Ricorso Patteggiamento: I Limiti dell’Impugnazione per Errore sulla Qualificazione del Fatto
Il ricorso patteggiamento
è uno strumento delicato, con limiti ben precisi. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce quando l’appello basato su un’errata qualificazione giuridica del fatto viene dichiarato inammissibile, specialmente in materia di stupefacenti. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere la portata dell’impugnazione dopo aver concordato la pena.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato, tramite applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto patteggiamento), per plurime violazioni della legge sugli stupefacenti. La contestazione più grave riguardava la detenzione di un quantitativo significativo di sostanze, nello specifico 150 grammi di crack e 28 grammi di cocaina. L’imputato ha deciso di impugnare la sentenza di patteggiamento davanti alla Corte di Cassazione, sollevando due questioni principali: in primo luogo, un’erronea qualificazione giuridica dei fatti, sostenendo che non tutti rientrassero nell’ipotesi di reato contestata; in secondo luogo, una violazione di legge riguardo la disposta confisca del denaro che gli era stato sequestrato.
Ricorso Patteggiamento e l’Errore sulla Qualificazione Giuridica
La Corte Suprema ha respinto il primo motivo di ricorso, ritenendolo inammissibile. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato, sancito dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Secondo questa norma, dopo un patteggiamento, è possibile contestare la qualificazione giuridica del fatto solo se l’errore commesso dal giudice è ‘manifesto’.
Un errore manifesto non è una semplice diversa interpretazione della norma, ma una valutazione palesemente eccentrica e immediatamente riconoscibile come sbagliata rispetto al capo d’imputazione. Nel caso specifico, la Corte ha osservato che, data l’ingente quantità di sostanze stupefacenti detenute, non vi era alcun errore palese nell’aver qualificato il fatto come reato grave, escludendo l’ipotesi più lieve prevista dal comma 5 dell’articolo 73 del D.P.R. 309/1990. La valutazione del giudice di merito era, quindi, del tutto ragionevole e non sindacabile in sede di legittimità.
La Censura sulla Confisca: Il Difetto di Specificità
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla confisca del denaro, è stato dichiarato inammissibile. La ragione risiede nel ‘totale difetto di specificità’ della doglianza. Il ricorrente, infatti, non ha mosso critiche puntuali e argomentate contro il percorso logico-giuridico seguito dal Giudice per le Indagini Preliminari.
La sentenza di primo grado aveva giustificato la confisca sulla base degli articoli 85-bis del D.P.R. 309/1990 e 240-bis del codice penale. Per contestare efficacemente tale decisione, il ricorrente avrebbe dovuto confutare specificamente l’applicabilità di quelle norme alla sua situazione. Limitarsi a una lamentela generica non è sufficiente per attivare il controllo della Corte di Cassazione. Un ricorso, per essere ammissibile, deve essere specifico e deve confrontarsi analiticamente con le motivazioni del provvedimento che si intende impugnare.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso. La decisione si fonda su due pilastri. In primo luogo, l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento per errata qualificazione giuridica è consentita dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. solo in presenza di un ‘errore manifesto’. Tale errore si configura solo quando la qualificazione data dal giudice è ‘palesemente eccentrica’ rispetto ai fatti contestati, una situazione che non ricorreva nel caso in esame, data l’enorme quantità di sostanze stupefacenti detenute. In secondo luogo, la censura relativa alla confisca è stata giudicata inammissibile per ‘totale difetto di specificità’, poiché il ricorrente non ha mosso critiche puntuali e argomentate contro il percorso logico-giuridico seguito dal giudice del merito.
Le Conclusioni
Questa pronuncia ribadisce la natura eccezionale del ricorso patteggiamento
. Chi sceglie questo rito accetta una definizione rapida del processo in cambio di uno sconto di pena, ma rinuncia in larga parte a contestare nel merito la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove. L’impugnazione in Cassazione è permessa solo per vizi macroscopici e immediatamente percepibili, come l’errore manifesto sulla qualificazione del reato, o per questioni procedurali specifiche. Un ricorso generico, che non si confronta analiticamente con le motivazioni della sentenza impugnata, è destinato all’inammissibilità, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per errata qualificazione giuridica del reato?
No, in base all’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., è possibile solo se l’errore è ‘manifesto’, ovvero palese, immediatamente riconoscibile e non soggetto a margini di opinabilità, risultando palesemente eccentrico rispetto al fatto descritto nell’imputazione.
Cosa significa che un ricorso è inammissibile per ‘difetto di specificità’?
Significa che i motivi di ricorso sono esposti in modo generico e non contestano in modo puntuale e argomentato le specifiche ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione del giudice che si sta impugnando. Il ricorrente deve confutare il percorso argomentativo della sentenza, non limitarsi a una lamentela generale.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte di Cassazione non esamini il merito della questione. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro, stabilita dal giudice, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 347 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 347 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 27/08/1993
avverso la sentenza del 30/03/2023 del GIP TRIBUNALE di PERUGIA
dato av7Ko alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIIRITTO
Rilevato che NOME imputato di plurime violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 come meglio specificato in rubrica, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena concordata con il Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.: sentenza emessa in data 30/03/2023 dal G.i.p. del Tribunale di Perugia;
rilevato in particolare che il ricorrente lamenta erronea qualificazione giuridica dei fatti, non tutti rubricati ai sensi del comma 5 dell’art. 73, nonch violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla disposta confisca del danaro sequestrato;
ritenuto che il primo ordine di doglianze sia inammissibile, dovendosi dar seguito al consolidato indirizzo interpretativo secondo cui «in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazion deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi d errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione» (Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281116 – 01): presupposti connotati quindi da particolare rigore, che nella specie appaiono palesemente insussistenti, essendo il reato più grave di cui al capo 4) relativo alla detenzione di complessivi gr. 150 di crack e gr. 28 di cocaina;
ritenuto che la residua censura sia inammissibile per totale difetto di specificità, non avendo il ricorrente in alcun modo confutato il percorso argomentativo tracciato dal G.i.p. in relazione all’applicabilità, nella fattispecie esame, delle disposizioni di cui agli artt. 85-bis d.P.R. n. 309 del 1990 e 240-bis cod. pen.;
ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle mmende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della tassa delle ammende.
Così deciso il 1 dicembre 2023 Il consigli GLYPH e, tensore DEPC)Si TATA
Il Presidente