Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18408 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18408 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Castelfranci il 09/01/1940
avverso la sentenza del 08/11/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; ricorso trattato in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis, cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 08/11/2024 la Corte di appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, in riforma della sentenza del Tribunale di Avellino del 13/05/2015, che aveva condannato NOME COGNOME per plurimi episodi di usura, dichiarava non doversi procedere in relazione alle condotte poste in essere nell’anno 2005, essendosi i reati estinti per prescrizione e confermava nel resto la sentenza impugnata.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per illogicità e carenza della motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilità. Rileva che la responsabilità del ricorrente Ł stata ritenuta sulla base delle dichiarazioni delle persone offese, che non solo non sono supportate da riscontri, ma sono altresì intrinsecamente inattendibili; che, invero, Ł stato necessario l’accompagnamento coattivo, affinchØ le persone offese deponessero in dibattimento e che, comunque, Ł intervenuta rinuncia alla costituzione di parte civile; che l’indagine Ł risultata particolarmente carente, sol che si consideri che non risultano svolte indagini bancarie sui conti dell’imputato, nØ Ł stata eseguita perquisizione di sorta nei suoi confronti; che la prova Ł costituita da titoli esibiti in copia, che non sono mai stati in possesso del De
NOME, nØ mai da questi negoziati; che la Corte territoriale erra laddove afferma che la difesa nulla avrebbe obiettato sui conteggi eseguiti dal consulente tecnico del pubblico ministero.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce l’errata riduzione della pena, evidenziando che anche l’episodio contestato al punto 6) sarebbe prescritto. Osserva sul punto che il fatto per il quale Ł stata confermata la responsabilità Ł concatenato a quelli pregressi e che in relazione ad esso non sarebbe configurabile la circostanza aggravante del fatto commesso in danno di persona che svolgeva attività imprenditoriale e che si trovava in stato di bisogno, tenuto conto che nel 2006 la società facente capo al NOME non era piø operativa, essendo cessata addirittura nel 2004; che, dunque, in assenza della contestata circostanza aggravante il reato Ł prescritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł inammissibile.
1.1. Il primo motivo non Ł consentito, atteso che Ł costituito da doglianze in fatto, che appaiono prevalentemente finalizzate a richiedere al giudice di legittimità una diversa ed alternativa lettura degli elementi di prova, a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato che nel complesso non presenta evidenti criticità logiche e/o giuridiche; senza tacere del fatto che la censura reitera le medesime doglianze avanzate nei motivi di appello, ritenute infondate con motivazione completa ed esaustiva dai giudici di secondo grado.
Orbene, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, Ł precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Corte di cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale Ł quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione. In altri termini, eccede dai limiti di cognizione del giudice di legittimità ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso a detto giudice Ł circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (cfr., Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME Rv. 284556 – 01; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può, quindi, estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Dunque, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito ed il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di
motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica.
Orbene, la sentenza impugnata – che in relazione alla ricostruzione dei fatti ascritti all’imputato ed alla sua dichiarazione di responsabilità costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280654 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01) – ha evidenziato come i motivi di appello fossero generici e poco puntuali; come, al contrario, le dichiarazioni di NOME COGNOME, lineari, chiare, coerenti e dettagliate, fossero riscontrate da quelle del di lui padre NOME; come i calcoli effettuati dal consulente tecnico del pubblico ministero indicassero in modo inequivoco il tasso d’usura praticato (fatta eccezione per le prime operazioni di prestito); come la mancata presentazione all’udienza dibattimentale, che ne aveva determinato l’accompagnamento coattivo, non incidesse sulla credibilità delle dichiarazioni, denotando anzi l’assenza di qualsivoglia intento calunniatorio e come il non aver coltivato la costituzione di parte civile dimostrasse solo il venir meno dell’interesse economico; come le novazioni del debito successive alla cessazione dell’attività imprenditoriale del Romano, avvenuta nel 2004, trovassero spiegazione nella situazione di difficoltà economica conseguente allo stato di disoccupazione della persona offesa; come i titoli non risultassero inseriti nel circuito bancario in quanto, ogni volta che venivano rinegoziati, quelli originari venivano restituiti alla persona offesa; come, dall’appello, non emergesse una puntuale contestazione dei calcoli effettuati dal consulente del pubblico ministero (circostanza questa verificata anche dal Collegio).
Ebbene, a fronte di questa articolata trama motivazionale, il motivo si limita a reiterare pedissequamente le stesse doglianze già avanzate con l’appello, senza argomentare criticamente in ordine ad eventuali illogicità del percorso argomentativo seguito nel provvedimento impugnato. Dunque, Ł inammissibile anche sotto questo ulteriore profilo, risultando aspecifico.
1.2. Il secondo motivo Ł inammissibile sotto diversi aspetti.
In particolare, si osserva, sotto un primo profilo, che la circostanza aggravante di cui all’art. 644, comma quinto, n. 3, cod. pen. Ł stata esclusa dai giudici di merito, per cui risulta eccentrica l’affermazione secondo la quale «la predetta contestazione e, quindi, l’aumento della pena fino alla metà, non poteva essere contestato essendo venuto meno lo stato di bisogno» (pag. 10 del ricorso).
Quanto alla circostanza aggravante di cui all’art. 644, comma quinto, n. 4, cod. pen., la doglianza Ł generica, attingendo il profilo sanzionatorio, piuttosto che la configurabilità della aggravante, per cui si appalesa non specifico, in violazione del disposto di cui all’art. 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. In ogni caso, l’assunto difensivo Ł destituito di fondamento, atteso che la genesi del rapporto usuraio trova fondamento proprio nella attività imprenditoriale che la persona offesa aveva deciso di intraprendere e che Ł stata svolta fino al 2004, quando, proprio in ragione dei continui esborsi per gli interessi, che avevano acuito le difficoltà economiche in cui versava il Romano, era stata chiusa.
Dunque, le novazioni dei titoli successive alla cessazione dell’attività imprenditoriale erano state dettate dalla necessità di estinguere il debito contratto per lo svolgimento dell’attività commerciale.
In conclusione, considerata la circostanza aggravante, il reato de quo, tenuto conto della data di commissione del fatto, non risulta ancora prescritto, venendo la prescrizione a maturazione (considerati gli eventi sospensivi della prescrizione, pari a complessivi anni uno, mesi tre e giorni
ventidue) solo in data 21/08/2026.
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/05/2025.
Il Presidente NOME COGNOME