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Ricorso patteggiamento: spese carcere e limiti appello

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20479/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso patteggiamento, chiarendo due punti fondamentali. Primo, le spese di mantenimento in carcere sono sempre dovute, anche in caso di patteggiamento con pena inferiore a due anni, poiché non rientrano nelle spese processuali. Secondo, i criteri di calcolo della pena concordata non sono appellabili, salvo che la sanzione finale risulti illegale. La decisione rafforza i rigidi limiti all’impugnazione di sentenze emesse a seguito di accordo tra le parti.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Spese di Mantenimento in Carcere e Limiti all’Appello

Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle aree più delicate della procedura penale, dove i diritti di impugnazione dell’imputato sono significativamente limitati. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 20479 del 2024, offre chiarimenti cruciali su due aspetti spesso controversi: la condanna al pagamento delle spese di mantenimento in carcere e la possibilità di contestare i criteri di calcolo della pena concordata. Analizziamo la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal G.I.P. del Tribunale di Torino. L’imputato, oltre alla pena concordata, veniva condannato al pagamento delle spese processuali, delle spese di custodia cautelare e, punto cruciale, delle spese di mantenimento in carcere.

La difesa dell’imputato proponeva ricorso per cassazione, sollevando due principali motivi di doglianza:
1. Mancanza di motivazione sulla condanna al pagamento delle spese di mantenimento in carcere, ritenuta ingiustificata.
2. Violazione di legge e vizio di motivazione riguardo ai criteri utilizzati per determinare la pena base e gli aumenti per i reati unificati in continuazione.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione chiedeva che il ricorso fosse dichiarato inammissibile.

L’Analisi della Corte e il ricorso patteggiamento

La Corte di Cassazione ha accolto la richiesta del Procuratore Generale, dichiarando il ricorso inammissibile per ragioni distinte relative ai due motivi presentati.

Il Primo Motivo: le Spese di Mantenimento in Carcere

La Corte ha definito il primo motivo manifestamente infondato. Pur riconoscendo che la condanna alle spese di mantenimento in carcere è una statuizione estranea all’accordo di patteggiamento e quindi, in linea di principio, appellabile, ha chiarito un punto di diritto fondamentale.

Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, le spese di mantenimento in carcere non rientrano tra le “spese del procedimento” che, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., non sono dovute quando la pena patteggiata non supera i due anni (soli o congiunti a pena pecuniaria). Si tratta di due categorie di costi distinte: le spese del procedimento sono quelle legate all’attività giudiziaria, mentre quelle di mantenimento sono un’obbligazione di rimborso verso lo Stato per il sostentamento del detenuto.

Di conseguenza, la condanna al pagamento di tali spese era legittima e non richiedeva una motivazione specifica, essendo una conseguenza automatica della detenzione. Il ricorso su questo punto era, quindi, infondato.

Il Secondo Motivo del Ricorso Patteggiamento: la Determinazione della Pena

Il secondo motivo, relativo al calcolo della pena, è stato giudicato non deducibile, ovvero inammissibile per sua stessa natura. La Corte ha richiamato l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che limita strettamente i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

Il controllo sulla congruità della pena, sulla sua determinazione e sulla valutazione delle circostanze è una valutazione di merito che si considera “coperta” dall’accordo stesso tra imputato e pubblico ministero. L’imputato, accettando il patteggiamento, rinuncia a contestare tali aspetti. L’unico caso in cui il calcolo della pena può essere contestato è quando la sanzione finale risulta illegale, ad esempio perché supera i limiti massimi previsti dalla legge o è di un genere diverso da quello prescritto. Poiché la difesa non aveva allegato alcuna illegalità della pena, il motivo non poteva essere esaminato dalla Corte.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su una rigorosa interpretazione delle norme che regolano il patteggiamento e i suoi mezzi di impugnazione. La ratio è quella di garantire la stabilità delle sentenze frutto di un accordo, evitando che il rito speciale si trasformi in una via per ottenere sconti di pena per poi rimettere tutto in discussione in sede di impugnazione. La volontà dell’imputato, espressa nell’accordo, preclude la possibilità di contestare successivamente la valutazione discrezionale sulla quantificazione della pena. Al contempo, la Corte ribadisce la distinzione netta tra le diverse tipologie di spese a carico del condannato, confermando un principio ormai consolidato e di rilevante impatto pratico.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce due principi fondamentali per chi affronta un procedimento penale con il rito del patteggiamento:
1. L’accordo sulla pena non esonera dal pagamento delle spese di mantenimento in carcere, che sono sempre dovute in caso di detenzione.
2. Il ricorso patteggiamento non può essere utilizzato per contestare la congruità o il calcolo della pena concordata, a meno che non si configuri un’ipotesi di palese illegalità della sanzione.

Questa decisione serve da monito per le difese: la scelta del patteggiamento deve essere ponderata attentamente, con la piena consapevolezza dei suoi effetti preclusivi in termini di impugnazione. Una volta raggiunto l’accordo e ratificato dal giudice, gli spazi per un riesame sono estremamente limitati.

Chi patteggia una pena deve pagare anche le spese di mantenimento in carcere?
Sì. Secondo la sentenza, le spese di mantenimento in carcere sono sempre dovute perché non rientrano nelle “spese del procedimento” da cui l’imputato è esonerato, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., quando la pena patteggiata non supera i due anni.

È possibile contestare l’entità della pena concordata in un ricorso patteggiamento?
No, di regola non è possibile. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. limita l’appello. La modalità di calcolo della pena (pena base e aumenti) non può essere oggetto di ricorso, a meno che la sanzione finale risulti illegale, ad esempio perché superiore ai limiti edittali o di specie diversa da quella prevista dalla legge.

Cosa accade se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato a pagare le spese del procedimento di cassazione. Inoltre, se la Corte ravvisa una colpa nella proposizione del ricorso (perché basato su motivi palesemente infondati o non consentiti), può condannarlo anche al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, come accaduto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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