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Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro una sentenza di patteggiamento per un reato legato agli stupefacenti. La decisione si basa sulla normativa che limita fortemente i motivi di impugnazione per gli accordi di pena richiesti dopo il 3 agosto 2017. Poiché i motivi del ricorso non rientravano nelle specifiche eccezioni previste dalla legge, l’impugnazione è stata respinta, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti sull’Inammissibilità

Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate nel diritto processuale penale, specialmente dopo le recenti riforme. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce in modo inequivocabile i limiti e le conseguenze di un’impugnazione avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Il caso analizzato riguarda un individuo condannato per un reato previsto dalla legge sugli stupefacenti, il cui tentativo di contestare la sentenza di patteggiamento in Cassazione si è scontrato con una declaratoria di inammissibilità. Questa decisione sottolinea la rigidità delle norme che regolano tale materia.

I Fatti del Caso

Il procedimento ha origine da una sentenza emessa dal Tribunale di Rimini in data 19 agosto 2024. Con tale pronuncia, il giudice accoglieva la richiesta di patteggiamento formulata da un imputato per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, ovvero la normativa che disciplina i reati in materia di sostanze stupefacenti. L’accordo tra la difesa e il pubblico ministero, ratificato dal giudice, definiva così il procedimento di primo grado. Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione avverso la sentenza, lamentando una violazione dell’art. 129 del codice di procedura penale.

Il Ricorso Patteggiamento e i Limiti Imposti dalla Legge

La Corte di Cassazione, nell’esaminare il caso, ha immediatamente rilevato un ostacolo insormontabile: il ricorso era inammissibile. La ragione risiede in una norma specifica, l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione, introdotta per le richieste di patteggiamento successive al 3 agosto 2017, stabilisce che il ricorso patteggiamento è consentito solo per un elenco tassativo e limitato di motivi. Nello specifico, è possibile impugnare la sentenza solo per contestare:

* L’espressione della volontà dell’imputato;
* Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza;
* L’erronea qualificazione giuridica del fatto;
* L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

La Corte ha constatato che le doglianze sollevate dal ricorrente non rientravano in nessuna di queste categorie. I motivi addotti erano generici e non attinenti ai vizi specifici per i quali la legge ammette l’impugnazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

I giudici della Suprema Corte hanno ribadito che, una volta perfezionato l’accordo tra imputato e pubblico ministero e ratificato dal giudice, lo spazio per un’impugnazione si riduce drasticamente. La logica del legislatore è quella di garantire stabilità alle sentenze di patteggiamento, evitando ricorsi pretestuosi che ne vanificherebbero la funzione deflattiva. Nel caso di specie, i motivi del ricorso non erano stati ‘né compiutamente prospettati’ in modo da rientrare nelle eccezioni previste. Di conseguenza, l’impugnazione è stata giudicata inammissibile.

Inoltre, la Corte ha affrontato le conseguenze economiche di tale inammissibilità. Citando una storica sentenza della Corte Costituzionale (n. 86 del 2000), i giudici hanno sottolineato che, quando non vi sono elementi per ritenere che il ricorrente abbia agito ‘senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, scattano delle sanzioni. A norma dell’art. 616 c.p.p., all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame è un monito importante per chiunque intenda impugnare una sentenza di patteggiamento. La decisione della Corte di Cassazione conferma che la via del ricorso patteggiamento è estremamente stretta e percorribile solo in presenza di vizi specifici e chiaramente individuati dalla legge. Un’impugnazione basata su motivi generici o non previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. è destinata all’inammissibilità, con l’ulteriore aggravio per il ricorrente di dover sostenere non solo le spese processuali, ma anche una sanzione pecuniaria significativa. La stabilità degli accordi processuali e l’efficienza del sistema giudiziario sono i beni giuridici che la norma intende tutelare, limitando drasticamente le possibilità di rimettere in discussione un patteggiamento già approvato.

Dopo un patteggiamento è possibile presentare ricorso in Cassazione?
Sì, ma solo per motivi molto specifici stabiliti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, quali problemi relativi alla volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati dal ricorrente non rientravano in nessuna delle categorie tassativamente previste dalla legge per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in € 3.000,00.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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