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Ricorso pena concordata: limiti all’impugnazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro una pena concordata in appello ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. La Corte stabilisce che, analogamente al patteggiamento, l’impugnazione per la determinazione della pena è possibile solo se questa è illegale, cosa non avvenuta nel caso di specie dove era stato applicato il minimo edittale.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Pena Concordata: Quando è Possibile Impugnare in Cassazione?

L’istituto della pena concordata in appello, previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per velocizzare la definizione dei processi. Tuttavia, quali sono i limiti all’impugnazione di una sentenza che ratifica tale accordo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini del ricorso pena concordata, stabilendo che non è possibile contestare la misura della pena se non in un caso specifico: la sua illegalità. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Dalla Contraffazione all’Appello

Il caso trae origine da una condanna per il reato di contraffazione e alterazione di marchi e segni distintivi. In secondo grado, davanti alla Corte di Appello, le parti raggiungevano un accordo sulla pena. In riforma della sentenza di primo grado, e con il riconoscimento delle attenuanti generiche come prevalenti, veniva applicata una pena di sei mesi di reclusione e 5.000 euro di multa. Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di violazione di legge nella determinazione della sanzione.

La Decisione della Cassazione e il Funzionamento del Ricorso Pena Concordata

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile con una procedura semplificata. La decisione si fonda su un principio cardine: un ricorso pena concordata non può rimettere in discussione la quantificazione della pena che le stesse parti hanno liberamente pattuito, a meno che non vi sia una palese illegalità.

L’Analogia con il Patteggiamento

La Corte richiama un principio già consolidato dalle Sezioni Unite in materia di patteggiamento (l’applicazione della pena su richiesta delle parti in primo grado). Anche in quel contesto, la possibilità di impugnare la sentenza per motivi legati alla pena è estremamente limitata. L’accordo tra accusa e difesa sulla sanzione preclude, di fatto, una successiva contestazione sulla sua congruità, poiché si presume che le parti abbiano valutato e accettato quella specifica quantificazione.

La Verifica della Pena: il Limite del “Contra Legem”

L’unico varco per un’impugnazione efficace è dimostrare che la pena concordata sia contra legem, ovvero illegale. Ciò si verifica, ad esempio, quando la sanzione applicata è inferiore al minimo edittale previsto dalla legge per quel reato, o superiore al massimo, o di specie diversa. Nel caso esaminato, il reato di contraffazione (art. 473 c.p.) prevede una pena detentiva minima di sei mesi. Poiché la pena concordata era esattamente di sei mesi di reclusione, essa corrispondeva al minimo legale e, pertanto, non poteva in alcun modo essere considerata contra legem.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte sono chiare e lineari. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato meramente assertivo e privo della necessaria specificità. L’imputato non ha fornito argomentazioni valide per spiegare perché la pena, pur essendo stata concordata e corrispondente al minimo di legge, avrebbe dovuto essere determinata in misura ancora più favorevole (in mitius). In secondo luogo, e in via dirimente, la natura stessa dell’accordo processuale ex art. 599-bis c.p.p. esclude la possibilità per le parti di ‘ripensarci’ sulla congruità della pena. La scelta sanzionatoria è stata condivisa e fatta propria dal giudice d’appello, cristallizzando così un punto che non può essere oggetto di un riesame nel giudizio di legittimità, se non per i profili di palese illegalità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chi si approccia agli istituti premiali del processo penale. L’accordo sulla pena, sia in primo grado con il patteggiamento sia in appello con la procedura ex art. 599-bis c.p.p., comporta una sostanziale rinuncia a contestare nel merito la quantificazione della sanzione. La possibilità di un ricorso pena concordata in Cassazione è un’ipotesi eccezionale, limitata alla sola censura di una pena applicata in violazione dei limiti edittali o delle norme che ne disciplinano la specie. Pertanto, la scelta di aderire a un accordo sulla pena deve essere ponderata attentamente, con la consapevolezza dei suoi effetti preclusivi sulle successive impugnazioni.

È sempre possibile impugnare in Cassazione una sentenza d’appello con pena concordata?
No, non è sempre possibile. L’impugnazione è limitata e non può riguardare la misura della pena che è stata oggetto di accordo tra le parti, a meno che tale pena non sia stata determinata in violazione di legge (contra legem).

Cosa significa che una pena è determinata ‘contra legem’?
Significa che la pena applicata è illegale perché non rispetta i limiti stabiliti dalla legge per quel reato (ad esempio, è inferiore al minimo o superiore al massimo) oppure è di una specie diversa da quella prevista. Nel caso di specie, la pena corrispondeva al minimo edittale, quindi non era contra legem.

Perché la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in questo caso specifico?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due motivi principali: primo, perché contestava la misura di una pena liberamente concordata e non illegale; secondo, perché era generico e non specificava le ragioni per cui la pena avrebbe dovuto essere più mite, mancando dei requisiti di specificità richiesti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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