/08/2024 del G.i.p. del Tribunale di Ravenna, proponeva richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., NOME COGNOME in proprio e nella qualità di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE
Con ordinanza del 09/09/2024, il Tribunale di Ravenna, investito di tale richiesta di riesame, la accoglieva parzialmente, rideterminando la somma da sottoporre a sequestro in € 754.573,85 e confermando, nel resto, il decreto impugnato.
Avverso tale ordinanza del 09/09/2024 del Tribunale di Ravenna, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’«inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale».
La ricorrente espone anzitutto: 1) le «conclusioni» cui era pervenuto il pubblico ministero presso il Tribunale di Ravenna nel decreto di sequestro preventivo di urgenza, con le relative «osservazioni difensive (contenute in memoria e ribadite in udienza)»; 2) le «critiche» nei confronti del provvedimento del G.i.p. del Tribunale di Ravenna di convalida di tale decreto di sequestro preventivo di urgenza, in particolare, che il G.i.p.: si era «affida» a circola dell’Agenzia delle entrate, ancorché esse non contengano norme di diritto; non aveva distinto, nell’ambito dei vari capi d’imputazione, quelli che concernevano lavori svolti prima e quelli che concernevano lavori svolti dopo il cosiddetto “Decreto antifrode” (d.l. 11 novembre 2021, n. 157); aveva erroneamente ritenuto l’impossibilità di detrarre il corrispettivo percepito dal generai contractor basandosi su una circolare che riguardava, da un lato, il cosiddetto “Superbonus” e non il cosiddetto “Bonus facciate” e, dall’altro lato, il compenso dell’amministratore del condominio; aveva fondato le sue convinzioni in tema di fumus commissi delicti e di periculum in mora «non solo su una errata conoscenza delle norme ma, soprattutto, su indagini svolte dalla PG effettuate con approssimazione e imprecisione».
Ciò esposto, la ricorrente, nel premettere che il Tribunale di Ravenna avrebbe considerato RAGIONE_SOCIALE non un generai contractor ma un imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 cod. civ., contesta le argomentazioni dello stesso Tribunale secondo cui era «risulta che il preteso guadagno solo in sporadici casi è stato contenuto ad un valore compatibile con il ricarico che può ragionevolmente attendersi dall’impresa per le lavorazioni commissionate» e secondo cui il fatto che RAGIONE_SOCIALE avesse «differenziato la propria condotta a seconda dei contesti», cioè dei vari cantieri, si doveva ritenere «indice
sintomatico della natura fraudolenta del comportamento tenuto in alcune situazioni nelle quali la sproporzione evidenziata appare espressiva di una condotta truffaldina fondata sull’ingiustificato incremento del costo dell’intervento».
La ricorrente contesta che, così argomentando, il Tribunale di Ravenna avrebbe illegittimamente ritenuto che il mero conseguimento di un profitto superiore a quello «che può ragionevolmente attendersi», cioè di un extraprofitto, debba necessariamente essere sintomatico di una condotta fraudolenta, nonostante RAGIONE_SOCIALE avesse redatto i propri preventivi sulla base dei prezzari indicati dalla legge e avesse effettivamente svolto i lavori che le erano stati richiesti dai committenti.
Ciò, per di più, senza che il Tribunale di Ravenna abbia indicato né in quali casi, cioè in relazione a quali cantieri, la realizzazione di un extraprofitto sarebbe stata dimostrativa di una condotta truffaldina – nonostante, come già detto, il rispetto dei prezziari e l’effettivo svolgimento dei lavori -, né sulla base di qual parametri abbia operato la propria valutazione circa la «ragionevolezza» del profitto.
Il Tribunale di Ravenna non avrebbe inoltre tenuto in considerazione il fatto che, in 5 casi su 28, «il ricavo non vi è stato», «quasi che debba essere un autentico automatismo della liceità delle condotte».
Nel rappresentare che l’extraprofitto sarebbe in realtà dipeso da varie situazioni di mercato, la ricorrente lamenta che il Tribunale di Ravenna avrebbe pertanto ritenuto la sussistenza del fumus commissi delicti sulla base del sospetto generato dall’indizio costituito dall’esistenza di un profitto che non sarebbe stato ragionevole attendersi, indizio che, tuttavia, sarebbe privo dei necessari requisiti dì gravità, precisione e concordanza. Lo stesso Tribunale avrebbe così finito col «punire» un’impresa che aveva «osservato tutte le norme previste per il cd Bonus edilizio», il cui scopo era proprio quello di creare le condizioni, nel difficile period post-pandemico, che consentissero alle imprese di realizzare proprio quei profitti che si finiva, invece, col pretendere di punire.
Dopo avere rappresentato di avere indicato al Tribunale di Ravenna, per tutti i 28 cantieri, le entrate e le uscite, e di avere altresì allegato le fattur individuando i fornitori e i materiali, la ricorrente deduce che ciò avrebbe «riporta la vicenda nell’alveo di operazioni edili e contabili corrette o, al più perfettibili», con la certa esclusione del fumus commissi delicti e, «i conseguenza», del periculum in mora, ragion per cui l’ordinanza impugnata sarebbe viziata dall’erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce: «ancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal
provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame (art. 606, comma 1, lett. b) , c.p.p.)».
