Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9096 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9096 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME COGNOME nato a Gugliano in Campania il 04/06/2001 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME nato a Napoli il 03/04/1998 rappresentato e difeso dall’avv.
NOME COGNOME, di fiducia
COGNOME NOME nato a Napoli il 03/01/2002 rappresentato e difeso dall’avv.
NOME COGNOME, di fiducia
COGNOME NOME nato a Napoli il 04/11/1995 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza del 23/02/2024 della Corte di appello di Napoli, terza sezione penale
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen. udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte con le quali il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi; preso atto che i rispettivi difensori dei ricorrenti non hanno depositato conclusioni scritte
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 17/01/2023 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, per quanto qui rileva, così statuiva:
su concorde richiesta delle parti avanzata ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. rideterminava la pena inflitta a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in anni 7 di reclusione ed euro 8.000,00 di multa ciascuno;
confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME NOME per i delitti di estorsione consumata e tentata, di ricettazione e detenzione di due armi comuni da sparo, tutti aggravati anche dal metodo mafioso e per la contravvenzione di cui all’art. 697 cod. pen., riduceva la pena inflitta ad anni 8 di reclusione ed euro 10.000,00 dì multa.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso in cassazione gli imputati indicati in epigrafe, tramite i rispettivi difensori fiduciari.
Nell’interesse di COGNOME Cesare è articolato un unico motivo con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale ed illegalità della pena finale, come rideterminata a seguito di concordato.
Rileva il ricorrente che la Corte di Appello, nel determinare il quantum operato ai sensi dell’art. 81 cpv cod. pen., ha aumentato la sanzione pecuniaria in misura non proporzionale all’aumento della pena detentiva.
Nell’interesse di COGNOME NOME è articolato un unico motivo con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., il difetto motivazione non avendo la Corte di appello argomentato in ordine alla assenza di elementi che avrebbero potuto condurre al proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. ed al quantum degli aumenti operati per la ritenuta recidiva e le ulteriori aggravanti contestate.
Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati articolati due motivi.
5.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione agli artt. 133 e 62 bis cod. pen. e l’assenza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento di attenuanti generiche che avrebbero dovuto essere concesse con giudizio di prevalenza sulle ritenute aggravanti.
5.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. violazione di legge in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen. e mancanza di motivazione in ordine agli aumenti di pena operati a titolo di continuazione.
Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati articolati tre motivi.
6.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione all’art. 629, comma secondo, cod. pen.
La Corte territoriale ha disatteso il motivo di appello con il quale la difesa chiedeva l’esclusione della continuazione interna con riferimento agli addebiti di estorsione consumata e tentata e l’assorbimento del capo B) nella contestazione sub A) trattandosi di un unico episodio estorsivo, protrattosi dal febbraio al luglio 2022 nei confronti di COGNOME e COGNOME.
Rileva il ricorrente che nel caso di specie le rinnovate condotte minacciose afferivano alla medesima pretesa estorsiva ad opera sempre degli stessi agenti ed in danno delle stesse persone offese.
Le plurime dazioni di denaro corrisposte nel tempo ( capo A) rappresentano un’unica condotta predatoria, esternalizzata con più intimidazioni e le azioni contestate al capo B) costituiscono una mera prosecuzione dell’illecito sub capo A).
6.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione all’art. 416 bis.1 cod. pen., con particolare riferimento ai capi di imputazione C) e D).
La Corte di Appello ha confermato la configurazione delle aggravanti del metodo mafioso e della agevolazione mafiosa in relazione a tutti i reati attribuiti all’imputato.
Rileva il ricorrente – richiamando i principi affermati sul tema dalla giurisprudenza di legittimità – che l’aggravante agevolativa dell’attività mafiosa ha natura soggettiva e si applica al concorrente solo se da lui conosciuta e che quella del metodo mafioso richiede una condotta specificamente evocativa della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo, non potendo essere desunta unicamente dalla peculiare carica di intimidazione connessa allo strumento prescelto dal reo.
Nel caso di specie, COGNOME non era soggetto intraneo all’organizzazione mafiosa.
6.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione all’art. 62 bis cod. pen.
La Corte di appello, con motivazione anodina, ha negato le circostanze attenuanti generiche con un richiamo generico agli indici di cui all’art. 133 cod. pen. e alla assenza di elementi positivamente apprezzabili, così obliterando le dichiarazioni confessorie rese dall’imputato, lo stato di incensuratezza e il reale contributo offerto alla realizzazione dei reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso proposto nell’interesse di COGNOME Cesare va dichiarato inammissibile in quanto relativo a motivi non deducibili in sede di legittimità.
