Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 28919 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28919 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PIEDIMONTE MATESE il 10/01/1983
avverso la sentenza del 29/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Benevento, con cui è stato ritenuto responsabile del reato di furto pluriaggravato e condannato alla pena ritenuta di giustizia;
Premesso che il ricorso è strutturato in maniera singolare, riportando inizialmente l’enunciazione dei motivi, cui però non è seguita una suddivisione in paragrafi in ragione della riferibilità delle doglianze a questo a quell’altro capo o punto della decisione impugnata.
Ritenuto che la doglianza che attiene alla mancata derubricazione in tentativo e quella che concerne le aggravanti sono inammissibili in quanto aspecifiche: il ricorrente ha infatti mancato di adeguarsi al disposto di cui all’art. 581 cod. proc. pen., omettendo di esplicitare il ragionamento sulla cui base muoveva censure alla decisione avversata. A questo riguardo, va ricordato che Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME Rv. 268823, ha ribadito un principio già noto nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato. In effetti, il ricorrente si limita a enunciare la propria tesi, senza tuttavia dialogare criticamente con la motivazione della sentenza impugnata, in cui risultano adeguatamente esposte le ragioni per cui l’azione criminosa si è caratterizzata per la sottrazione e l’impossessamento del maltolto e quelle per le quali il bene sottratto doveva considerarsi esposto per necessità alla pubblica fede e per cui vi era minorata difesa, al di là della sola collocazione temporale della condotta (si veda il riferimento al luogo isolato in cui è stata commessa l’azione illecita). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ritenuto che analogo giudizio di aspecificità deve muoversi alla censura concernente il mancato proscioglimento ex art. 131 bis cod. pen., meramente riproduttiva di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito. Nell’escludere la riconducibilità della concreta fattispecie nell’alveo dell’inoffensività delineato dall’art. 131-bis cod. pen., la Corte territoriale ha valorizzato, con rilievo assorbente e non contrastante
con i canoni delineati dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 13681 del
25/02/2016, COGNOME, Rv. 266590), le peculiari modalità esecutive del fatto, indicative di spregiudicatezza e capacità criminale, oltre al non esiguo quantitativo
di materiale ferroso sottratto.
– Ritenuto che la censura che attiene al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è, del pari, aspecifica
nella misura in cui, così come era accaduto con l’atto di appello, la parte non si avvede che le circostanze ex art. 62
bis cod. pen. erano state già concesse in
primo grado e, comunque, non si confronta con le argomentazioni della Corte di appello circa la quantificazione della pena, peraltro al di sotto della media edittale.
– che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25/06/2025.