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Ricorso Patteggiamento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per un reato legato a sostanze stupefacenti. La decisione sottolinea che i motivi di un ricorso patteggiamento sono tassativamente limitati dalla legge e la mancata applicazione di un istituto non rientra tra questi. Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: I Limiti dell’Impugnazione secondo la Cassazione

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro sistema processuale penale. Tuttavia, la scelta di questo rito alternativo comporta delle conseguenze precise, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di contestare la sentenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi confini del Ricorso Patteggiamento, confermando che non ogni doglianza può essere portata all’attenzione della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Un Patteggiamento e il Successivo Ricorso

Nel caso in esame, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Bari aveva applicato a un’imputata, su accordo delle parti, una pena di due anni e otto mesi di reclusione e 12.000 euro di multa per un reato previsto dalla normativa sugli stupefacenti (art. 73, commi 1 e 1-bis, D.P.R. 309/1990).

Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputata ha deciso di presentare ricorso per cassazione contro la sentenza. Il motivo del ricorso non riguardava la quantificazione della pena o la volontà dell’imputata, bensì la presunta erronea applicazione della legge per la mancata adozione di un altro istituto processuale, previsto dall’art. 129-bis del codice di procedura penale.

La Decisione della Cassazione: Inammissibilità del Ricorso Patteggiamento

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile senza neppure entrare nel merito della questione sollevata. La decisione è netta e si fonda su una precisa norma di legge che disciplina l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La conseguenza diretta di questa declaratoria è stata la condanna della ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 4.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: I Motivi Tassativi per l’Impugnazione

La chiave di volta della decisione risiede nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla cosiddetta Riforma Orlando (legge n. 103/2017). Questa norma elenca in modo tassativo e invalicabile i motivi per cui è possibile presentare un ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono:

1. Vizi della volontà: quando il consenso dell’imputato all’accordo non è stato espresso liberamente.
2. Difetto di correlazione: se c’è una discrepanza tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa dal giudice.
3. Errata qualificazione giuridica del fatto: nel caso in cui il reato sia stato inquadrato in una fattispecie giuridica sbagliata.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: qualora la sanzione applicata sia contraria alla legge.

La Corte ha evidenziato che la censura sollevata dalla ricorrente – ossia la mancata applicazione dell’art. 129-bis c.p.p. – non rientra in nessuna di queste categorie. Pertanto, il motivo addotto era “non consentito”, rendendo il ricorso ab origine inammissibile. La pronuncia è stata emessa “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis c.p.p., una procedura accelerata per i ricorsi palesemente infondati.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento implica una sostanziale rinuncia a far valere gran parte delle possibili contestazioni nel merito della vicenda. La legge stessa limita drasticamente le vie di impugnazione per garantire la stabilità delle sentenze emesse con questo rito, che si fonda sull’accordo tra accusa e difesa. Chi opta per il patteggiamento deve essere consapevole che le possibilità di un successivo Ricorso Patteggiamento sono circoscritte a vizi specifici e gravi, escludendo questioni di diversa natura. La decisione della Cassazione serve da monito: un’impugnazione basata su motivi non previsti dalla legge non solo sarà respinta, ma comporterà anche significative conseguenze economiche per il ricorrente.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di patteggiamento è consentita solo per i motivi specifici e tassativamente indicati dalla legge, come stabilito dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi validi per un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi validi riguardano esclusivamente l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. Questa declaratoria comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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