Ricorso Patteggiamento: Limiti all’Appello per Erronea Qualificazione Giuridica
Il patteggiamento rappresenta una scelta strategica fondamentale nel processo penale, ma quali sono i suoi limiti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla quasi impossibilità di contestare la qualificazione giuridica del reato dopo aver raggiunto un accordo sulla pena. Analizziamo questa decisione per comprendere quando un ricorso patteggiamento viene dichiarato inammissibile.
Il Caso in Esame: dal Patteggiamento al Ricorso in Cassazione
Il caso origina da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Roma. Un imputato, accusato del reato di spaccio di sostanze stupefacenti ai sensi dell’art. 73, comma 1, del D.P.R. 309/1990, aveva concordato con la pubblica accusa una pena di 3 anni di reclusione e 14.000 euro di multa.
Nonostante l’accordo, l’imputato ha successivamente presentato ricorso per cassazione, lamentando il mancato riconoscimento della cosiddetta “fattispecie del fatto lieve”, prevista dal comma 5 dello stesso articolo. Questa fattispecie attenuata avrebbe comportato una pena significativamente più mite. L’imputato, in sostanza, cercava di rimettere in discussione la qualificazione giuridica del reato su cui si era formato l’accordo.
La Disciplina del Ricorso contro la Sentenza di Patteggiamento
La legge, in particolare l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale (introdotto dalla riforma del 2017), pone dei paletti molto rigidi all’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. Un ricorso patteggiamento è consentito solo per motivi specifici, tra cui:
* Vizi nella manifestazione della volontà dell’imputato di patteggiare.
* Difetto di correlazione tra la richiesta di pena e la sentenza emessa.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena applicata.
L’appello dell’imputato si fondava sul terzo punto: l’erronea qualificazione giuridica. Tuttavia, la Cassazione ha interpretato questa possibilità in modo molto restrittivo.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una chiara spiegazione dei limiti del gravame. Il principio cardine è che la natura stessa del patteggiamento, essendo un accordo tra le parti, conforma e limita l’obbligo di motivazione del giudice e i successivi motivi di impugnazione.
Quando l’imputato accetta di patteggiare, dispensa di fatto l’accusa dall’onere di provare i fatti contestati. Di conseguenza, non può in un secondo momento tentare di ottenere una riqualificazione del reato in una fattispecie più favorevole (come il “fatto lieve”), perché l’accordo si è già consolidato sulla base dell’imputazione originaria.
La Corte ha precisato che il ricorso patteggiamento per “erronea qualificazione giuridica” è ammissibile solo in casi eccezionali: quando la qualificazione data dal giudice sia “palesemente eccentrica” o frutto di un “errore manifesto” rispetto al capo d’imputazione. In altre parole, l’errore deve essere così evidente da saltare immediatamente all’occhio, senza necessità di un’approfondita rivalutazione del merito. Nel caso di specie, non vi era alcun errore manifesto, ma solo un tentativo tardivo di ottenere una valutazione più favorevole, preclusa dalla scelta stessa del rito speciale.
Le Conclusioni
La decisione della Cassazione ribadisce un punto fondamentale: la scelta del patteggiamento è una decisione processuale con conseguenze definitive. L’imputato che accetta di concordare la pena rinuncia implicitamente a contestare nel merito la ricostruzione dei fatti e la loro qualificazione giuridica, salvo errori procedurali o palesi assurdità. Questa ordinanza serve da monito: la valutazione sull’opportunità di accedere al patteggiamento deve essere ponderata attentamente con il proprio difensore, tenendo conto che le porte per un’eventuale impugnazione successiva sono estremamente strette. La possibilità di rimettere in discussione l’accordo è un’eccezione, non la regola.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per ottenere il riconoscimento di un reato meno grave?
No, di regola non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che, avendo l’imputato raggiunto un accordo sull’imputazione originaria, non può successivamente chiedere una riqualificazione del fatto in una fattispecie più favorevole, come quella del “fatto lieve”.
In quali casi è ammesso un ricorso contro una sentenza di patteggiamento per erronea qualificazione giuridica?
È ammesso solo quando la qualificazione giuridica data al fatto sia palesemente errata, eccentrica rispetto al contenuto dell’imputazione o frutto di un errore manifesto e immediatamente percepibile.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
L’imputato, oltre alla conferma della condanna, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19227 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19227 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 19/01/1987
avverso la sentenza del 30/01/2025 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Roma, in sede di giudizio per direttissima, in data 30.1.2025, in applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e ss. cod.proc.pen., ha condannato NOME alla pena di anni 3 di reclusione ed euro 14.000 di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.
L’imputato ricorre avverso la sentenza del Tribunale lamentando violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della fattispecie del fatto lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per indeducibilità della descritta censura, che non rientra fra quelle consentite dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della usura d sicurezza.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particola e natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che non si possa proporre impugnazione finalizzata, come avviene nella specie, ad ottenere il riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, quando l’accordo si è formato sul reato contestato nel capo d’imputazione, così recepito dal Giudice. In tema di patteggiamento, infatti, l’erronea qualificazione giuridica del fatto ritenuto in sentenza può costituire motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., come modificato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, solo quando detta qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione o sia frutto di un errore manifesto (Sez. 6, n. 2721 08/01/2018, Rv. 272026 – 01).
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen., dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile secondo la procedura de plano (art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.), con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa del ricorrente (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa del
ammende.
Così deciso, il 13 maggio 2025.