Il ricorrente si duole del fatto che, in sede di rideterminazione della pena a seguito di concordato ex art. art. 599 bis cod. proc. pen., la Corte di Appello, con riferimento al quantum operato ai sensi dell’art. 81 cod. pen., ha aumentato la sanzione pecuniaria in misura non proporzionale all’aumento stabilito per la componente detentiva.
Va ricordato il consolidato orientamento di legittimità – che qui si ribadiscesecondo cui è inammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi a vizi attinenti all determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta (cfr, tra le altre, Sez. 1, n. 50710 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285655; Sez. 6, n. 23614 del 18/5/2022, COGNOME, Rv. 283284; Sez. 3, n. 19983 del 09/06/2020, COGNOME, Rv. 279504; Sez.2, n. 22002 del 10/4/2019, COGNOME, Rv. 276102). Si è, in particolare, osservato che con la proposta di concordato le parti non sono vincolate a criteri di determinazione della pena e sono libere di determinare l’entità della sanzione finale da sottoporre al giudice che, una volta accolta, non può più essere contestata, se non nei casi di pena illegale.
Nel caso di specie la Corte di appello, all’esito della doverosa valutazione di congruità (pag. 12 della sentenza impugnata) ha recepito l’accordo che prevedeva, a titolo di continuazione, un aumento della pena pecuniaria disallineato, sotto il profilo della proporzionalità, rispetto a quello stabilito per la componente detentiva. Tale profilo non ha affatto determinato l’irrogazione di una pena illegale, ipotesi questa ravvisabile solo quando sia inflitta una sanzione rientrante nel limite edittale ovvero diversa da prevista dal legislatore.
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Anche il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME va dichiarato inammissibile in quanto anch’esso relativo a motivi non deducibili in sede di legittimità.
Il ricorrente lamenta il difetto di motivazione della sentenza sia in ordine alla assenza di elementi che avrebbero potuto condurre al proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. che con riferimento al calcolo degli aumenti operati per la ritenuta recidiva e le ulteriori aggravanti contestate.
Quanto al primo profilo di doglianza, va rammentato che è consentito il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. per motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative ai motivi rinunciati e alla omessa motivazione circa il mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata a quelli non oggetto di rinuncia (Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, COGNOME, Rv. 272853; Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969; Sez. 4 n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME Rv. 276102; Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019- dep. 2020, Rv. 278170; Sez. 2, del 16/11/2023 n. 50062, COGNOME, Rv. 285619).
Quanto al secondo profilo di doglianza, nel caso in cui il giudice di appello abbia raccolto le richieste concordemente formulate dalle parti, queste ultime non possono dedurre in sede di legittimità difetto di motivazione (Sez. 3 n. 51557 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285628-02).
Peraltro, nel caso di specie la Corte territoriale ha assolto al proprio onere motivazionale avendo indicato in sentenza ( pagina 12), con specifico richiamo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., che la pena concordata era da reputarsi congrua ed adeguatamente modulata rispetto alla entità dei fatti e alla personalità degli imputati.
Analoga declaratoria di inammissibilità va pronunciata con riferimento al ricorso proposto nell’interesse di COGNOME Alessandro che pure attiene a motivi non deducibili in sede di legittimità dolendosi del mancato riconoscimento di attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle ritenute aggravanti e della entità degli aumenti di pena a titolo di continuazione con correlato vizio motivazionale.
In tema di patteggiamento in appello, la richiesta concordata tra accusa e difesa in ordine alla misura finale della pena è vincolante nella sua integralità, senza che il giudice possa addivenire a una pena diversa, in quanto l’accoglimento
della richiesta postula la condivisione della qualificazione giuridica data al fatto di ogni altra circostanza influente sul calcolo della pena, compresa la ricorrenza o meno di circostanze attenuanti (Sez. 6, n. 4665 del 20/11/2019, COGNOME, Rv. 278114).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rideterminato la pena in misura perfettamente aderente alla volontà espressa dalle parti che, come riportato in sentenza (pag.8), nell’accordo non avevano contemplato il riconoscimento di attenuanti generiche e ha assolto al proprio onere motivazionale avendo indicato (pagina 12), con specifico richiamo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., che la pena concordata – anche con riferimento alla “misura della continuazione” stabilita nell’accordo – – era da reputarsi congrua ed adeguatamente modulata rispetto alla entità dei fatti e alla personalità degli imputati.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME è solo in parte fondato.
