Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Cassazione
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro sistema processuale penale che consente di definire il processo in modo più rapido. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta delle significative limitazioni sul fronte delle impugnazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ulteriormente i confini del ricorso patteggiamento, confermando che i motivi di impugnazione sono strettamente circoscritti dalla legge. Analizziamo la decisione per comprendere meglio quando e perché un ricorso di questo tipo viene dichiarato inammissibile.
Il Caso: Appello contro una Sentenza per Stupefacenti
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale. La condanna riguardava un reato previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, una fattispecie considerata di lieve entità. L’imputato, non soddisfatto dell’esito, decideva di impugnare la sentenza direttamente davanti alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio che era stato concordato con il pubblico ministero.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento e la Decisione della Corte
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha risolto il caso con una procedura de plano, ovvero senza la necessità di un’udienza formale, data l’evidenza della soluzione. I giudici hanno dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione di tale decisione risiede nell’interpretazione restrittiva dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte ha spiegato che la legge limita espressamente la possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. elenca in modo tassativo, ovvero non ampliabile, le sole ipotesi per cui è ammesso il ricorso. Tra queste non figura la contestazione della pena concordata tra le parti. La norma mira a dare stabilità alle sentenze emesse a seguito di un accordo, impedendo che l’imputato, dopo aver beneficiato della riduzione di pena tipica del rito, possa rimettere in discussione l’accordo stesso su aspetti che ne costituivano il nucleo.
I giudici hanno richiamato un precedente consolidato (Sez. 6, n. 1032 del 2019), ribadendo che dedurre un vizio di violazione di legge relativo alla misura della pena concordata non è un motivo valido per un ricorso patteggiamento. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto perché i motivi addotti non erano consentiti in relazione alla specifica tipologia di sentenza impugnata.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche dell’Inammissibilità
La declaratoria di inammissibilità ha comportato conseguenze economiche dirette per il ricorrente. La Corte, infatti, lo ha condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza un principio cardine: chi sceglie la via del patteggiamento deve essere consapevole che le possibilità di contestare la sentenza sono estremamente ridotte. L’accordo sulla pena, una volta ratificato dal giudice, diventa quasi inscalfibile, salvo che non ricorrano le poche e specifiche violazioni di legge previste dalla normativa.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita la possibilità di ricorso alle sole ipotesi di violazione di legge tassativamente indicate, escludendo, ad esempio, contestazioni sulla misura della pena concordata.
Perché il ricorso in questo specifico caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti, relativi al trattamento sanzionatorio concordato tra le parti, non rientrano tra quelli consentiti dalla legge per impugnare una sentenza emessa a seguito di patteggiamento.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1907 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1907 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BARI il 19/04/2003
avverso la sentenza del 08/07/2024 del GIP TRIBUNALE di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
N. 29073/24 COGNOME
OSSERVA
Ritenuto
che il ricorso relativo alla sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 ss. cod. proc. pen. per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 deve esse dichiarato inammissibile con procedura de plano perché i motivi proposti non sono consentiti in relazione alla tipologia di sentenza impugnata;
che, in tema di patteggiamento, è, invero, inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge in relazion trattamento sanzionatorio concordato fra le parti, atteso che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge i tassativamente indicate (Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 278337).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 02/12/2024