La COGNOME lamenta che, nell’ordinanza impugnata, sarebbe «pressoché inesistente l’indicazione delle condotte fraudolente che hanno determinato la violazione delle norme che regolano la concessione del cd. “Bonus facciate”», considerato che in nessun caso sarebbero stati contestati «il superamento dei limiti» o la mancata osservanza dei prezzari e che in nessun caso sarebbe stato indicato un edificio non ristrutturato, atteso che, con riguardo a quelli che erano stati contestati dal G.i.p. del Tribunale di Ravenna, la propria difesa aveva depositato la documentazione che o comprovava l’avvenuta esecuzione della ristrutturazione o attestava le ragioni della mancata esecuzione di essa.
Il Tribunale di Ravenna si sarebbe limitato a ricalcolare, in modo, peraltro, errato, i profitti di RAGIONE_SOCIALE, «ritenendoli inoltre irragionevoli», e no avrebbe neppure chiarito perché il G.i.p. dello stesso Tribunale avesse «preferi» applicare non delle norme ma delle circolari dell’Agenzia delle entrate.
2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce: «ancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame (art. 606, comma 1, lett. b) , c.p.p.)», «in merito al calcolo della somma da sottoporre a sequestro».
La COGNOME contesta che il Tribunale di Ravenna – nel rilevare che «la somma dei valori riportati in ciascuno dei fascicoli predisposti dall’istante non corrisponde, tuttavia, al valore riportato nel prospetto riassuntivo redatto e depositato congiuntamente alle produzioni difensive»-, ha ricalcolato la somma dei profitti conseguiti da RAGIONE_SOCIALE in € 754.373,85 (in luogo di € 528.633,98 che erano stati indicati nel menzionato prospetto), senza tuttavia chiarire come sia pervenuta a tale ricalcolato risultato, che la ricorrente afferma di non essere riuscita a ottenere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché è proposto per motivi non consentiti.
2. Si deve preliminarmente rilevare che la ricorrente, a fronte di un riesame che essa aveva proposto sia come persona fisica sia nella qualità di legale rappresentante pro tempore di RAGIONE_SOCIALE, nel proporre il ricorso per cassazione esclusivamente come persona fisica, ha omesso di delimitare le proprie doglianze ai profili relativi alla sua posizione, appunto, come persona fisica.
3. Ciò rilevato, si deve rammentare che, come è stato da tempo chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692-01).
Tale principio è stato successivamente riaffermato da numerosissime pronunce delle sezioni semplici della Corte di cassazione, tra le quali le massimate: Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608-01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01.
È stato altresì precisato, sempre dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di «violazione di legge» per cui soltanto può essere proposto ricorso a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) del comma 1 dell’art. 606 dello stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01. Successivamente, nello stesso senso: Sez. 5, n. 8434 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236255-01; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, COGNOME, Rv. 242916-01; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119-01).
3. Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, il primo motivo non è consentito perché, con esso, la ricorrente asserisce sì di lamentare «l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale», cioè una violazione di legge, ma, in realtà, da un lato, neppure indica quale specifica norma di legge assume essere stata violata e, dall’altro lato, nell’esporre in cosa si sarebbe concretizzata la suddetta presunta inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, contesta in realtà non una violazione di legge ma l’argomentazione del Tribunale di Ravenna, cioè un vizio motivazionale.
L’unica norma di legge che è stata indicata dalla ricorrente, l’art. 2082 cod. civ., non risulta essere stata invocata in sede di riesame, come emerge dal non contestato riepilogo dei relativi motivi che figura alla pag. 3 dell’ordinanza impugnata, con la conseguente preclusione della possibilità di lamentarne la
violazione per la prima volta in sede di ricorso per cassazione (Sez. 3, n. 35494 del 17/06/2021, Razzauti, Rv. 281852-01).
In ogni caso, il suddetto art. 2082 cod. civ. appare non pertinente, atteso che il Tribunale di Ravenna non nega né che la ricorrente avesse agito in veste di imprenditrice né, diversamente da quanto sembra ritenere la COGNOME, che l’attività imprenditoriale debba essere diretta a produrre un lucro per l’imprenditore (cioè allo scopo che, ancorché non espressamente indicato nell’art. 2082 cod. civ., costituisce tuttavia, secondo la maggioranza della dottrina, requisito necessario dell’impresa), né fa, infine, alcuna affermazione che si possa ritenere in contrasto con lo stesso art. 2082 cod. civ.
Il secondo e il terzo motivo non sono consentiti perché sono aspecifici.
La Corte di cassazione ha affermato il principio, che il Collegio, condividendolo, intende ribadire, secondo cui il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., ha l’onere – sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profil la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendosi attribuire al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i moti aventi a oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei e incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento a un medesimo segmento della motivazione (Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518-02; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263541-01).
Tale onere del ricorrente si deve ritenere ancor più pregnante nei casi in cui, trattandosi, come nella specie, di ricorso per cassazione contro un’ordinanza emessa in materia di sequestro preventivo, il ricorso per cassazione è ammesso per soltanto uno dei tre indicati vizi motivazionali, cioè, come si è rammentato, per il vizio di mancanza della motivazione.
Ciò detto, si deve rilevare che la COGNOME, sia con il secondo motivo sia con il terzo motivo, ha denunciato in modo cumulativo, promiscuo e perplesso tutti e tre i vizi di «ancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione», senza considerare che né il secondo né il terzo di tali vizi era suscettibile di scrutinio a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., e senza indicare sotto quale aspetto la motivazione si dovesse ritenere, specificamente, mancante, con la conseguenza che i due motivi si devono ritenere non consentiti in quanto aspecifici.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 23/01/2025.