4.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge per mancata esclusione della continuazione interna al capo A) ed omesso assorbimento del capo B) nel capo A) rappresentando che la vicenda in esame ha ad oggetto un unico episodio estorsivo, protrattosi dal febbraio al luglio 2022, nei confronti delle medesime persone offesa.
4.1.1 n profilo di doglianza relativo alla esclusione della continuazione interna al capo A) è manifestamente infondato in quanto generico ed aspecifico.
In tema di estorsione, le diverse condotte di violenza o minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonome ipotesi di reato, consumate o tentate, unificabili con il vincolo della continuazione quando, singolarmente considerate, in relazione alle circostanze del caso concreto, alle modalità di realizzazione e all’elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità, dovendosi invece ravvisare un unico reato allorchè i molteplici atti di minaccia costituiscano singoli momenti di un’unica azione (Sez. 2, n. 41167 del 2/07 /2013, COGNOME, in motiv.; Sez. 2, n. 7555 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 258543; Sez. 2 n. 37297 del 28/06/2019, C., Rv. 277513)
Nel caso di specie, la Corte di appello si è espressamente uniformata a tale principio, sviluppando – a fondamento della ravvisata pluralità di condotte estorsive contestate al capo A) di imputazione, ritenute unificate dal vincolo della continuazione – un apparato argomentativo esauriente, logico e non contraddittorio (come tale esente da vizi rilevabili in questa sede) che valorizza proprio le circostanze del caso concreto, le modalità di realizzazione e l’elemento temporale (pagg. 12 e 13). Più in particolare, ha ritenuto, in piena aderenza alle risultanze probatorie, che le richieste estorsive, dipanatesi da febbraio a maggio
2022 e riconducibili anche alla persona di COGNOME, erano state tre, autonome e distinte tra loro, nonchè progressivamente sempre più gravose ed accompagnate ogni volta da azioni intimidatorie per indurre le vittime ad adempiere.
La prima era consistita nella pretesa di una somma di denaro pari a 3.000,00 euro al 30 di ogni mese quale esborso necessario per consentire alle persone offese la regolare prosecuzione della loro attività commerciale di distribuzione di pane presso gli esercizi commerciali operanti in taluni comuni napoletani da consegnare agli emissari del clan COGNOME avente il controllo su tali territori per le ” mesate alle mogli dei carcerati”; la seconda aveva avuto ad oggetto, a titolo di rincaro della prima, un aumento della “tangente” mensile ad euro 5.000,00; la terza aveva riguardato un ulteriore esborso, in aggiunta al già preteso rateo fisso, di 10 centesimi per ogni chilo di pane venduto (che si era tradotto in ulteriori 2 mila euro ogni mese).
La Corte territoriale ha quindi correttamente affermato che nel caso di specie, il dato temporale della condotta protratta per vari mesi, la pluralità delle richiest per importi diversi con corrispondenti condotte minatorie per indurre le vittime ad adempiere, il variare nel tempo dell’importo preteso progressivamente rincarato, costituivano elementi configuranti non un unico reato ma condotte distinte finalizzate ad esborsi diversi, tutte idonee ad integrare, singolarmente, una fattispecie estorsiva, sia pure in attuazione di un unitario disegno criminoso.
Con tali puntuali argomentazioni il ricorrente non si confronta limitandosi genericamente a riproporre pari pari la tesi della medesima pretesa estorsiva dedotta nell’atto di appello, senza confutare le puntuali circostanze valorizzate dalla Corte di merito.
4.1.2. Il profilo di doglianza relativo, invece, al mancato assorbimento nell’addebito sub a) delle condotte estorsive tentate contestate al capo B) è meritevole di accoglimento.
Su tale specifico punto, oggetto anche di motivo in appello, la Corte territoriale non si è espressa, neppure implicitamente, avendo esaminato solo la censura difensiva relativa alla mancata esclusione della continuazione interna al capo A). In ordine ai fatti di cui al capo B) -rispetto ai quali la difesa aveva rappresentat che si trattava di condotte di mera prosecuzione dì quelle contestate sub A)- non vi sono argomentazioni se non, nell’ambito della ricostruzione dell’intera vicenda, un fugace riferimento, di tipo solo fattuale, all’episodio del 5 luglio nel quale a una delle due persone offese (che aveva offerto un acconto di soli 700,00 euro sulla somma dovuta pari a 2000,00 euro) era stata con minaccia intimata di corrispondere l’intero importo in un’ unica soluzione.
