Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46806 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46806 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOMENOME COGNOME nato a ARPAIA il 13/01/1968
avverso l’ordinanza del 02/07/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/sette le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del 2 luglio 2024 del Tribunale di sorveglianza di Napoli, che ha rigettato l’appello ex art. 680 cod. proc. pen. avverso il provvedimento del 4 ottobre 2023, con il quale il Tribunale di Benevento aveva applicato nei suoi confronti la misura di sicurezza della libertà vigilata con prescrizioni sanitarie, in ordine ai reati di resistenza a un pubblico ufficiale è lesione personale, dopo aver accertato la sua incapacità di intendere e di volere.
Il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale, perché il Tribunale di sorveglianza avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la pericolosità sociale di COGNOME pur non essendovi elementi in forza dei quali poter evidenziare l’attualità della sua pericolosità sociale.
Secondo il ricorrente, infatti, il Tribunale di sorveglianza non avrebbe valutato attentamente i fatti sintomatici della condotta abituale e del tenore di vita dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché generico.
1.1. Giova in diritto premettere che, tra i requisiti del ricorso per cassazione, vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze. In tal senso, rientra nella ipotesi della genericità del ricorso, non solo la aspecificità dei motivi stessi, ma anche la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione (Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005, COGNOME, Rv. 230751), che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230634).
Nel caso di specie, in particolare, la contestazione dell’impugnato provvedimento contenuta in ricorso evoca i principi generali sulla valutazione della pericolosità, ma appare priva di riferimenti specifici a singoli punti della
motivazione del provvedimento impugnato, che viene solo complessivamente criticato asserendo che “risulta del tutto inesistente o quantomeno non adeguatamente valutata dal Tribunale di Napoli, il quale non discerne dai fatti già valutati un autonomo convincimento’.
1.2. In tema di misure di sicurezza personali, il giudizio di pericolosità sociale del condannato deve essere effettuato sulla scorta dei parametri valutativi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 50164 del 16/05/2017, Carrara, Rv. 271404) e, quindi, deve tener conto della gravità del reato, della capacità a delinquere del reo oltre che della recidiva (Sez. 3, n. 29407 del 17/04/2013, L., Rv. 256900).
Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che, dalla lettura degli atti del fascicolo, era emerso che la condizione psicopatologica di COGNOME determinava una condizione di pericolosità sociale, anche considerando tutti i profili delinquenziali accertati nel giudizio di cognizione con la sentenza definitiva di condanna.
Per tali ragioni, il giudice di merito in modo ineccepibile ha ritenuto corretto applicare la misura di sicurezza non detentiva anche al fine di fornire al prevenuto un sostegno terapeutico.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in , favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/11/2024