Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25366 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 25366 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
NOME (CUI 052DDJD) nato a MILANO il 11/11/1999 NOME (CUI 04MAKBA) nato a MILANO il 27/11/1995
avverso la sentenza del 17/04/2025 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di PAVIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e letti i ricorsi degli Avv. COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
Ricorsi trattati de plano.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME (CUI CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CUI 04MAKMA), a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza pronunciata, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., dal Gup del Tribunale di Pavia del 17/04/2025, che ha applicato agli imputati la pena concordata tra le parti in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti.
La difesa di NOME deduce l’erronea applicazione della legge penale e l’erronea qualificazione giuridica del fatto in relazione ai capi B) e C), in quanto il giudice non ha ritenuto l’assorbimento del reato di tentata estorsione di una somma di denaro di cui al capo C), in quello di rapina di una somma di denaro contenuto nel borsello della persona offesa di cui al capo B).
La difesa di COGNOME NOME NOME eccepisce la nullità della sentenza, in quanto il tentativo di estorsione di cui al capo C) non si sarebbe verificato in quanto l’azione si era interrotta perché una volta rilasciata la persona offesa non sono più seguite richiesta estorsive.
Tanto premesso, i ricorsi sono inammissibili per essere i motivi non consentiti in sede di legittimità.
4.1. Sebbene, in tema di patteggiamento, con il ricorso per cassazione possa denunciarsi, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., anche l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., nondimeno, l’errore sul nomen iuris deve essere manifesto.
Infatti, per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, espresso a Sezioni Unite (sentenza n. 5838 del 28/11/2013, dep. 6/02/2014, Citarella, in motivazione) e ribadito anche a seguito della novella di cui alla legge n. 131 del 2017, tale vizio è deducibile nei soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (cfr. Sez. 6, ord. n. 3108 dell’8/1/2018, COGNOME Rv. 272252 – 01 anche sulla legittimità del ricorso alla procedura de plano nei casi di genericità del motivo).
Nel caso di specie, la deducibilità dell’invocato errore deve essere esclusa, non risultando prima facie erronea o strumentale la qualificazione giuridica dei fatti, così come proposta dalle parti e positivamente delibata dal giudice a quo.
4.2. All’invocato assorbimento osta, infatti, l’autonomia sia modale che finalistica delle due condotte: anche laddove la rapina del borsello fosse volta a
conseguire l’ingiusto profitto derivante dal debito di droga che la parte offesa aveva nei confronti degli imputati, la condotta estorsiva non solo si nutre di un
autonomo disvalore costituito da ulteriori violenze e minace che susseguono la sottrazione del portafogli oggetto di rapina, ma rinviene una sua ulteriore causale
nel fatto che la somma rapinata non era sufficiente a far fronte al debito. Peraltro, lo stato di incoscienza in cui si trovava la p.o. al momento della sottrazione del
portafogli che ha agevolato la rapina non è conseguenza delle minacce estorsive, successivamente realizzatesi, bensì dell’aggressione e del trascinamento della p.o.
all’interno del veicolo nella disponibilità degli imputati.
4.3. La circostanza che, successivamente al rilascio della p.o., non siano seguire richieste estorsive non elide il tentativo di estorsione, ma, semmai, incide
sulla consumazione del reato, in quanto la minaccia di morte rivolta contro la p.o.
se non avesse restituito l’intera somma dovuta continua a dipendere dalla volontà
dei colpevoli.
5. Da qui l’inammissibilità dei ricorsi. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ciascuno, della somma di C 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, li 27 maggio 2025.