Con riferimento a tale profilo, la sentenza va dunque annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che si pronuncerà
in ordine alla richiesta difensiva di assorbimento delle condotte di cui al capo B) nell’addebito sub A).
4.2. E’ invece manifestamente infondato, in quanto generico, il secondo motivo di ricorso relativo alla mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. con riferimento a tutti i reati contestati.
La Corte territoriale ha puntualmente affrontato il tema (pag. 14 e 15 della sentenza impugnata) configurando l’aggravante in questione nella forma del cd. metodo mafioso anche a carico dell’imputato COGNOME
Ha osservato il collegio che – prescindere dalla sua partecipazione o meno al clan mafioso COGNOME operativo ove le persone offese esercitavano la propria attività commerciale e, in denuncia, avevano riferito di sentirsi vittime dì pretese estorsive proprio da parte di tale associazione – COGNOME aveva di persona realizzato le condotte estorsive con modalità concretamente evocative della provenienza delle richieste di esborso da quel sodalizio criminale, in particolare aveva esplicitato non solo il “comando” sul territorio ma anche la necessità per coloro che esercitavano la distribuzione di pane ad esercizi commerciali di pagare “le mesate alle mogli dei carcerati” per “stare tranquill” e cioè poter proseguire la propria attività .
Si tratta di un costrutto argomentativo del tutto in linea con i principi detta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di aggravante del c.d. metodo mafioso che non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione costituita di tal fatta, né che l’agente ne faccia parte, essendo proprio sufficiente, ai fini dell sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso e cioè che l’agente si comporti da mafioso oppure ostenti una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e conseguente intimidazione propria della organizzazione di tal fatta e ponga quindi la vittima in una condizione di soggezione ulteriore ben più penetrante, energica ed efficace rispetto a quella solitamente derivata dall’agire di un delinquente comune, richiamando alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipica del vincolo associativo dandogli la ragionevole percezione della provenienza della attività delittuosa da un gruppo criminale organizzato di tipo mafioso e di trovarsi a dovere fronteggiare le istanze prevaricatrici dello stesso (Sez. 2, Sentenza n. 16053 del 25/03/2015, COGNOME, Rv. 263525; Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, Bruzzese, Rv 277033; Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, COGNOME, Rv.; Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019dep. 03/03/2020, COGNOME, in motivazione; Sez. 2, n. 32564 del 14/04/2023, COGNOME, Rv. 285018; Sez. 2, n. 20320 del 15/05/2024, COGNOME, Rv. 286426; Sez. 2, n. 28061 del 22/05/2024, COGNOME, Rv. 286723).
Con tale apparato motivazionale, aderente al compendio processuale, il ricorrente non si confronta limitandosi genericamente ad affermare che negli atti non vi sarebbe traccia della appartenenza dell’imputato a consorteria mafiosa e non esplicitando alcunchè di specifico in ordine alla non configurabilità della aggravante con riferimento alle imputazioni diverse dalle estorsioni.
4.3. Parimenti inammissibile è il terzo motivo di ricorso relativo al diniego di circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello ha fornito risposta in ordine al mancato riconoscimento di detta diminuente evidenziando l’assenza di elementi positivamente valutabili in tal senso e l’irrilevanza delle dichiarazioni ammissive rese in sede di interrogatorio consistite nel mero riconoscimento di circostanze che erano state già altrimenti accertate (pag. 16 della sentenza impugnata).
In tal modo si è uniformata al consolidato orientamento di legittimità (che qui si ribadisce) per il quale l’applicazione della diminuente prevista dall’art. 62 bis cod. pen.- oggetto di un giudizio di fatto- non costituisce un diritto conseguente alla assenza di elementi negativi connotanti la personalità dell’imputato, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; soprattutto dopo la modifica dell’art. 62-bis cod. pen. operata con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modif. dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini dell concessione della diminuente, non rileva, di per sé solo, lo stato di incensuratezza dell’imputato, è sufficiente che il giudice di merito si limiti a dar conto della assenz di elementi o circostanze positive a tale fine (Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De COGNOME, Rv. 281590; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv 283489; Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, Ventimiglia, non mass.).
Alla inammissibilità dei ricorsi proposti da COGNOME Cesare, COGNOME NOME e COGNOME NOME consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila, ciascuno, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Vincenzo limitatamente al capo B) con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo
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giudizio su detto capo. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile l’affermazione di responsabilità con riguardo ai capi A), C) e D). Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 08/01/2025.